L’esistenza di attivita’ non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate e’ desumibile anche sulla base di presunzioni semplici (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Ordinanza 4 aprile 2018, n. 8238).

(Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Ordinanza 4 aprile 2018, n. 8238)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 456-2012 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI CALTANISSETTA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CALTANISSETTA, depositata il 20/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), svolgente attivita’ di panificatore, propone ricorso per cassazione con due motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha rideterminato il maggior reddito accertato a carico del contribuente ai fini dell’IVA, dell’IRPEF e dell’IRAP per l’anno 2003 in Euro 59.161 oltre interessi e sanzioni, a fronte di un reddito dichiarato di Euro 6.562.

Secondo il giudice d’appello appariva violato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), in quanto “gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento sembravano fondarsi sulle presunzioni “gravi precise e concordanti” costituite dalla esiguita’ dei ricavi dichiarati dal contribuente (in appena euro 6.562) e percio’ dall’entita’ della discrepanza con gli studi di settore di appartenenza”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il contribuente denuncia la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. a seguito di omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, della censura sollevata in appello circa il difetto di legittimazione processuale dell’Agenzia delle entrate, per essere sottoscritto l’atto di appello (“per il Direttore (OMISSIS)” dal “Capo Team Legale – (OMISSIS)”), senza che all’atto venisse allegata la delega, ne’ ne venissero specificati gli estremi, ne’ venisse specificata la qualita’ del sottoscrittore.

Il motivo e’ infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “nel processo tributario, il Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 10 e articolo 11, comma 2, riconoscono la qualita’ di parte processuale e conferiscono la capacita’ di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti e’ proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con cio’ stesso delegata in via generale, sicche’ e’ validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (Cass. n. 6691 del 2014, n. 15470 del 2016, n. 874 del 2009).

Nella sentenza impugnata non e’ dato ravvisare il vizio dedotto, atteso che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo: nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilita’ dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame” (ex multis, Cass. n. 29191 del 2017).

Nella specie il rigetto implicito dell’eccezione e’ stato rivelato dall’esame delle questioni concernenti il merito dell’accertamento, incompatibile con l’accoglimento del rilievo in esame.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, contesta che siano gravi, precisi e concordanti gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento, costituiti essenzialmente dall’esiguita’ dei ricavi, appena Euro 6.562, e conseguente discrepanza con gli studi di settore, sulla scorta delle risultanze degli acquisti e delle giacenze.

La censura appare fondata.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), stabilisce che l’esistenza di attivita’ non dichiarate o l’inesistenza di passivita’ dichiarate e’ desumibile anche sulla base di presunzioni semplici purche’ questa siano gravi, precise e concordanti, e cio’ anche nelle ipotesi, come nel caso di specie, in cui la contabilita’ risulti regolarmente tenuta.

Il giudice d’appello ha riformato la sentenza di primo grado – che aveva annullato l’atto impugnato per la “mancata sussistenza del requisito della gravita’ degli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento dell’amministrazione” – in quanto “gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento sembrano fondarsi sulle presunzioni “gravi precise e concordanti”costituite dalla esiguita’ dei ricavi dichiarati dal contribuente (in appena euro 6.562) e percio’ dall’entita’ della loro discrepanza con gli studi del settore di appartenenza”.

Per il resto nulla dice sulla “valutazione sulla scorta delle risultanze degli acquisti e delle giacenze effettuata in base ai documenti fiscali esibiti”, ritenendo tuttavia tali elementi “indicativi di una attendibile ricostruzione della realta’ commerciale presa in esame e dei ricavi presunti jure et de jure”, e ritenendo non condivisibile la decisione di primo grado, “tenuto anche conto delle pari ed insufficienti motivazioni di carattere socio economico, tuttavia non collimanti con l’attualita’ economica del settore della panificazione, che, a fronte di un prezzo di acquisto vile del grano e degli sfarinati, ha applicato rincari tanto esorbitanti da far ritenere gli acquisto del pane e degli altri prodotti accessori quasi fossero beni voluttuari”.

Le considerazioni svolte appaiono logicamente non del tutto lineari: non viene meglio spiegato il riferimento agli studi di settore; le osservazioni di carattere economico non sembrano conducenti; soprattutto, si parte dal dato dell’esiguita’ dei ricavi dichiarati, laddove, considerato l’abnormità dello scarto rispetto al valore accertato – pari a dieci volte il reddito dichiarato – avrebbe dovuto, motivando adeguatamente, pervenirsi a quel valore individuando le componenti dell’asserita mente infedele dichiarazione.

Quanto detto porta a ritenere non corrispondenti alla detta prescrizione gli elementi presuntivi come offerti.

Il secondo motivo del ricorso deve essere pertanto accolto, mentre va rigettato il primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in differente composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in differente composizione.