La Suprema Corte sulla differenza tra pegno regolare e irregolare (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 9 settembre 2021, n. 33435).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere –

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Credit (OMISSIS) (Italy) Spa in persona del procuratore speciale (OMISSIS) Livio Carmelo Desiderio, nato a Genova il 27/11/19xx;

avverso l’ordinanza del 28/12/2020 del Tribunale di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gianni Filippo Reynaud;

lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Felicetta Marinelli, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176 che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 dicembre 2020, il Tribunale di Genova ha respinto la richiesta di riesame proposta dall’odierna ricorrente Credit (OMISSIS) (Italia) Spa che, quale terzo interessato, aveva impugnato il decreto di sequestro preventivo emesso in funzione della confisca per equivalente del profitto del reato di cui all’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nei confronti di Antonio (OMISSIS), eseguito su denaro depositato su un conto corrente a lui riconducibile, perché intestato ad una società fiduciaria, che non rientrerebbe nella disponibilità del medesimo e apparterrebbe invece alla stessa banca, in quanto conferito in pegno irregolare.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Credit (OMISSIS), innanzitutto deducendo, con articolato motivo, l’inosservanza degli artt. 1834 e 1851 cod. civ. e la conseguente errata applicazione degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 322-ter cod. pen. e 12 d.lgs. 74/2000, avendo l’ordinanza illegittimamente affermato che la somma sequestrata doveva ritenersi costituita in pegno regolare piuttosto che irregolare.

Ci si duole, in particolare, del fatto che l’ordinanza affermi, da un lato, che il diritto di proprietà della Banca sulle cose date in pegno si instaurerebbe solo successivamente all’inadempimento da parte del creditore e, in secondo luogo, che non sarebbe stata nella specie concessa alla Banca la facoltà di disporre dei beni dati in pegno senza l’autorizzazione del debitore garantito.

Il primo argomento – si allega – è infondato, perché nel pegno irregolare la proprietà delle cose date in garanzia passa immediatamente in capo al creditore pignoratizio e non postula l’inadempimento dell’obbligazione sottostante.

Il creditore pignoratizio conserva il diritto a pretendere l’adempimento dell’obbligazione e, laddove questo non avvenga, gli consente di soddisfarsi immediatamente sui beni di sua proprietà senza attivare le forme previste dagli artt. 2797 e 2798 cod. civ.

Del pari infondato è il secondo argomento, poiché proprio l’art. 6.1. del contratto – citato nell’ordinanza – consente alla banca di far vendere i titoli dati in pegno in corso di rapporto, ciò che ulteriormente si ricava dai successivi punti 3, 5 e 6 della medesima clausola contrattuale, ed è illegittimo sostenere che dalla locuzione letterale “può far vendere” ivi utilizzata si ricavi una mera facoltà indicativa della natura regolare del pegno, a nulla rilevando, d’altro canto, il preavviso di cinque giorni dovuto al debitore, rispondente al mero adempimento di un obbligo di buona fede.

Se le parti avessero voluto dare vita ad un pegno regolare, avrebbero dovuto quantomeno disciplinare i poteri e i compiti della Banca al fine della cessione a terzi dei titoli sdati in pegno in caso di inadempimento.

2.1. In secondo luogo, si lamenta vizio di mancanza assoluta di motivazione in relazione alla circostanza – valorizzata dalla polizia giudiziaria all’atto del sequestro – dei due bonifici bancari disposti dalla fiduciaria dell’indagato sul denaro depositato su quel conto, ciò che secondo gli operanti sarebbe stato significativo della disponibilità delle somme da parte sua.

Nei motivi di riesame si erano fornite sul punto specifiche spiegazioni, che l’ordinanza impugnata non aveva in alcun modo esaminato, circa il fatto che le somme bonificate eccedevano il valore del pegno in allora attribuito alla Banca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ pacifico – e la stessa ricorrente non lo contesta – che la possibilità di sottoporre a sequestro penale beni costituiti in pegno sia consentita laddove si tratti di pegno regolare (Sez. 3, n. 36293 del 18/05/2011, Hypo Alpe Adria Bank S.p.a., Rv. 251133; Sez. 2, n. 45400 del 07/11/2008, Palmieri, Rv. 241975) e non, invece, quando la garanzia sia qualificabile come pegno irregolare, posto che quest’ultimo determina il trasferimento della proprietà del bene in capo al creditore (Sez. 2, n. 23659 del 06/05/2010, Banca MB S.p.a., Rv. 247409, relativa al sequestro preventivo di un conto corrente bancario le cui somme risultavano costituite in pegno irregolare a garanzia dell’anticipazione concessa dalla banca al correntista con conseguente trasferimento in proprietà al creditore delle somme gravate dalla garanzia; Sez. 3, n. 40784 del 12/05/2015. Gagliardelli, Rv. 264988).

Laddove la garanzia cada (anche) su titoli obbligazionari, la giurisprudenza di questa Corte in materia di sequestrabilità penale di beni costituiti in pegno è nel senso che questo deve ritenersi regolare quando difetta il conferimento alla banca della facoltà di disporre del relativo diritto (Sez. 2, n. 38824 del 28/03/2017, Banca Monte Dei Paschi Di Siena S.p.a., Rv. 271298, in materia di misure di prevenzione patrimoniale).

Laddove si tratti, invece, di somme denaro, non può disporsi il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente quando le stesse, depositate su conto corrente, siano state costituite in pegno irregolare a garanzia di una obbligazione dell’imputato, attesa la immediata acquisizione della proprietà delle stesse da parte del creditore (Sez. 3, n. 19500 del 16/09/2015, dep. 2016, Banca Nazionale Del Lavoro Spa, Rv. 267008, nella cui motivazione si precisa che, ai fini della individuazione e differenziazione del pegno irregolare rispetto a quello regolare, non rilevano né il “nomen” contrattualmente attribuito al rapporto e nemmeno il fatto che la somma di denaro rimanga depositata su un conto corrente bancario intestato al debitore e continui a maturare interessi, ma è decisiva la circostanza che, nel caso di inadempimento del debitore, il creditore abbia la facoltà di soddisfarsi immediatamente e direttamente sulla cosa o sulle cose date a pegno, secondo la previsione di cui all’art. 1851 cod. civ., ovvero debba attivare una forma di vendita pubblica, ai sensi degli artt. 2796 e 2797 cod. civ.).

2. Ciò premesso, nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha dichiarato di voler fare applicazione di richiamati principi di diritto e ha ritenuto la natura regolare del pegno interpretando il contratto costitutivo del medesimo quale concluso tra le parti.

Trattandosi di contratto che prevedeva, indistintamente, la dazione in pegno di denaro o titoli, senza distinguere la natura del pegno a seconda che, in concreto, i beni conferiti appartenessero al primo piuttosto che al secondo genere – circostanza, questa, che la ricorrente non contesta – l’ordinanza ha qualificato il pegno come regolare argomentando dalla previsione contenuta nell’art. 6.1. del contratto.

Riferendosi ai titoli, detta clausola, quale riprodotta nell’ordinanza impugnata, prevede che, «in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite la banca, senza pregiudizi per qualsiasi altro suo diritto od azione, può far vendere, con preavviso, dato forma scritta, di 5 giorni – in tutto o in parte – ed anche in più riprese, con o senza incanto, gli strumenti finanziari, nonché i beni di cui all’art. 12 del presente atto, costituiti in pegno a mezzo di intermediari autorizzati o di altra persona autorizzata a tali atti, ovvero in mancanza di ufficiale giudiziario».

I giudici del merito cautelare hanno concluso in tal senso proprio perché la facoltà di vendere i titoli – all’evidente fine di soddisfare il proprio credito – viene contrattualmente concessa alla Banca soltanto a condizione (e nel momento) in cui verifichi l’inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto bancario garantito (nella specie, un’apertura di credito).

3. Non essendo in questa sede censurabile l’interpretazione del contratto data dal giudice cautelare – né essendo la stessa, per la verità, specificamente contestata dalla ricorrente – la conclusione raggiunta è certamente aderente alle corrette premesse di diritto più sopra richiamate e dunque non tacciabile d’illegittimità.

Per contro, è la doglianza della ricorrente che appare del tutto generica, perché non si confronta con tale motivazione e, laddove prova a farlo, sottopone a questa Corte una valutazione di fatto in questa sede non deducibile.

3.1. Ed invero, contrariamente a quanto si opina in ricorso, l’ordinanza non ha affermato che in un pegno irregolare la proprietà delle cose date in garanzia postula l’inadempimento – conclusione, questa, certamente illegittima alla luce dell’art. 1851 cod. civ. nella consolidata interpretazione – ma ha invece ritenuto che, nel caso di specie, il contratto non prevedesse il passaggio in proprietà delle cose date in pegno proprio perché la facoltà di vendere i titoli era stata invece prevista alla condizione sospensiva del verificarsi dell’inadempimento del contratto garantito, ciò che per contro ovviamente dimostra come essa altrimenti non spettasse al creditore pignoratizio che, pertanto, non aveva acquisito alcun diritto di proprietà sulle cose conferite in pegno.

La conclusione è assolutamente conforme al principio, espresso dalla giurisprudenza civile di questa Corte e condiviso dal Collegio, giusta il quale il pegno irregolare si differenzia da quello regolare in quanto le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano di proprietà del medesimo, sicché in caso di inadempimento del debitore, il creditore è tenuto soltanto a restituire l’eventuale eccedenza dei titoli rispetto alle somme garantite, mentre nel pegno regolare egli ha diritto a soddisfarsi disponendo dei titoli ricevuti in pegno (Sez. 6, ord. n. 24137 del 03/10/2018, Rv. 650609-02).

La citata decisione afferma che, «secondo l’inequivoco disposto dell’art. 1851 cod. civ., di fronte all’inadempimento del debitore, il creditore qui si limita comunque a restituire l’eventuale eccedenza dei titoli rispetto al montante del credito garantito», mentre «il “potere di disporre dei titoli per soddisfarsi del proprio diritto” è invece tipico della figura normativa del pegno regolare, come non manca di indicare la norma dell’art. 2797 cod. civ., in particolare nel suo secondo comma, là dove viene disciplinata l’ipotesi di “vendita a prezzo corrente” del bene preso in garanzia».

Correttamente, dunque, il giudice del merito cautelare ha ritenuto che se – come nel caso di specie – l’atto costitutivo del pegno prevede la facoltà di vendere (o far vendere) i titoli dati in pegno solo in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite, significa che le cose date in garanzia non erano passate nella proprietà del garante.

Detta facoltà contrattuale è invece riconducibile allo schema del pegno regolare di cui all’art. 2797 cod. civ., il quale – giusta la previsione contenuta nell’ultimo gomma della citata disposizione e giusta consolidata giurisprudenza – può essere oggetto di accordi derogatori tra le parti.

Ed invero, la giurisprudenza civile di questa Corte ha condivisibilmente affermato che, «in tema di pegno, la disciplina dettata dall’art. 2797 cod. civ. è derogabile consensualmente, non solo mediante la previsione di forme di vendita diverse da quelle prescritte dal secondo comma, ma anche mediante la dispensa dall’intimazione al debitore ed al terzo garante e dal rispetto del termine per l’opposizione, il cui unico scopo consiste nel consentire al debitore ed al terzo datore del pegno di adempiere spontaneamente o di opporsi alla vendita, senza che l’omissione di tali forme faccia venir meno la riferibilità della vendita alla realizzazione della garanzia pignoratizia, purché essa sia il risultato dell’accordo intervenuto in proposito tra le parti per il soddisfacimento del creditore (Sez. 1, n. 13998 del 28/05/2008, Fall. Imprenori Spa c. Veneto Banca Scarl, Rv. 604019-01).

Le argomentazioni e conclusioni di cui sopra sono ben compendiate in una non recente – ma del tutto condivisibile – decisione civile di questa Corte, richiamata nel provvedimento impugnato, nella quale si è appunto ritenuto che alla figura del pegno irregolare di titoli di credito non è riconducibile la consegna di titoli di credito accompagnata da accordi rivolti a disciplinare i poteri ed i compiti della banca al fine della cessione a terzi dei titoli stessi in caso di inadempimento del debitore, giacché tali previsioni, indipendentemente dalla circostanza che abbiano un contento riproduttivo degli artt. 2796 e 2797 cod. civ. in tema di vendita della cosa ricevuta in pegno regolare, ovvero introducano legittime modifiche convenzionali alla disciplina di legge, sono radicalmente incompatibili con l’indicato passaggio della titolarità (necessariamente indicante piena disponibilità), mentre si armonizzano soltanto con i connotati del pegno regolare, nel quale il creditore non si soddisfa trattenendo il bene già a lui trasferito, ma deve custodirlo in attesa dell’adempimento, e restituirlo, se questo si verifichi, potendo altrimenti soltanto richiedere la vendita o l’assegnazione (Sez. 1, n. 4507 del 05/03/2004, BNL Spa c. Gannuscio e aa., Rv. 570801-01).

3.2. Quanto al fatto che dai successivi punti dell’art. 6 dell’atto costitutivo di pegno si desumerebbe che la facoltà della Banca di disporre delle cose date in pegno sussista anche “in corso di rapporto” – e, dunque, in assenza di inadempimento – si tratta di valutazione in fatto (che peraltro non risulta essere stata sottoposta al giudice del riesame) insindacabile in questa sede.

Ed invero, essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) ed essendo quindi deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e) , cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), il giudice di legittimità non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato (v. già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692, secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, ciò che, per quanto detto, nella specie non è).

4. Alla luce di quanto sopra osservato, la seconda doglianza contenuta in ricorso è inammissibile per genericità, poiché il provvedimento impugnato non si fonda sulle disposizioni effettuate sul conto corrente che la polizia giudiziaria aveva invece valorizzato in sede di esecuzione del sequestro, sicché è del tutto irrilevante l’omessa disamina dei motivi di riesame al proposito dedotti.

Ricorre, in tal caso, anche il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).

5. Il ricorso, nel complesso infondato, va conseguentemente rigettato con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso l’8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.