REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Anna Criscuolo – Presidente –
Benedetto Paternò Raddusa
Paola Di Nicola Travaglini
Antonio Costantini
Ombretta Di Giovine – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
su ricorso proposto da
(omissis) (omissis), nata a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 16/03/2023 della Corte di appello di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Ombretta Di Giovine;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza limitatamente al punto concernente la valutazione del beneficio della non menzione, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello, e la declaratoria di inammissibilità nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Campobasso riformava la condanna in primo grado dell’imputata per peculato (art. 314 cod. pen.), dichiarando prescritte le condotte realizzate fino al 15/11/2007 e ribadendone la responsabilità per le condotte successive a tale data, ad esclusione di quelle relative alle spese per le trasferte e per le ricariche telefoniche per utenze diverse da quelle di (omissis) e (omissis). Concessa, per tali condotte, l’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., riduceva, quindi, la pena ad un anno e otto mesi di reclusione.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso (omissis) (omissis), per il tramite del suo difensore, Avvocato (omissis) (omissis), deducendo i seguenti cinque motivi di ricorso.
2.1. Violazione degli artt. 157 ss. cod. pen. e 83 d.l. 17/03/2020, n. 18, e vizio di motivazione in ordine all’omessa declaratoria di prescrizione, quanto alla sospensione del relativo corso tra il 09/03/2020 e l’11/05/2020.
La Corte d’appello ha attribuito rilevanza, tra le altre, alla sospensione del corso della prescrizione, nel periodo indicato e per la durata di 63 giorni, a causa dell’emergenza Covid: sospensione che tuttavia non può operare, dal momento che il 09/03/2020 non si è celebrata né era prevista alcuna udienza. Egualmente, la sentenza ha ritenuto che il corso della prescrizione fosse stato sospeso per l’intera durata del giudizio di appello, e cioè dal 28/04/2022, data di celebrazione della prima udienza, al 16/03/2023, quando è stata emessa la sentenza.
Tuttavia, l’udienza del 23/02/2023, in cui l’imputata ha reso spontanee dichiarazioni, si è svolta regolarmente, come risulta anche dalla motivazione del provvedimento impugnato, per cui anche un rinvio per la discussione su richiesta del difensore non dovrebbe determinare alcuna sospensione rilevante ex art. 159 cod. pen., il che implica un ulteriore slittamento di 20 giorni delle condotte coperte da prescrizione.
Ciò detto, tenuto conto del fatto che i singoli episodi di peculato si sono consumati nel momento in cui è avvenuto l’esborso, nel determinare i periodi di sospensione della prescrizione non si sarebbe dovuto tener conto dei 63 giorni di cui si è detto.
Se ne desume che la sentenza impugnata vada annullata per intervenuta prescrizione, quantomeno in relazione alle condotte poste in essere fino al 18/01/2008, con conseguente diminuzione dell’aumento di pena operato a titolo di continuazione.
2.2. Violazione dell’art. 81 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine alla mancata specificazione delle singole spese integranti il reato, con riflessi sulla misura dell’aumento di pena a titolo di continuazione per ciascun episodio.
La sentenza ha precisato che i reati commessi fino al 15/11/2007 sono estinti per prescrizione e che il giudizio di penale responsabilità non riguarda le spese per trasferta e per le ricariche telefoniche per utenze diverse da quelle di (omissis)/(omissis).
Tuttavia, non ha spiegato: quali siano le spese rientranti nella prima categoria (per cui c’è stata prescrizione); quali siano le spese rientranti nella seconda categoria (per cui è stata disposta assoluzione); quali siano, infine, le spese in relazione alle quali è stata pronunciata condanna alla pena finale.
Pertanto, difetterebbe altresì la motivazione relativa all’aumento operato a titolo di continuazione per ciascun episodio di peculato. In violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, i giudici dell’appello hanno disposto un aumento complessivo di quattro mesi, in ragione delle numerose spese illecite nel periodo considerato, senza spiegare quante e quali esse fossero, e quale aumento sia stato per ciascuna disposto.
2.3. Errata applicazione dell’art. 314 cod. pen. e conformità delle spese sostenute agli artt. 3, 4 e 8 della legge regionale del Molise 04/11/1991, n. 20, nonché vizio di motivazione in relazione alla pretesa non inferenza di tutte le spese successive al 15/11/2007 (escluse quelle per spostamenti e telefonia) sostenute per il funzionamento del gruppo politico.
Premesso che il punto nodale della vicenda è costituito dalla riconducibilità o meno al funzionamento del gruppo delle spese sostenute tra il 16/11/2007 e l’11/04/2008, erroneamente la Corte d’appello ha escluso fossero compatibili con il funzionamento del gruppo tutte le spese (cosiddette a catena) documentate da scontrini e attestanti l’acquisto di prodotti da supermercato nonché gli esborsi sostenuti per manifesti funebri.
È dubbio, ad esempio, che sia corretta la condanna per peculato per l’acquisto di una lampadina del costo di 9,90 euro, effettuato in data 22/01/2008 (p. 7 capo di imputazione) dal momento che, in mancanza totale di motivazione e fermo restando che la lampadina è servita negli uffici del gruppo, manca, infatti, la prova dell’appropriazione.
Analogo discorso vale per un acquisto documentato dallo scontrino del 01/02/2008, relativo a una spesa di 6 euro, presso Computer Discount, per l’acquisto di un oggetto non indicato.
Ancora, la normativa regionale non vieta l’acquisto di profumi per ambiente o profumi per casa cui sono riconducibili le spese di 12,68 euro del 15/03/2008, presso un supermercato, e di 4,40 euro, presso il negozio Acqua e Sapone, il 07/02/2008. In mancanza di altri dati che escludano in modo inequivoco l’avvenuta destinazione a finalità istituzionali, si sarebbe al cospetto di acquisti “neutri”, da cui non può desumersi la realizzazione del delitto di peculato (in tale senso, è richiamata Sez 6, n. 19255 del 16/02/2022, Gentile, non mass.).
D’altronde, se la gran parte degli scontrini sono stati emessi dallo stesso esercizio commerciale sito nelle immediate vicinanze del Consiglio regionale e la tesi difensiva secondo cui si è trattato di succedanei di buoni pasto riconosciuti ai collaboratori del gruppo è stata recepita in sentenza, allora deve ritenersi che l’utilizzo del denaro sia stato lecito, posto che spesso i collaboratori si trattenevano in ufficio anche oltre l’orario di lavoro – talvolta, nella pausa pranzo – e che, in tali occasioni, era loro garantito un pasto frugale pagato con i fondi destinati al funzionamento del gruppo.
Lo stesso dicasi per le spese effettuate presso self-service, bar o pasticcerie, non risultando l’acquisto di generi alimentari vietato dalla normativa statuale o regionale e prevedendo, anzi, l’art. 4, comma 1, I. reg. n. 20 del 1991 cit. che i contributi di cui all’art. 3 fossero spendibili senza vincolo di destinazione.
Quanto poi alle ricariche telefoniche in favore di persone afferenti ad uffici regionali diversi dal gruppo consiliare e dei loro congiunti ((omissis) e (omissis)), tali ricariche sono state ritenute integrare gli estremi del peculato nonostante non fossero state indicate specificamente nel capo di imputazione, né sia dato sapere quali fossero, quante fossero e per quali importi siano state effettuate. Ciò basterebbe ad integrare il dedotto difetto di motivazione.
Si aggiunge, tuttavia, che la pronuncia ha disposto l’assoluzione in rapporto alle ricariche telefoniche effettuate in favore del Capogruppo, dei consiglieri e dei collaboratori del gruppo, sicché, non essendo stati acquisiti i tabulati telefonici, non può escludersi che anche le ricariche per le quali la ricorrente è stata condannata fossero state realizzate nell’interesse del gruppo politico consiliare di Forza Italia, considerato che la (omissis) collaborava di fatto con l’imputata ed utilizzava, in tale veste, il telefono a lei intestato, come anche quello intestato a suo marito (omissis).
Quanto al pagamento di prestazioni di lavoro occasionale non formalizzate, e specificamente del pagamento in favore di (omissis), la pronuncia è incorsa in un evidente travisamento della prova. Infatti, da un lato, ha confuso il piano della responsabilità contabile – rispetto al quale l’imputata ha corrisposto alla Regione Molise l’intero importo delle spese sostenute, comprese quelle per relative ai reati per cui è stata assolta – con il piano della responsabilità penale; dall’altro lato, attribuendo efficacia decisiva alla incompletezza e/o all’insufficienza della documentazione rinvenuta a dimostrare il collegamento tra le spese e il funzionamento del gruppo, ha invertito l’onere probatorio che sarebbe dovuto incombere sul pubblico ministero.
2.4. Violazione dell’art. 314 cod. pen. e vizio di motivazione, relativamente all’insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, in rapporto al pagamento effettuato in favore di Molise Notizie il 10/03/2008, per attività giornalistiche per il periodo compreso tra il febbraio 2007 e il marzo 2008.
Sul punto, (omissis), direttore del giornale, aveva riferito di essere stato incaricato per conto della Capogruppo (omissis) di curare la rassegna stampa e di inviare i comunicati stampa ai vari giornali. Pertanto, non si sarebbe potuto dubitare della effettività della prestazione e del fatto che la stessa fosse stata svolta a beneficio del gruppo politico Forza Italia, indicato peraltro in fattura.
La motivazione risulta contraddittoria anche là dove ha affermato la sovrapposizione e quindi l’impossibilità di distinguere tra gruppo, politica e partito, dal momento che, così stando le cose, avrebbe dovuto far operare il principio del favor rei.
Egualmente, appare inconferente l’affermazione che l’imputata avrebbe dovuto attingere ad una diaria, inesistente, per regolare il compenso a Molise Notizie e maldestro il tentativo di adombrare l’ipotesi che il pagamento fosse stato effettuato per ragioni di propaganda elettorale.
La mancata contrattualizzazione del rapporto con Pian depone, infatti, soltanto nel senso della irregolarità contabile, ma non può indiziare la commissione di un delitto di peculato.
2.5. Violazione dell’art. 175 cod. pen. e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
Il beneficio è stato negato immotivatamente, nonostante l’imputata sia stata condannata a pena inferiore a due anni e risulti incensurata, non abbia altri procedimenti penali pendenti, le sia stata riconosciuta l’attenuante di cui all’alt 323-bis cod. pen., sia per la particolare tenuità dell’offesa, sia in ragione dell’avvenuta corresponsione in favore della regione Molise dell’intero importo in contestazione (comprese le spese di costituzione e rappresentanza della parte civile).
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
In replica alle deduzioni del Procuratore Generale, la ricorrente ha presentato una memoria in cui: quanto al primo motivo, ribadisce, allegando i relativi verbali, che l’udienza è stata celebrata regolarmente il 19/02/2020 e che, all’esito della stessa, il processo è stato rinviato al 13/05/2020, sicché nessuna stasi del procedimento si sarebbe verificata a causa della situazione pandemica; quanto al secondo motivo, insiste sulla difficoltà di ricondurre i fatti, genericamente descritti nella sentenza impugnata, nel capo di imputazione, concludendo che il Procuratore non avrebbe superato il problema della indeterminatezza del decisum; quanto al terzo motivo, lamenta il persistente equivoco consistito nella confusione tra i piani della responsabilità contabile e penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. II ricorso é fondato e va, dunque, accolto, per le ragioni di seguito indicate.
2. Merita accoglimento, in particolare, il terzo motivo di ricorso, relative alla qualificazione dei fatti come peculato (art. 314 cod. ).
3. Posto che alla ricorrente, all’epoca dei fatti Capogruppo consiliare per Forza Italia della Regione Molise, e ascritto di aver effettuato numerosi e ripetuti esborsi, anche di piccola entità, per un importo complessivo tuttavia non trascurabile, la Corte d’appello, nel ritenerne la responsabilità per ii delitto di peculato, ha premesso che la delimitazione strutturale del potere di spesa correlate alle contribuzioni imponeva che la spesa stessa fosse soggetta a controllo e che l’impiego si concretizzasse conformemente alle finalità
Di conseguenza, ha negato rilievo alla circostanza che la legge regionale del Molise vigente ai tempi dei fatti (legge n. 20 del 1991 cit.) facesse genericamente riferimento al <<funzionamento del gruppo>> (art. 3) e alla possibilità di impiegare le somme «senza vincolo di destinazione» (art. 4), ritenendo comunque necessaria la conservazione dei documenti a supporto degli esborsi sostenuti, poiché – affermano i giudici di secondo grado – deve ritenersi immanente al sistema in generale un intrinseco ed ineliminabile dovere di giustificazione della spesa secondo le precipue finalità istituzionali.
D’altro canto, prosegue la sentenza impugnata, la sentenza Corte cost. n. 1130 del 1998 ha chiarito che le spese istituzionali dei gruppi consiliari sono quelle relative all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, alla elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all’acquisizione di informazioni sull’attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla società, alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quaIi si svolgono le attività istituzionali del Consiglio regionale.
Ciò premesso, il giudice di secondo grado ha ritenuto «ontologicamente incompatibile» con la finalità istituzionale l’acquisto di prodotti da supermercato prevalentemente effettuato in un esercizio commerciale situate nelle vicinanze della sede del Consiglio regionale o in altri supermercati ubicati in luoghi diversi presso i quali si sono registrati, tra l’altro, piccoli esborsi effettuati in più occasioni nell’arco dello stesso giorno, incluso ii sabato, anche per articoli per la casa, e per manifesti funebri in occasione di lutti riferibile a parenti di persone esponenti politici regionali di area.
Ha reputato insostenibile la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di succedanei di buoni pasto riconosciuti ai collaboratori, dal momento che questi erano comunque retribuiti con busta paga.
Discorso analogo ha svolto in relazione alle spese presso bar e pasticcerie, nonché alle ripetute ricariche telefoniche in favore di soggetti afferenti a uffici regionali diversi dal gruppo consiliare e di congiunti degli stessi, con riferimento alle utenze di Epifani, segretaria dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, e di suo marito (omissis).
Altra tipologia di spesa considerata non adeguatamente giustificata ed esorbitante ii perimetro dell’attività consiliare e quella concernente le prestazioni di lavoro occasionale non formalizzate.
Sebbene si trattasse di spese puntualmente giustificate e astrattamente compatibili con la funzionalità del gruppo, in motivazione si e precisato che le ricevute delle somme corrisposte a tre persone a titolo di prestazione occasionale riguardavano un periodo in cui due di esse avevano un contratto stipulato con il gruppo per attività regolarmente retribuita a mezzo di busta paga, mentre ii pagamento (5.000 e rotti euro) in favore di (omissis) recava una causale “contorta” che non consente di comprendere ne l’oggetto ne i confini del finanziamento.
Infine, le spese di ristorazione estese a più persone non sarebbero state inquadrabili nella generale categoria delle spese di rappresentanza, in quanto non regolarmente giustificate e documentate con l’esposizione, caso per caso, dell’interesse istituzionale perseguito (a tal proposito, viene citata sent. Corte dei Conti, sez. 2, n. 64 del 11/05/2006).
Tra i pagamenti non riscontrati, la Corte di appello ha citato: quelli compiuti presso una trattoria di mare di Termoli (12 pasti per un importo complessivo di 700 euro nel giorno festivo di domenica); quelli presso il bar centrale di Campobasso, reputati di per se eloquenti per frequenza sistematicità (per un importo di 132 euro); quelli presso un’osteria di Isernia, in due occasioni, per un totale di 378 euro.
I giudici di secondo grado hanno riferito, d’altronde, che, a seguito dell’escussione dei testimoni, e emerso che le ragioni delle cene pagate dall’imputata erano prevalentemente riconducibili a motivazioni politiche, trattandosi cioè di incontri organizzati per conto del partito, e ne hanno desunto che non si ravvisassero iniziative di gruppo funzionali al rilievo dell’attività del consiglio: nessun contesto pubblico in cui valorizzare la proiezione del gruppo in funzione dell’azione della visibilità del consiglio; nessuna iniziativa istituzionale di divulgazione di programmi e attività; nessun evento ufficiale idoneo ad attirare l’attenzione di organi qualificati o dei cittadini amministrati su temi di interesse generale. In definitiva, nessuna proiezione di rilievo esterno dell’attivita del gruppo.
Diversamente hanno concluso quanto alle ricariche telefoniche (con l’eccezione di quelle a favore di (omissis) e (omissis)) e alle trasferte all’interno e all’esterno dei confini regionali, essendo, per tali spese, mancato l’accertamento della non inerenza di tali spese al funzionamento del gruppo, che, per contro, avrebbe dovuto essere vagliato in concreto.
4. Tanto precisato in ordine al percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello e premesso che la ricorrente, in quanto Capogruppo consiliare regionale era pubblico ufficiale, dotata di potere di spesa – profili invero non contestati dalla difesa -, la qualificazione dei fatti come peculato operata dal giudice di secondo grado si pone in contrasto con il recente corso della giurisprudenza di questa Corte, che ii Collegio intende ribadire (v., tra le altre, 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940, che ha ravvisato il peculato nell’utilizzo dei contributi destinati al gruppo consiliare per finalità esclusivamente personali dell’imputato e sicuramente non riconducibili, neppure indirettamente, all’attività politica ed istituzionale e, di recente; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi, Rv. 284577).
In particolare, si osserva quanto segue.
5. Un assunto su cui la Corte di appello fonda la responsabilità della ricorrente e l’incompatibilità delle spese realizzate dall’imputata con le finalità istituzionali dei fondi assegnati al gruppo.
In proposito, va precisato che giudici di secondo grado escludono espressamente che le spese fossero state compiute per finalità personali.
Tuttavia, come già riferito, ritengono trattarsi di esborsi «ontologicamente incompatibili con la finalità istituzionale espressamente indicata dalla legge regionale» ed adombrano – in alcuni passaggi affermano – che tali spese fossero invece finalizzate a scopi politici e, in specie, a finalità di propaganda elettorale, dal momento che, di Iì a poco, l’imputata sarebbe stata eletta parlamentare.
Concentrando l’attenzione, per il momento, sulla prima tipologia di spese, in particolare, nella sentenza impugnata sono citati: gli esborsi per l’acquisto di prodotti da supermercato (biscotti, affettati crackers, bibite, tovaglie, detersivi), per buona parte emessi dallo stesso esercizio commerciale situato nelle immediate vicinanze della sede del Consiglio regionale ma anche da altri supermercati, nonché per l’acquisto di articoli per la casa (presso Acqua e Sapone ecc.); le spese per <<manifesti funebri in occasione di lutti riferibili a parenti di persone o esponenti politici regionali di area>>; le spese minute effettuate presso self-service, bar o pasticcerie situati nelle immediate vicinanze della sede del consiglio regionale, le spese per ricariche telefoniche a favore della Segretaria presso l’ufficio di Presidenza (omissis) del Consiglio regionale e a favore del marito di quest’ultima ((omissis)), i quali non avevano legami con il suddetto gruppo consiliare.
Invero, tuttavia, come rilevato dalla ricorrente, gli artt. 3 e 4, nel testo allora vigente, della legge regionale Molise n. 20/1991 cit., richiamati anche in sentenza, si limitavano a prevedere un mero obbligo di rendicontazione (art. 4, nn. 3 e 4) la cui violazione, come si dirà, e suscettibile, al più, di rilevare in sede erariale.
La legge citata nulla diceva quanto alla destinazione delle somme assegnate per ii funzionamento dei gruppi consiliari, limitandosi l’art. 1 a disporre che l’assegnazione dei mezzi finanziari fosse «funzionale al funzionamento» dei gruppi in oggetto e, prevedendo, quindi, una disciplina dalla trama normativa lasca, che lasciava ampi spazi di discrezionalità al capogruppo.
In un siffatto contesto legislative, la rilevata (in sentenza) la «ontologica incompatibilità» delle spese effettuate rispetto alle finalità istituzionali appare tutt’altro che nitida, e diventa ancor meno chiara se si confrontano le spese sostenute dalla ricorrente – che questa ha eccepito di aver sostenuto per assicurare ai collaboratori frugali vitti in ufficio, come succedaneo dei buoni pasto o per acquisti destinati ai locali in cui si svolgeva l’attività del gruppo consiliare – con quelle esemplificativamente elencate dalla recente, già citata, Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi, cit. (relative all’acquisto di sigarette, caramelle, biglietti della lotteria, gratta e vinci ecc.).
Probabilmente, d’altronde, di tale <<incompatibilità» – che dovrebbe essere, per cos] dire, “auto-evidente”, ma che tale non risulta – nel caso di specie, non era del tutto persuasa nemmeno la stessa Corte di appello se, a sostegno della configurabilità del delitto di peculato, anche per tali spese adduce (invero sulla base di una non recentissima giurisprudenza di legittimità) argomenti ulteriori, quali:
1) la mancata adeguata giustificazione cantabile delle spese (in virtù dell’esistenza di un obbligo «immanente» di controllo cantabile);
2) la mancata allegazione della non esondazione dal perimetro istituzionale dell’attività consiliare;
3) il fatto che l’imputata e molte delle persone nel cui interesse questa le ha sostenute avessero comunque regolare retribuzione (argomento non compiutamente sviluppato ma speso talvolta en passant).
Tuttavia, una volta negata la «ontologica incompatibilità>> delle spese rispetto alle finalità istituzionali (peraltro, come si specificherà subito di seguito, alcuni acquisti per cui gli esborsi sono stati effettuati non sono nemmeno identificati), anche in ragione dei già richiamati vaghi contenuti della normativa regionale di contesto, tali argomenti finiscono con ii risultare destituiti di fondamento.
6. Cominciando dall’ultimo – e cioè dalla considerazione che l’imputata e le persone nel cui interesse si assume che le spese fossero state compiute erano destinatarie di autonoma retribuzione -, in una situazione di vuoto probatorio quanta alla estraneità delle spese rispetto al perimetro del mandato consiliare, l’affermazione della Corte di appello non si concilia con una disciplina regionale – peraltro, all’epoca, come ricordato, assai poco dettagliata – che consentiva comunque lo stanziamento di fondi per ii funzionamento del gruppo, in aggiunta a quelli destinati al personale (l’art. 1 legge regionale Molise n. 20/1991 parlava, infatti, di «assegnazione dei mezzi finanziari e del persona le necessario» ).
Di conseguenza, l’utilizzazione dei fondi per compiere spese “ancipiti”, che cioè non esulano in modo inequivoco dalla finalità istituzionale “organizzativa” dell’attività consiliare, integra, in se considerata, una prassi riprovevole, molto poco elegante, vuoi anche illecita sul piano erariale e civilistico, ma non per questo assurge automaticamente a rilievo penale, non essendo univocamente sintomatica della realizzazione di una condotta appropriativa.
7. Quanta, poi, alla mancata giustificazione della finalità istituzionale della spesa da parte dell’imputata – altro argomento speso dalla sentenza impugnata -, va premesso che, come anche emerge dal capo di imputazione, molte spese minute (presso supermercati, bar, negozi, servizi di ristorazione) nemmeno sono state mai identificate (risultano compiute per l’acquisto di beni «non identificati» o «non indicati» o indicati con la dicitura «varie>> ecc. ).
Ebbene, in particolare quanta a tali esborsi, ma anche in rapporto all’acquisto di beni specificatamente indicati e tuttavia – si ripete – dalla funzionalizzazione ambigua e talvolta oscura, il ragionamento della Corte di appello integra una vera e propria inversione dell’onere probatorio, poiché finisce con lo scaricare sulla difesa ii compito, peraltro nemmeno sempre sostenibile, di dimostrare la destinazione istituzionale della spesa.
La sentenza impugnata, a parte ii richiamo all’obbligo di rendicontazione cantabile (sul quale, di seguito ), non adduce infatti elementi a sostegno della valutazione di non inerenza istituzionale delle spese rimborsate: neppure sul piano della prova logico-indiziaria, che sarebbe stata invece raggiunta ave, per esempio, fossero state portate a rimborso spese che l’imputata non poteva aver sostenuto perchè, in quel momento, si trovava altrove, oppure spese portate a doppio rimborso ovvero ancora spese di importo evidentemente sproporzionato rispetto ad una possibile finalizzazione lecita (come in Sez. 6, n. 20916 del 19/04/2023, Monari, non mass.).
7.1. A questo punto, tuttavia, si impone una precisazione, poiché, in alcuni punti, la motivazione della pronuncia di secondo grado accenna, invero, ad esborsi di cui avrebbe potuto forse essere dimostrata la incompatibilità con le esigenze di funzionamento del gruppo consiliare.
Un punto e quello in cui la sentenza (p. 18) allude a spese sostenute “prima” della costituzione dei gruppi consiliari e da cui, pertanto, esulava, con ogni probabilità, la necessaria finalizzazione istituzionale.
Si tratta, però, di un passaggio veloce, quasi incidentale nell’economia della motivazione e, soprattutto, cosi generico (nella motivazione nemmeno precisandosi quando i gruppi furono costituiti) da non consentire spazi per un annullamento con rinvio.
7.2. Ancora, la prova dell’inerenza all’attività politica/di propaganda elettorale, piuttosto che al mandato consiliare, avrebbe potuto essere forse raggiunta in relazione a talune spese (diverse da quelle minute e coinvolgenti un numero di coperti superiore a due o tre) per ristorazione in bar, ristoranti.
Si afferma, infatti, nella sentenza che, in dibattimento, alcuni testimoni avevano riferito che l’imputata, in mancanza di locali ad hoc, era solita riunirsi in tali luoghi con altri esponenti politici del suo partito per parlare di problematiche varie.
Anche qui, tuttavia, i giudici di merito non sono entrati nel dettaglio di quali tali esborsi fossero, e nemmeno hanno riportato gli apporti dichiarativi da cui desumere, in modo inequivoco, che gli incontri in oggetto fossero destinati a riunioni di partito o all’organizzazione della propaganda elettorale.
7.3. Considerazioni analoghe valgono, infine, quanta alle ricariche telefoniche a favore di (omissis) (segretaria dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale) e di (omissis) (marito di lei), nonchè in relazione alle spese per i manifesti funebri sostenute – precisa la sentenza – «in occasione di lutti riferibili a parenti di persone o esponenti politici regionali di area» e, ancora, al compenso erogato per l’attività giornalistica di (omissis), che la Corte di appello adombra fosse volta a sostenere la ricorrente in campagna elettorale.
Come per le spese di cui al punto precedente, la Corte di appello si limita a svolgere un ragionamento poco più che congetturale, senza motivare compiutamente e, quindi, senza riuscire a fugare i dubbi che, nei fatti, insinua la sottile distinzione tra attività “amministrativa” vera e propria e attività politica dei gruppi consiliari.
In tal senso, non va, infatti, trascurato che Corte cost. 187 del 1990 ha si esemplificato l’attività dei gruppi consiliari, rispetto alla cui realizzazione alcune spese rivestono all’evidenza valore strumentale, ma ha pure riconosciuto che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all’attività dell’assemblea, assicurando l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche programmatiche: realizzando, in una parola, – precisa la Corte costituzionale – quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica. E che Corte cost. n. 1130 del 1998 (citata nel provvedimento impugnato) ha, quindi, precisato che <<per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo affinchè ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale».
Parimenti, deve ricordarsi come la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. U, n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757; Sez. U. n. 3335 del 19/02/2004, Rv. 570307) abbia riconosciuto al gruppo consiliare regionale una duplice natura giuridica: privatistica, quanto all’attività direttamente connessa alla matrice politica dalla quale traggono origine; pubblicistica, in rapporto all’attività che attrae il gruppo nell’orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare.
Si conferma, pertanto, anche sotto questo aspetto, il carattere anfibio, o comunque non univocamente definibile, dell’attività svolta dal gruppo consiliare: certamente disambiguabile con riferimento a concrete situazioni di fatto, ma che, nel caso di specie, nemmeno avrebbe potuto, comunque, trovare chiarificazione a seguito di approfondimenti in sede di eventuale rinvio: l’annullamento con rinvio della sentenza essendo precluso dalla prescrizione dei reati, nel frattempo intervenuta.
8. Resta, infine, da accennare all’argomento – ricorrente nella sentenza impugnata e spesso accostato a quello della mancata allegazione della non esondazione dal perimetro istituzionale – relativo all’omessa giustificazione contabile, da parte di (omissis), delle spese effettuate (in uno con la mancata conservazione dei “giustificativi”): obbligo ritenuto «immanente» – la Corte di appello richiama sul punto una giurisprudenza di questa Corte – nell’attività consiliare e che comunque trovava nel caso di specie fondamento nella normativa regionale allora
Oltre ad integrare la già rilevata inversione dell’onere probatorio, tale criterio – nella situazione di delineata irrisolta incertezza probatoria – conduce ad un’inammissibile identificazione tra responsabilità penale e responsabilità contabile.
D’altronde, ribadito che la legge regionale molisana allora vigente, pur non disponendo specifici “vincoli di destinazione” delle somme, comunque prevedeva un generico obbligo di rendicontazione (e precisato anche, sebbene incidentalmente, che l’imputata ha restituito all’erario l’intero importo della contestazione), la più recente giurisprudenza di questa Corte distingue ormai nettamente i due ambiti di responsabilità penale e contabile (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca, Rv. 276712; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit.), negando che dalla prima possa essere fatta discendere sic et simpliciter la seconda ed ulteriormente precisando come al giudice penale sia precluso ogni sindacato sui profili, prettamente discrezionali, della necessita ed adeguatezza della spesa sostenuta.
In altre parole, l’omessa ottemperanza all’obbligo di rendicontazione, che può dar luogo a responsabilità cantabile, non necessariamente implica responsabilità penale, della quale rappresenta, al limite, soltanto una spia.
Non può assurgere, cioè, a prova della “appropriazione”: concetto legato ad un’utilizzazione del denaro o dei beni per fini strettamente personali o comunque chiaramente inconciliabili con quelli istituzionali.
9. In conclusione, con riferimento al caso in oggetto, deve essere ribadito che none configurabile il delitto di peculato in caso di inadeguatezza e incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza, che non permettono di riferire gli esborsi a finalità istituzionali dell’ente, gravando sull’accusa l’onere della prova dell’appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalità privatistiche (Sez. 6, n. 21166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 27607) o comunque non strettamente afferenti all’attività consiliare (Sez. 6, 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi, cit.), non potendo farsi derivare l’illiceità della spesa dalla mancanza di adeguata giustificazione cantabile delle spese ed occorrendo, per contro, la prova dell’appropriazione, e quindi dell’offensivita della condotta, quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca, Rv. 276712; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit.).
10. Essendo i restanti motivi di ricorso assorbiti, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Cosi deciso il 09/11/2023
Depositato in Cancelleria, Roma lì 12 dicembre 2023.