Le deliberazioni della Corte dei conti che accertano gravi irregolarità nella contabilità degli enti locali devono essere impugnate nei tempi stretti previsti dal Testo unico (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza 9 aprile 2020, n. 7762).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13155/2019 R.G. proposto da:

COMUNE DI ASCOLI PICENO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Prof. Aristide Police;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, con domicilio legale in Roma, via Baiamonti, n. 25;

– controricorrente –

e

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI, SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LE MARCHE, e CORTE DEI CONTI, SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LE MARCHE;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, n. 7/18, depositata il 20 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Alessandro Lucchetti;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. Francesco SALZANO, che ha concluso chiedendo la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con deliberazione del 27 gennaio 2017, n. 1/2017/PRSP, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per le Marche, dichiarò inammissibile la richiesta di riesame proposta dal Comune di Ascoli Piceno in ordine alla delibera n. 164/2015/PRSP, con cui, in sede di verifica dei rendiconti relativi agli esercizi 2011 e 2012, la medesima Sezione aveva accertato una grave irregolarità nella contabilizzazione delle risorse provenienti dall’alienazione alla Ascoli Servizi Comunali S.r.l. del compendio dei beni relativi alla discarica di Relluce, ed in particolare l’illegittima contabilizzazione del corrispettivo al titolo III dell’entrata, anziché al titolo IV, evidenziandone possibili ricadute sul conseguimento dell’obiettivo programmato del patto di stabilità, ed aveva assegnato un termine di sessanta giorni per la rideterminazione dei saldi rilevanti ai fini del rispetto del patto.

2. L’impugnazione proposta dal Comune di Ascoli Piceno è stata dichiarata inammissibile dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con sentenza del 20 febbraio 2018.

Premesso che il giudizio rientrava nella propria giurisdizione esclusiva in materia di contabilità pubblica, ai sensi dell’art. 11, comma sesto, lett. e), del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, le Sezioni Riunite hanno rilevato che l’art. 148-bis del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 prevede un articolato sistema di controllo che, muovendo dall’esame delle relazioni-questionario ai bilanci e rendiconti degli enti locali, redatte annualmente dagli organi di revisione economico-finanziaria, mira all’accertamento, da parte delle Sezioni regionali, di specifiche violazioni di legge ed irregolarità contabili, e comporta per gli enti interessati l’obbligo di adottare provvedimenti idonei a rimuoverle ed a ripristinare gli equilibri di bilancio: precisato che la norma contempla una prima fase destinata a concludersi con gli accertamenti della Sezione regionale, che comportano l’obbligo di adottare i provvedimenti correttivi, ed una seconda fase di verifica dei predetti provvedimenti, cui può fare seguito l’eventuale applicazione di misure interdittive ed inibitorie dei programmi di spesa di cui sia stata rilevata la mancata copertura o l’insostenibilità finanziaria, hanno affermato che tale disciplina, introdotta dal d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, comporta il definitivo superamento della tipologia del controllo di natura collaborativa, dal momento che le deliberazioni delle Sezioni regionali possono comportare conseguenze gravose e sanzionatorie a carico degli enti controllati, consentendo la trasmissione degli atti al Prefetto, che, in caso di accertamento della mancata adozione delle misure correttive e delle condizioni di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 267 del 2000, dispone l’avvio della procedura per la dichiarazione di dissesto.

Precisato che, secondo l’orientamento della Corte costituzionale, i controlli di legittimità-regolarità della Corte dei conti sui bilanci pubblici esulano dal genere dei controlli sulla gestione e, diversamente da quelli di natura collaborativa, hanno progressivamente assunto caratteri cogenti nei con- fronti dei destinatari, le Sezioni Riunite hanno escluso la riconducibilità della relativa funzione al rapporto di collaborazione tra autorità controllante e soggetto controllato, osservando che tali controlli sono strumentali al rispetto degli obblighi assunti dallo Stato nei confronti dell’Unione Europea in or- dine alle politiche di bilancio e si giustificano in ragione dei caratteri di neutralità ed indipendenza del controllo di legittimità della Corte dei conti.

Hanno ritenuto pertanto infondata la questione di legittimità costituzionale dello art. 148-bis, sollevata dal Comune proprio sull’erroneo presupposto della ri- conducibilità della funzione di controllo al predetto rapporto di collaborazione, circoscritto invece ad altre funzioni assegnate alle Sezioni regionali, quali l’attività consultiva o di controllo sulla gestione.

Hanno escluso inoltre la configurabilità di un potere di autotutela delle Sezioni regionali di control- lo, volto a correggere, annullandola, revocandola o modificandola, l’azione amministrativa fino a quel momento svolta, affermando che esse non sono assimilabili alla Pubblica Amministrazione, in quanto non si pronunciano con atti o provvedimenti amministrativi ed operano come magistratura neutrale ed indipendente, garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e degli interessi generali della finanza pubblica coinvolti.

Hanno precisato che le funzioni svolte dalla Corte dei conti in sede di controllo di legittimità-regolarità e di giurisdizione costituiscono un’attività rigorosamente ancorata a parametri legali, assoggettabile al sindacato giurisdizionale delle Sezioni Riunite in speciale composizione, la quale si inquadra in un’attività di verifica chiaramente finalizzata alla tutela degli equilibri della finanza pubblica allargata.

Hanno ricordato che la posizione delle Sezioni regionali è analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi, concludendo quindi che nell’esercizio delle funzioni di controllo sui bilanci e rendi- conti degli enti territoriali le predette Sezioni non svolgono un’attività amministrativa, non assumono la qualità di parte nei giudizi d’impugnazione delle loro deliberazioni e sono destinatarie dei ricorsi soltanto a fini conoscitivi.

Hanno escluso la configurabilità di un contrasto con l’art. 97 Cost., osservando che gli esiti del controllo finanziario della Corte dei conti consento- no di garantire il rispetto degli interessi costituzionali alla legalità finanziaria ed alla tutela dell’unità economica della Repubblica perseguiti in riferimento agli artt. 81, 119 e 120 Cost., anche quando l’ente controllato non vi provveda direttamente, ed aggiungendo che tale conclusione risulta ancora più valida a seguito dell’imposizione a tutte le Pubbliche Amministrazioni della regola dell’equilibrio dei bilanci.

Hanno altresì escluso la configurabilità di una violazione degli artt. 81, 114, 117 e 119 Cost., rilevando che le funzioni di controllo assegnate alle Sezioni regionali appaiono ispirate proprio all’osservanza di tali disposizioni.

Hanno pertanto concluso per l’insussistenza di un potere generalizzato di riesame delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo riconducibile a principi di autotutela, aggiungendo che l’art. 148- bis del d.lgs. n. 267 del 2000 contempla un modulo di controllo di legittimità e regolarità finanziario-contabile nel quale è prevista un’apposita forma di riesame, espressamente codificata al terzo comma, nell’ambito della quale la Sezione deve necessariamente rivalutare, secondo una visione aggiornata e dinamica della situazione finanziaria e contabile dell’ente ed anche alla luce di eventuali nuovi elementi proposti ogni questione che aveva condotto alle contestazioni di illegittimità ed irregolarità.

Sulla base di tale impianto normativo, le Sezioni Riunite hanno afferma- to che le pronunce emesse dalle Sezioni regionali di controllo ai sensi dell’art. 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 o all’esito dell’esame dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale, pur non essendo sentenze in senso stretto, ma costituendo atti atipici promananti da un organo in posizione di indipendenza ed imparzialità al servizio dello Stato-ordinamento, intervengono all’esito di un’apposita fase di contraddittorio con le amministrazioni territoriali, a seguito di specifiche contestazioni, e sono ancorate a specifici parametri legali, con la conseguenza che, in assenza di impugnazione nei termini di legge, tendono necessariamente ad assumere caratteri di definitività giuridica, ai fini dell’individuazione delle illegittimità ed irregolarità riscontrate.

Rilevato infatti che l’attività di controllo sui bilanci e rendiconti ha carattere obbligatorio ed annuale e ha ad oggetto la legalità e la regolarità finanziario-contabile di un determinato bilancio o conto consuntivo, secondo linee guida approvate annualmente, ed una volta effettuata la verifica delle misure correttive il ciclo di controllo di un determinato esercizio finanziario deve ritenersi esaurito, per poi riattivarsi sulla base delle relazioni-questionario relative ai bilanci e rendiconti dei successivi esercizi, hanno ricordato che, per effetto del principio di continuità dei bilanci, le irregolarità e violazioni compiute in un determinato esercizio possono ripercuotersi anche sui bilanci susseguenti ed essere oggetto di ulteriori verifiche, concludendo che il carattere di definitività, cogenza e stabilità delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo non impedisce ulteriori verifiche nei successivi esercizi.

Ciò posto, e rilevato che nella specie il procedimento di controllo si era ormai concluso, le Sezioni Riunite hanno evidenziato che la deliberazione n. 164/2015/PRSP era già lesiva delle posizioni giuridiche del Comune, in quanto accertava una grave irregolarità contabile, la cui incidenza sul patto di stabilità interno avrebbe comportato l’applicazione del relativo regime sanzionatorio; essa risultava pertanto immediatamente giustiziabile, al pari della successiva delibera n. 99/2016/PRSP, con cui era stata accertata l’inidoneità dei provvedimenti adottati, mentre la delibera impugnata si limitava a ribadire le violazioni contestate in precedenza.

Pur riconoscendo che le prime due deliberazioni erano state adottate in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 11, comma sesto, lett. e), del d.lgs. 2016, n. 174, che aveva espressamente codificato la giustiziabilità delle pronunce delle Sezioni regionali di controllo, hanno ricordato che la giurisprudenza contabile aveva già ammesso la vis espansiva dell’art. 243-quater del d.lgs. n. 267 del 2000, che prevedeva l’impugnabilità delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo in materia di piani di riequilibrio.

Hanno quindi concluso che la deliberazione impugnata non era giustiziabile, non rivestendo carattere decisorio ma meramente dichiarativo dell’inammissibilità dell’istanza di riesame presentata dall’ente, e limitandosi alla presa d’atto della conferma dei saldi relativi al patto di stabilità e della mancata adozione dei provvedimenti correttivi.

3. Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria.

Il Procuratore generale presso la Corte dei conti ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il Comune denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 123 e ss. del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, sostenendo che l’esclusione della natura amministrativa delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo si traduce in un rifiuto di tutela giurisdizionale, in quanto, comportando l’inapplicabilità dei principi che regolano l’esercizio del potere di riesame degli atti amministrativi, sottrae al sindacato giurisdizionale ratto dell’organo di controllo che deliba la richiesta di riesame, anche nel caso in cui, come nella specie, la delibera, dopo aver dichiarato inammissibile la richiesta, ne abbia esaminato i motivi nel merito.

Premesso che, indipendentemente dalla nominale pronuncia d’inammissibilità, la delibera impugnata aveva effettivamente riesaminato la precedente decisione, confermandola, osserva che tale esito del controllo, in quanto lesivo delle ragioni del soggetto ad esso sottoposto, non poteva considerarsi svincolato dalle garanzie giurisdizionali, determinandosi altrimenti una violazione degli artt. 24, 113 e 125 Cost.

Afferma che, nonostante la loro atipicità, le deliberazioni delle Sezioni di controllo non sono configurabili come provvedimenti giurisdizionali, costituendo espressione di un procedimento privo delle garanzie proprie della giurisdizione; pur non essendo riconducibili al controllo collaborativo in senso stretto, esse sono atti amministrativi, avendo carattere imperativo, in quanto dotate di idoneità ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dell’ente sottoposto a controllo, e nei loro con- fronti non può quindi essere esclusa la tutela giurisdizionale.

Aggiunge che il potere di riesame inerisce ad ogni attività amministrativa, e quindi anche al- la funzione di controllo, la quale trae legittimazione dal rapporto di collaborazione tra controllante e controllato, che risulterebbe inevitabilmente leso ove il riesame dovesse ritenersi precluso in presenza di elementi o argo- menti di nuova deduzione.

In quanto svolta in una prospettiva dinamica, la attività di controllo demandata alla Corte di conti è d’altronde incompatibile con la staticità del giudicato, nonché con la natura non giurisdizionale dello organo e con quella amministrativa del procedimento, particolarmente evidente nella fattispecie in esame, in cui la deliberazione finale è stata preceduta dall’assegnazione di un termine per l’adozione delle misure richieste.

Conclude pertanto che la presentazione dell’istanza comporta l’obbligo del riesame, ferma restando l’autonomia delle Sezioni regionali nella valutazione dell’idoneità degli argomenti proposti a giustificare la riconsiderazione delle precedenti deliberazioni, e quindi la possibilità di adottare un atto meramente confermativo, a fronte del quale soltanto resta esclusa la sottoposizione al sindacato giurisdizionale: nella misura in cui, invece, il riesame sia stato effettivamente condotto, la delibera, in quanto lesiva delle ragioni del soggetto sottoposto a controllo, deve poter essere impugnata in apposita sede, determinandosi altrimenti un vulnus delle garanzie costituzionali.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente chiede, in via subordinata, sollevarsi questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 124 del d.lgs. n. 174 del 2016, dell’art. 1, commi 166 e ss., della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato dal d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dell’art. 148-bis del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dell’art. 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in riferimento agli artt. 24, 97, 113 e 125 Cost., sostenendo che la sottrazione delle deliberazioni di controllo ai principi dell’autotutela amministrativa comporterebbe uno snaturamento della funzione delle Sezioni regionali, le quali non disporrebbero di strumenti correttivi della loro azione istituzionale, pregiudicando inoltre l’accesso alla giurisdizione per quelle che procedano effettivamente alla delibazione dei motivi di riesame.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente chiede, in via ancor più gradata, sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 166 e ss., della legge n. 266 del 2005, come modificato dal d.l. n. 174 del 2012, dallo art. 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall’art. 7 della legge n. 131 del 2003, in riferimento agli artt. 24, 81, 97, 111, 113, 114, 117, 119 e 125 113 e 125 Cost., affermando che il riconoscimento della stabilità propria del giudicato all’atto conclusivo del procedimento di controllo implicherebbe la riconducibilità del rapporto tra le Sezioni regionali ed i Comuni all’esercizio della giurisdizione, in assenza delle garanzie costituzionali del giusto processo.

Premesso che gli effetti di irreversibilità processuale e sostanziale del giudicato trovano fondamento nel potere dispositivo delle parti, in virtù del quale le stesse hanno facoltà di scegliere i fatti da allegare e le conseguenze giuridiche da ricollegarvi, nell’ambito di un rapporto rispetto al quale l’autorità giudicante si trova in posizione di terzietà, rileva che tale schema è in- compatibile con il carattere bilaterale della funzione di controllo e con il rapporto di collaborazione su cui si fonda.

4. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono inammissibili.

Non può infatti condividersi la premessa da cui muovono le censure proposte dal ricorrente, secondo cui la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso avverso il diniego di riesame è stata determinata dall’esclusione della natura amministrativa delle delibere adottate dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, la quale avrebbe indotto le Sezioni Riunite della medesima Corte a ritenere inapplicabili alle stesse i principi in tema di annullamento d’ufficio, e a rifiutare quindi il sindacato giurisdizionale sulla delibera impugnata, nono- stante la portata lesiva della stessa, incidente sulle situazioni soggettive di esso ricorrente.

Tale riduttiva lettura della sentenza impugnata si pone in contrasto con la complessità della relativa motivazione, nell’ambito della quale l’esclusione dell’assimilabilità delle predette delibere ai comuni atti amministrativi, giustificata dalla posizione di terzietà della Corte dei conti e dalla natura esterna ed oggettiva del sindacato ad essa devoluto, si accompagna alla sottolineatura delle caratteristiche strutturali del procedimento delineato dall’art. 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 e della cogenza delle misure che ne possono costituire l’esito, nonché degli strumenti di tutela previsti nei confronti delle stesse e delle relative modalità di esercizio, ritenute non solo non incompatibili, ma anzi coerenti con la portata dinamica del controllo demandato alle Sezioni regionali.

In tale contesto, le Sezioni Riunite della Corte dei conti non hanno affatto escluso, in linea di principio, l’ammissibilità della tutela giurisdizionale nei confronti delle deliberazioni adottate ai sensi dell’art. 148-bis cit., avendo anzi richiamato espressamente l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che estende alle stesse l’impugnazione prevista dall’art. 243-qua- ter, comma quinto, del d.lgs. n. 267 del 2000, in ordine alla quale hanno anche ribadito la propria giurisdizione, ai sensi dell’art. 11, comma sesto, lett. e), del d.lgs. n. 174 del 2016, trattandosi di controversia in materia di contabilità pubblica. Proprio in virtù dell’applicabilità di tale rimedio, peraltro, esse hanno ritenuto che l’impugnazione dovesse investire la delibera n. 164/2016/PRSP, con cui la Sezione regionale di controllo per le Marche ave- va accertato l’irregolarità contabile contestata al Comune, o quella successiva n. 99/2016/PRSP, con cui la medesima Sezione aveva provveduto con esito negativo alla verifica dei provvedimenti correttivi adottati dal Comune, ravvisandovi atti immediatamente incidenti sulle posizioni giuridiche soggettive dell’ente sottoposto al controllo; ed hanno conseguentemente escluso l’impugnabilità della delibera adottata sulla richiesta di riesame da ultimo presentata dal Comune, ritenendo che la stessa non rivestisse una portata autonomamente lesiva, essendosi limitata prendere atto della conferma dei saldi relativi al patto di stabilità e della mancata adozione dei provvedimenti correttivi, nonché a ribadire la sussistenza dell’irregolarità contestata.

E’ pur vero che, prima di procedere all’esame della fattispecie specificamente sottoposta alla loro attenzione, le Sezioni Riunite hanno ampiamente analizzato la natura delle deliberazioni in questione, ravvisandovi un controllo di legittimità-regolarità svolto nell’interesse dello Stato per finalità che riguardano la finanza pubblica, affidato ad una magistratura in posizione di neutralità ed indipendenza e rigorosamente ancorato a parametri legali.

In proposito, esse hanno richiamato la giurisprudenza costituzionale, secondo cui tale forma di controllo esula dal genere dei controlli sulla gestione, in quanto non avente carattere strettamente collaborativo, ma idonea a tradursi in misure imperative, e strumentale al rispetto degli obblighi assunti dallo Stato nei confronti dell’Unione Europea in ordine alle politiche di bi- lancio (cfr. Corte cost., sent. nn. 39 e 40 del 2014; sent. nn. 80 e 228 del 2017).

Ed in quest’ottica hanno affermato che le deliberazioni delle Sezioni regionali non sono assimilabili ai comuni atti amministrativi, suscettibili di annullamento, revoca o modificazione da parte della medesima Pubblica Amministrazione nell’esercizio del suo potere di autotutela, escludendo conseguentemente la possibilità di sottoposizione delle stesse a riesame, se non in sede di verifica dell’adempimento dell’obbligo, posto a carico dell’ente, di adottare i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità accertate e a ripristinare gli equilibri di bilancio, ai sensi del comma terzo dell’art. 148- bis del d.lgs. n. 267 cit.

Nella medesima prospettiva, la sentenza impugnata ha peraltro evidenziato la struttura bifasica del procedimento in esame, caratterizzato in un primo stadio dall’accertamento delle irregolarità contabili ed in un secondo stadio dalla predetta verifica, cui fa riscontro l’impugnabilità delle deliberazioni adottate all’esito di ciascuna fase, nonché, in caso di mancato esercizio della relativa facoltà, l’acquisto di definitività giuridica da parte di tali provvedimenti, che, comportando la conclusione del procedi- mento, impedisce all’organo di controllo di tornare sulle proprie determinazioni ed all’ente controllato di sollecitarne una rimeditazione.

4.1. Nell’ambito di tale ragionamento, l’affermazione secondo cui le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo risultano sottratte all’esercizio del potere di autotutela non costituisce il fondamento della dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione proposta dinanzi alle Sezioni Riunite in composizione speciale, ma la giustificazione della ritenuta preclusione del loro riesame da parte dello stesso organo che le ha emesse, la cui natura non giurisdizionale è di per sé sufficiente ad escludere la configurabilità del relativo diniego come rifiuto di giurisdizione.

In questa sede, non risulta pertanto necessario prendere posizione in ordine alla natura amministrativa di tali delibere, la cui riconducibilità all’esercizio di una funzione giurisdizionale, contestata dal ricorrente con il terzo motivo del ricorso per cassazione, è stata chiaramente esclusa dalla stessa sentenza impugnata: quest’ultima, infatti, pur evidenziando il carattere obiettivo del riscontro di legalità-regolarità di cui costituiscono espressione e la posizione di indipendenza e terzietà dell’organo al quale è demandato, si è limitata infatti a qualificarle come atti atipici provenienti da un organo non appartenente alla Pubblica Amministrazione, precisando che non si tratta di sentenze in senso stretto, e quindi escludendone implicitamente l’idoneità ad acquistare efficacia di giudicato.

La dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione trova invece giustificazione nell’esclusione del carattere innovativo della delibera impugnata, in virtù della quale le Sezioni Riunite della Corte dei conti ne hanno negato la portata autonomamente lesiva delle posizioni giuridiche soggettive del Comune, ricollegando il pregiudizio da quest’ultimo lamentato alle prece- denti delibere, divenute ormai definitive per effetto della mancata impugnazione nel termine di cui all’art. 243-quater del d.lgs. n. 267 del 2000. In quanto riflettente la carenza d’interesse all’impugnazione del diniego di riesame, per mancanza di lesione, tale decisione non è configurabile come rifiuto dell’esercizio della giurisdizione, non traducendosi nell’esclusione della astratta tutelabilità della situazione giuridica fatta valere dal ricorrente, ma solo nell’affermazione dell’insussistenza di un presupposto dell’azione, il cui accertamento, rimesso al giudice cui è devoluta la cognizione della controversia, costituisce anch’esso espressione del potere di dicere jus in ordine alla domanda sottoposta al suo esame (cfr. Cass., Sez. Un. 4/10/2019, n. 24858; 6/06/2017, n. 13976).

Nessun rilievo può assumere, al riguardo, la circostanza, fatta valere dalla difesa del Comune, che, nonostante la portata assorbente dell’affermata inammissibilità del riesame, la Sezione regionale di controllo abbia ritenuto necessario ribadire i motivi addotti a fondamento delle precedenti deliberazioni: anche a voler ritenere che l’organo di controllo non si sia limitato ad una ricognizione di tali motivi, ma abbia inteso disattendere le ragioni, eventualmente non esaminate in precedenza, fatte valere a sostegno della richiesta di riesame, dovrebbe ugualmente escludersi la possibilità di sindacare in questa sede l’apprezzamento compiuto dalle Sezioni Riunite in ordine al carattere meramente confermativo della delibera impugnata; il riconoscimento di tale carattere, ancorché dovuto ad un’inadeguata ricostruzione del contenuto dell’atto, non sarebbe infatti configurabile come rifiuto della giurisdizione, ma come un errore di giudizio attinente alla verifica delle condizioni dell’azione, e quindi come un cattivo esercizio del potere giurisdizionale da parte del giudice adito, il quale non ha affatto ritenuto che situazione giuridica azionata fosse priva di tutela, ma si è limitato a negare la sussistenza in concreto dei presupposti per una decisione sul merito della domanda proposta dal Comune (cfr. Cass., Sez. Un., 6/06/ 2017, n. 13976; 9/09/2013, n. 20590; 26/01/2009, n. 1853).

4.2. Risulta pertanto irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa del Comune con il secondo motivo d’impugnazione, la quale ha ad oggetto il combinato disposto di una serie di disposizioni, peraltro indifferenziatamente indicate, che, in quanto volte a disciplinare il controllo della Corte dei conti sulla legittimità-regolarità dei bilanci pubblici, non sono destinate a trovare applicazione nel presente giudizio, riguardante non già l’ammissibilità del riesame delle deliberazioni adottate nel relativo procedimento, ma esclusivamente la configurabilità del denunciato rifiuto di esercizio della propria giurisdizione da parte delle Sezioni Riunite della Corte dei conti.

5. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla posizione istituzionale del Procuratore generale della Corte dei conti, il quale, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva delle rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombente risulti un suo contraddittore (cfr. Cass., Sez. Un., 22/11/2004, n. 21945; 12/03/2004, n. 5165; 17/07/2003, n. 11191).

6. Ve infine rigettata la richiesta, avanzata dal Procuratore generale della Corte dei conti, di condanna del ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., non risultando a tal fine sufficiente la mera inammissibilità delle censure proposte dal Comune, la quale, avuto riguardo anche alle modalità di svolgimento del procedimento di controllo ed al contenuto della delibera impugnata dinanzi alle Sezioni Riunite in composizione speciale, non può essere considerata di per sé sintomatica della volontà di piegare lo strumento del ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione a finalità devianti rispetto a quelle di tutela dei diritti e degli interessi legittimi per cui è previsto dall’art. 111, ottavo comma Cost., e quindi di un abuso del processo, che la sanzione prevista dalla predetta disposizione è volta a reprimere, nell’interesse generale della collettività (cfr. Cass., Sez. III, 30/03/2018, n. 7901; Cass., Sez. II, 21/11/2017, n. 27623).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pre- visto per il ricorso dal comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5/11/2019.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.