Legittima difesa: la configurabilità – fattispecie – giurisprudenza.

La scriminante della legittima difesa è disciplinata dall’art. 52 c.p., che così recita: Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.


Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

Oggetto dell’offesa. Il diritto

L’articolo 52 parla genericamente della necessità di difendere un diritto, proprio o altrui. Si discute quali diritti possano essere ricompresi nell’ambito di applicazione della norma, da taluno sostenendosi che il termine vada riferito solo ai diritti personali, con esclusione dei diritti patrimoniali.

Altri invece sostengono che la norma si applichi anche ai diritti patrimoniali.

Probabilmente è corretto ritenere che la legittima difesa possa essere invocata per qualunque diritto minacciato, senza preclusioni. Né sembra corretto escludere dalla nozione di “diritto” anche i meri interessi, gli interessi legittimi o le aspettative, come invece sostiene qualche autore. In primo luogo perché il diritto penale vive di vita autonoma e quindi i termini ivi usati non necessariamente corrispondono a quelli utilizzati in altri settori dell’ordinamento; in secondo luogo per la considerazione che non si vede il motivo per cui sarebbe legittima la reazione per difendere un proprio diritto di credito (ad esempio una cambiale) e non una posizione di mera aspettativa (ad esempio il risultato di una puntata al gioco), delegittimando in tal modo comportamenti aggressivi diretti contro situazioni che sono pur sempre giuridiche. Padovani fa l’esempio del candidato a un concorso pubblico che reagisce in malo modo per evitare che un commissario passi il compito ad un altro candidato; qui la difesa sarebbe legittima eppure la posizione tutelata è di interesse legittimo.

Il diritto che si difende può essere proprio o altrui, e quindi anche di un passante sconosciuto incontrato per strada; non esiste infatti un dovere di intervenire in soccorso di sconosciuti che vengono aggrediti, tuttavia chi decide di intervenire viene scriminato in base all’articolo 52.

L’offesa ingiusta

Quanto all’offesa ingiusta, anzitutto il termine offesa non deve far pensare necessariamente ad una violenza. Qualsiasi condotta umana, commissiva o omissiva può essere considerata “offesa ingiusta”; ad esempio la condotta omissiva del medico che si rifiuta di visitare un paziente. E’ un offesa poi anche un comportamento passivo, come piazzarsi davanti alla porta dell’abitazione per non far entrare il proprietario, oppure una condotta di per sé non violenta, come il tentativo di somministrare un ansiolitico contro la volontà dell’altro.

Quanto all’ingiustizia, alcuni autori interpretano restrittivamente il termine, richiedendo la contrarietà del comportamento offensivo ai precetti dell’ordinamento. In realtà è preferibile l’opinione secondo cui l’ingiustizia si identifica anche con ogni offesa non imposta dallo stato, o comunque tollerata.

Ad esempio non è legittimo reagire contro un poliziotto che cerca di arrestare un criminale (trattandosi di offesa imposta dallo stato) ma lo è reagire contro un’aggressione effettuata in stato di necessità (che è solo tollerata) o per eccesso di legittima difesa.

E’ ingiusta anche la legittima difesa attuata contro soggetti che godono di immunità o contro non imputabili.

In particolare, per quanto riguarda i non imputabili, ci sono autori come Manzini che inquadrano la difesa contro costoro nello stato di necessità, partendo dal presupposto che un incapace non può compiere atti contrari al diritto, e dunque per l’impossibilità di qualificare una loro aggressione come “ingiusta”.

Tuttavia tale tesi ha due difetti; dal punto di vista teorico non si vede come potrebbe essere giusta l’aggressione da parte di un incapace; dal punto di vista pratico, invece, dal momento che lo stato di necessità ha presupposti più rigidi rispetto alla legittima difesa, si viene a comprimere maggiormente il diritto di difesa di ogni cittadino, il quale, peraltro, è spesso nell’impossibilità di capire lo stato di capacità dell’aggressore.

Il pericolo. L’attualità del pericolo

La difesa è legittima solo di fronte ad un pericolo, cioè ad una situazione potenzialmente lesiva.

Il pericolo può provenire da un uomo, un animale o una cosa. Tuttavia quando si tratta di animali o cose è sempre necessario che tale pericolo si riconnetta ad una condotta umana. Ad esempio di fronte al proprietario di un cane pericoloso, che si rifiuta di richiamare l’animale che sta per aggredire un bambino, la reazione del padre che impugna una pistola per costringere il proprietario ad intervenire sarà perfettamente legittima.

Quando invece il pericolo proveniente dall’animale o dalla cosa non è riconducibile a una condotta umana allora ricorreranno gli estremi dello stato di necessità.

Il pericolo deve essere attuale; il che è logico, perché altrimenti non ci sarebbe più una difesa, ma una vendetta (se il pericolo è passato); qualora il pericolo sia futuro, invece, il soggetto è tenuto a invocare la difesa dello stato.

Così è senz’altro illegittimo il comportamento di colui che insegue il ladro, che oramai ha posato la refurtiva e scappa, e una volta acciuffatolo lo picchia o lo uccide.

Il pericolo non volontariamente causato

La legge non fa riferimento, come invece per lo stato di necessità, alla involontarietà del pericolo. Tuttavia la giurisprudenza e parte della dottrina richiedono ugualmente tale requisito, giungendo così ad escludere che si possa invocare la scriminante della legittima difesa in casi come i seguenti:

a) Caio minaccia di picchiare Tizio e questo gli dà un ceffone, Caio, per pararsi dal ceffone, lo picchia a sua volta;

b) Caio rompe il naso a un amico che ha sfidato a un incontro di lotta libera.

In realtà sembra preferibile l’opinione di coloro che sostengono che il pericolo possa anche essere volontariamente causato.

Ciò che conta non è che il soggetto si sia cacciato nel pericolo senza volontà, ma solo l’ingiustizia dell’offesa. Se ad esempio Tizio sfida a pugni Caio, e quest’ultimo tira fuori una pistola, Tizio sarà scriminato anche se in effetti il pericolo è stato causato volontariamente. Ciò che rileva infatti è – lo ribadiamo – che l’offesa (in questo caso la ferita d’arma da fuoco) sia ingiusta, cioè non autorizzata né tollerata dallo stato.

Nelle ipotesi fatte prima, ad esempio (Caio che minaccia Tizio; Caio che sfida l’amico a botte), non può invocarsi la scriminante della legittima difesa, non perché il pericolo è volontario, ma perché l’offesa non può dirsi ingiusta, e dunque la difesa non è necessaria. Partecipare ad una rissa, infatti, non è un fatto necessitato e in casi del genere viene quindi meno la ratio sottesa alla scriminante in esame; non c’è ragione infatti di invocare l’autotutela sol che si pensi che chi sfida qualcuno ad un incontro di lotta non potrebbe di certo invocare il soccorso dell’autorità.

Compatibilità tra legittima difesa, sfida e reato di rissa.

Una delle tematiche maggiormente interessanti, in tema di legittima difesa, attiene alla applicabilità della stessa nel caso di rissa, duello ed ogni altra ipotesi di sfida. Secondo l’impostazione dominante in giurisprudenza, non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida o si ponga volontariamente in una situazione di pericolo dalla quale è prevedibile o ragionevole attendersi che derivi la necessità di difendersi dall’altrui aggressione.

La configurabilità dell’esimente della legittima difesa deve escludersi nell’ipotesi in cui lo scontro tra due soggetti possa essere inserito in un quadro complessivo di sfida giacché, in tal caso, ciascuno dei partecipanti risulta animato da volontà aggressiva nei confronti dell’altro e quindi, indipendentemente dal fatto che le intenzioni siano dichiarate o siano implicite al comportamento tenuto dai contendenti, nessuno di loro può invocare la necessità di difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non può avere il carattere della inevitabilità (Cass., sez. I, 17.11.1995, n. 11264).

In siffatte ipotesi non è nemmeno configurabile l’attenuante della provocazione, in forza della totale illiceità del suo comportamento, anche se occasionato da un precedente fatto dell’avversario neppure l’attenuante della provocazione in forza della totale illiceità del suo comportamento, anche se occasionato da un precedente fatto dell’avversario.

Per quanto attiene al reato di rissa, ed a quelli commessi nel corso di essa, l’impostazione maggioritaria non ritiene applicabile la legittima difesa perché i corrissanti sono animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non può dirsi necessitata.

Solo eccezionalmente, in simili ipotesi, l’esimente di che trattasi può essere riconosciuta ed è quando, esistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia una offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma e in tal senso ingiusta (Cass., sez. I, 26.1.1993, n. 710).

Requisiti della reazione.

Necessità di difendersi. La costrizione

La necessità di difendersi e la costrizione sono due elementi diversi ma tuttavia connessi. Necessità di difendersi significa che la reazione deve essere difensiva, e quindi non aggressiva, nel senso che deve essere un’azione che si contrappone ad un’altra azione uguale e contraria, o perlomeno analoga.

La costrizione implica che la legittima difesa non possa essere invocata tutte le volte che il soggetto aggredito aveva altre modalità di difesa (ad esempio quando poteva sottrarsi al pericolo con la fuga, oppure chiamando un agente nelle vicinanze). Il soggetto infatti deve essere costretto, cioè trovarsi in una situazione implicante impossibilità di scelta.

In particolare, per quanto riguarda i mezzi alternativi alla difesa c’è un annoso problema, trattato in tutti i manuali, che riguarda la fuga. Ci si domanda cioè se possa invocare la legittima difesa chi poteva sottrarsi al pericolo scappando. C’è chi sostiene che lo stato non potrebbe imporre la viltà agli onesti (per giunta in tal modo incentivando indirettamente gli aggressori), affermando quindi che la fuga non sarebbe mai una valida alternativa alla reazione; e chi distingue casi in cui la fuga non sia disonorevole da quelli in cui lo sia (ad esempio sarebbe sempre disonorevole per i militari, che devono salvaguardare l’onore della divisa). A noi pare che la soluzione preferibile sia quella di distinguere caso per caso senza valutazioni aprioristiche. Ad esempio se un adulto viene aggredito da un bambino, o da un handicappato nell’impossibilità di camminare, è legittimo aspettarsi una fuga, più che una reazione violenta; ma in molti altri casi occorre considerare attentamente il singolo accadimento.

Anche in relazione a questa problematica occorrerà quindi effettuare un bilanciamento di interessi caso per caso, potendosi affermare, in linea di massima, che l’aggredito non è tenuto a fuggire quando la fuga risulti poco efficace, o quando con essa esporrebbe sé o altri ad un probabile danno uguale o superiore a quello che cagionerebbe all’aggressore difendendosi.

La proporzione con l’offesa

Il requisito della proporzionalità implica che il male inflitto all’aggressore deve essere proporzionato a quello che si stava per subire.

Si discute se la proporzione debba essere effettuata tra i mali inflitti, tra i mezzi usati, o tra i beni sacrificati.

In realtà la questione è di lana caprina, nel senso che quando c’è proporzione tra i mali o le offese ci sarà anche quella tra i mezzi, e viceversa. Al contrario, i mezzi usati, o i mali, potrebbero essere equivalenti, ma la difesa essere lo stesso illegittima (come nel caso di chi viene minacciato con un coltello poco appuntito da una persona che ha chiaramente il solo scopo di intimidire e l’aggredito reagisca con un coltello affilato uccidendo l’aggressore; oppure nell’ipotesi in cui la persona che sta per ricevere uno schiaffo reagisca con un colpo di karatè lesivo di un organo vitale; oppure nell’esempio di chi spara, per difendere il proprio cane, ad uno sconosciuto il quale, a sua volta, sta per sparare all’animale.

La dottrina più moderna tende infatti a sminuire l’importanza della disputa.

Secondo alcuni la proporzione deve essere intesa tra i mezzi difensivi effettivamente a disposizione dell’aggredito e quelli utilizzati; ciò legittimerebbe la conclusione che l’utilizzo di un mezzo ad alta potenzialità offensiva potrebbe essere legittimo quando l’aggredito non ha a disposizione altri strumenti. In realtà anche in tal caso sarebbe errato prendere posizioni preconcette e l’affermazione non deve essere intesa in senso troppo rigido. Infatti, se in certi casi questo criterio è senz’altro valido (ad es. se una persona molto gracile, o una donna, vengono aggrediti da un uomo robustissimo e violento, potrebbe essere legittimo l’uso di un’arma da fuoco) in altri il metodo risulta essere fuorviante; ad esempio, secondo qualche autore, sarebbe lecito sparare da una finestra a chi sta per rubare il proprio cane, se il fucile è l’unico mezzo a disposizione dell’aggredito.

In realtà non è possibile dare una risposta a priori ed è necessario effettuare ancora una volta un bilanciamento tra il bene offeso o messo in pericolo e quello leso da chi si difende; e da questo punto di vista si può affermare che non è lecito ledere la vita o l’incolumità fisica di una persona per salvare un interesse meramente patrimoniale. A meno che, però, il danno al patrimonio non sia elevatissimo e la lesione all’incolumità personale sia di piccola entità (ad esempio dare un pugno sul naso a chi sta per rubare un portafoglio potrebbe essere legittimo).

Insomma, in conclusione, la proporzione non deve essere intesa in senso matematico, né ha senso la disputa che cerca di capire se l’oggetto del giudizio di proporzionalità siano i mezzi o i beni; la valutazione è affidata all’apprezzamento del giudice, e va effettuata tenendo conto di tutte le circostanze del caso, nonché degli interessi in gioco, come chiaramente dice l’articolo 52, nel momento in cui richiede la proporzione tra offesa e difesa, cioè tra due termini idonei a ricomprendere unitariamente tanto i mezzi che i beni.

In tal senso sembra essere anche la giurisprudenza dominante, secondo la quale, infatti, “La legittima difesa presuppone un’aggressione ingiusta ed una reazione legittima; la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione del diritto, la seconda comporta l’inevitabilità del pericolo, la necessità della difesa e la proporzione tra questa e l’offesa.

Ne consegue che non è giustificabile una reazione quando l’azione lesiva sia ormai esaurita; né può ritenersi legittimo l’uso di mezzi che non siano gli unici nella circostanza disponibili, perché non sostituibili con altri ugualmente idonei ad assicurare la tutela del diritto aggredito e meno lesivi per l’aggressore.

Ed invero il requisito della proporzione viene meno, nel conflitto fra beni eterogenei, quando la consistenza dell’interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell’interesse difeso ed il male inflitto all’aggredito abbia una intensità di gran lunga superiore a quella del male minacciato” (Cass., sez. I, 29.7.1999, n. 9695).

Legittima difesa e proprietà privata

L’articolo 52 è stato modificato nel 2006, con l’aggiunta dei commi 2 e 3:“Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

La riforma ha introdotto dunque una sorta di presunzione assoluta (iuris et de iure) di proporzione fra difesa e offesa, nei casi di reazione avvenuta durante la commissione di delitti di violazione del domicilio ed in presenza di un pericolo di aggressione fisica.

In pratica, la novità legislativa è costituita solo dal diverso concetto che viene introdotto di proporzionalità, fermi restando gli altri presupposti (attualità dell’offesa e inevitabilità dell’uso delle armi); in questo senso Cass. 16677/2007 e 28802/2014.

Al domicilio sono equiparati i luoghi di esercizio di attività economiche; la riforma infatti è stata aggiunta proprio dopo un noto caso di cronaca, in cui un tabaccaio aveva ucciso un rapinatore. Riassumendo, perché operi questa “presunzione di proporzione” è necessario:

  • che ricorra uno dei casi previsti dall’articolo 614, comma 1 e 2 c.p.;
  • che colui che pone in essere la legittima difesa sia legittimato a trovarsi in quel luogo (quindi sia il proprietario, il locatario, o un ospite, ecc.);
  • che vi sia un pericolo per l’incolumità della persona;
  • che venga utilizzata un’arma o un altro strumento di coercizione legittimamente detenuto da chi la adopera.

Stante la relativamente recente novità della norma, la giurisprudenza della Cassazione sul tema è ancora abbastanza scarsa ma, per quanto emerge dalle sue prime applicazioni, è possibile affermare che poche o nessuna novità la norma ha apportato alla fattispecie della difesa domiciliare.

Quella che alcuni infatti vedevano come l’introduzione nel nostro ordinamento della possibilità di difendersi più efficacemente in casa propria, sulla scia del modello americano, si è rivelata come un nulla di fatto dal punto di vista pratico; frequenti sono infatti i casi di proprietari di abitazione che vengono condannati per aver sparato ai ladri introdottosi nottetempo in casa, o nel luogo di lavoro, senza poter apprezzare suscettibili cambiamenti rispetto al passato riguardo al trattamento penale del soggetto.

Cass. 28802/2014 ha confermato, ad esempio, la condanna in appello e in primo grado del proprietario di casa che aveva ucciso un ladro entrato (insieme ad altri) nella sua abitazione di notte, sul presupposto che non fosse in corso un’aggressione personale, in quanto i ladri, vistisi scoperti, si stavano allontanando con l’auto (rubata dal giardino del proprietario) e quindi non esistesse “attualità del pericolo”.

La corte ha precisato che la norma dell’articolo 52 comma 2 non rappresenta una sorta di “licenza di uccidere”, ma vale solo a precisare e definire meglio i contorni della figura quando la legittima difesa è esercitata all’interno del proprio domicilio.

Così Cass. 25663/2008 ha precisato che “ai fini della causa di giustificazione della legittima difesa, il requisito della necessità della difesa va inteso nel senso che la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda, apprezzata ex ante, l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa ugualmente adeguata a tutelare il diritto (nella fattispecie la SC ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto insussistente detto requisito nei confronti di un soggetto che, ricacciato con violenza nella propria abitazione dal suo dirimpettaio e da questi colpito insieme alla figlia con un bastone, aveva perso un coltello da pesca ferendo il vicino – senza spiegare adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta consentissero o meno all’imputato di porre in essere senza pericolo per sé e per sua figlia una iniziativa qualificabile come commodus discessus”).

a cura dell’Avv. Antonio MEZZOMO