(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 luglio 2017, n. 37216)
…, omissis …
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. La Corte di appello di Torino ha, con la sentenza impugnata, parzialmente riformato quella emessa – all’esito di giudizio abbreviato – dal locale Tribunale, che aveva riconosciuto colpevole M.L. per il furto consumato del frontalino di un’autoradio installata a bordo di un autocarro lasciato in sosta sulla pubblica via, rideterminando il trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato nella misura ritenuta di giustizia e confermando le ulteriori statuizioni.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato per violazione di legge in relazione all’art. 56 cod. pen..
Deduce, per il tramite del difensore, Avv. Enrico Bucci, che il fatto che il ricorrente sia stato sorpreso dalla persona offesa mentre era in corso l’azione di impossessamento del bene e che da questa sia stato inseguito, mentre aveva in dosso il bene sottratto, fino alla sua cattura, non consente di ritenere raggiunta la soglia di consumazione del delitto contestato, essendosi lo stesso arrestato al tentativo per non avere ottenuto l’imputato un possesso autonomo sulla cosa altrui.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Come spiegato dal Collegio del gravame l’imputato fu scorto nell’atto di uscire dall’autocarro della persona offesa, la quale lo inseguì nel mentre portava con sé il frontalino dell’autoradio.
Sicché egli ebbe, seppure per un tempo molto limitato, la piena disponibilità del maltolto, essendo la sottrazione avvenuta non sotto l’occhio del titolare ma in una fase immediatamente precedente al suo sopraggiungere ed essendosi l’impossessamento consolidato nella successiva fase dell’inseguimento: ciò valendo a connotare il furto come consumato e non come tentato.
Le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sono corrette perché rendono applicazione del principio di diritto a mente del quale, ai fini della distinzione tra il reato di furto consumato e quello tentato, non hanno rilevanza né il criterio spaziale né il criterio temporale, di talché è sufficiente, ai fini della consumazione, la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore e il correlativo impossessamento di essa da parte dell’agente anche per breve lasso di tempo: si realizza, pertanto, l’ipotesi di furto consumato anche se l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione a causa del pronto intervento dell’avente diritto o della forza pubblica.
Solo se l’intervento di costoro, all’insaputa dell’agente, sia intervenuto, sotto forma di vigilanza, nel corso dell’azione delittuosa per modo che vi sarebbe stata la possibilità di intervenire in qualsiasi momento per bloccarne l’attività, il furto non potrebbe considerarsi consumato; ciò anche se l’agente si fosse impossessato della cosa giacché non si sarebbe mai potuto realizzare in tali circostanze un autonomo effettivo impossessamento della refurtiva, rimasta sempre nella sfera diretta di controllo e vigilanza dell’offeso (Sez. 5, n. 837 del 03/11/1992 – dep. 01/02/1993, Zizzo, Rv. 19348601).
A diversi approdi non consente di giungere la pronuncia delle Sezioni Unite, evocata nella sentenza impugnata (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014 – dep. 16/12/2014, Prevete e altro, Rv. 261186), la quale ha affermato – in una ipotesi di furto in supermercato – che la consumazione è esclusa dalla “concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo”, in quanto l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come “piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente”.
Nella specie, infatti, M. aveva conseguito proprio quella signoria sul bene – che è assunta, dalla Suprema Corte, a criterio distintivo tra consumazione e tentativo -, poi persa per effetto dell’intervento della persona offesa che, vistolo uscire dal proprio autocarro, l’aveva inseguito consentendone la cattura.
4. Le superiori considerazioni conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.