L’ammissione al gratuito patrocinio, si basa dalla stima del solo reddito percepito dalla ricorrente, escludendo il reddito personale del coniuge (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 26 luglio 2019, n. 20385).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29875/2014 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in FORLI’, VIALE MATTEOTTI 105, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROPPO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente con procura –

avverso il decreto n. 121/2010 del TRIBUNALE di FORLI’, depositato il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;

udito l’Avvocato ROPPO Francesco, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con delibera del 28 settembre 2010 l’Ordine degli avvocati di Forlì-Cesena ammetteva (in via provvisoria) C.M. al patrocinio a spese dello Stato in relazione al procedimento di separazione personale dei coniugi, poi introdotto innanzi al Tribunale di Forlì e concluso con decreto di omologazione delle condizioni di separazione del 21 ottobre 2011.

Su istanza dell’Agenzia territoriale delle entrate, il Tribunale di Forlì, revocava – con decreto depositato il 25 novembre 2014 l’ammissione al patrocinio, sulla base della stima del reddito percepito nel 2009 dal nucleo familiare della ricorrente, pari a Euro 26.449, ottenuta cumulando il reddito personale dell’istante (Euro 10.118, somma inferiore al limite massimo di Euro 10.628,16 D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 76 e 92) con quello del coniuge (Euro 16.331).

2. Avverso il decreto di revoca ricorre per cassazione C.M. nei confronti del Ministero della giustizia e dell’Agenzia delle entrate.

L’Agenzia delle entrate, non costituitasi con controricorso nel termine di cui all’art. 370 c.p.c., ha depositato memoria “al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa”.

Rilevata la nullità della notificazione al Ministero della giustizia, effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato, con ordinanza interlocutoria n. 13025/2018 questa Corte disponeva la rinnovazione della notificazione.

Rinnovata la notificazione, l’intimato Ministero della giustizia non ha proposto difese.

La causa, inizialmente assegnata alla trattazione in camera di consiglio, è stata rimessa, anche a seguito della richiesta della Procura Generale, alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria depositata il 15 gennaio 2019.

Motivi della decisione

I. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui la ricorrente lamenta che il Tribunale di Forlì, cumulando, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il suo reddito con quello del coniuge, ha violato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76: l’articolo, al comma 4, impone di considerare il solo reddito dell’istante nei “processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi” e tra tali processi rientrano anche quelli di separazione consensuale dei coniugi in quanto anche se i coniugi riescono a trovare un accordo circa le condizioni di separazione – afferma la ricorrente – ciò non comporta il venir meno della contrapposizione dei loro interessi.

Il ricorso pone quindi la questione della cumulabilità o meno dei redditi dei coniugi, ai fini della concessione del patrocinio a spese dello Stato in relazione ad una causa di separazione c.d. consensuale dei coniugi.

Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, al comma 2, dispone che, se l’interessato convive con il coniuge o altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante, per poi al comma 4, prevedere che si deve invece considerare il solo reddito dell’istante “quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi”.

Occorre pertanto stabilire se il giudizio di separazione di cui all’art. 711 c.p.c. – che non ha ad oggetto diritti della personalità rientra o meno nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare, con lui conviventi.

Questa Corte si è già pronunciata sulla questione in un caso di separazione giudiziale, ove era stata chiamata a stabilire se il reddito del coniuge istante va cumulato con quello dei figli conviventi.

La Corte ha affermato che “nelle cause di separazione vi è conflitto di interessi solo con il coniuge che ha promosso l’azione o che è convenuto, mentre tale conflitto non è predicabile relativamente al figlio convivente, ancorchè in posizione di adesione ad una delle parti in contesa” (Cass. 30068/2017).

D’altro canto – come ha osservato la Procura Generale – che il coniuge controparte non debba essere considerato nell’ambito del procedimento di separazione, ai fini della considerazione dei limiti reddituali di accesso al beneficio, si ricava già dal tenore testuale del citato art. 76, che, con il riferimento alla convivenza in unico nucleo familiare, “sterilizza” l’eventuale obiezione della persistente convivenza dei coniugi separandi quale ragione di revoca del beneficio, essendo il focus della norma, invece, la declinazione delle possibili variabili del conflitto di interessi, siano i coniugi conviventi oppure no.

L’esclusione del cumulo, ad avviso del Collegio, non va limitata al solo procedimento contenzioso di separazione giudiziale, ma vale anche per il procedimento di separazione su base concordata. Il fatto che i coniugi accedano al giudizio di omologazione sulla base di un accordo consensuale, accesso che, di regola comune, può avvenire anche unilateralmente (art. 711 c.p.c., comma 2), non comporta l’assenza di interessi configgenti tra i coniugi.

D’altro canto, gli esiti dell’iniziativa per la separazione non sono predefiniti, neppure nell’accesso al giudizio di omologazione su base di un accordo consensuale, che costituisce un presupposto del procedimento, ma non ha efficacia se non a seguito del controllo del giudice, che può ricusare il tenore degli accordi per ragioni di contrarietà a principi di ordine pubblico o agli interessi dei figli (cfr. l’art. 158 c.c., comma 2), come può esitare in un assetto diverso rispetto al contenuto inizialmente concordato dai coniugi.

Come afferma questa Corte, “in tema di separazione consensuale il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l’essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia.

Ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all’art. 711 c.p.c., in relazione all’art. 158 c.c., comma 1, in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica” (così Cass. 9174/2008).

Infine, come osserva la Procura Generale, in una interpretazione complessiva che sia orientata anche alle conseguenze di sistema della tesi prescelta, lo stabilire che il patrocinio a spese dello Stato, a parità di condizioni materiali e reddituali, non abbia luogo per l’opzione per una separazione consensuale e invece possa darsi se i coniugi instano per la separazione giudiziale sembra un indirizzo suscettibile di produrre effetti distorsivi, nel senso che incentiva ex se la scelta per questo secondo modulo anche laddove in principio non ve ne sarebbe stata ragione, in contrasto con il favore per le composizioni e le forme semplificate, non per l’accentuazione del conflitto e le modalità più complesse.

II. Il ricorso è quindi accolto e il provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, è cassato senza rinvio in quanto reso in assenza dei presupposti per la sua pronuncia.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e condanna in solido l’Agenzia delle entrate e il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del processo in favore della ricorrente che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019