L’idraulico, chiamato da un cliente di vecchia data, dice che la caldaia è da cambiare, ma non era vero. Condannato per truffa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 2 febbraio 2021, n. 4039).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FILIPPINI Stefano – Rel. Consigliere –

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere –

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) Luigi nato a LECCO il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 25/02/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano FILIPPINI;

lette le conclusioni del PG.

RILEVATO IN FATTO

1. La CORTE di APPELLO di MILANO, con sentenza in data 25/2/2019, riformando solo in punto di pena la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di LECCO, in data 2/2/2018, nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) LUIGI, confermava la condanna del prevenuto per il delitto di truffa aggravata, ritenendo trattarsi di mero errore materiale l’indicazione, nella rubrica del capo d’imputazione, della fattispecie di cui all’art. 646 cod.pen., dal momento che la condotta è descritta in fatto come una truffa.

Infatti, secondo il tenore della contestazione e la concorde ricostruzione della vicenda operata dai giudici del merito, l’imputato, titolare di impresa idraulica, ha ingannato un suo vecchio cliente, (OMISSIS) Giovanni, proponendogli, in occasione di un controllo sul funzionamento della caldaia, la sostituzione della stessa, adducendo che la stessa non fosse più valida (mentre in realtà ancora funzionava); e, una volta ottenuta da parte del (OMISSIS) la sottoscrizione del preventivo, ed incamerato l’acconto di C 900, con scuse varie non si rendeva più disponibile ad effettuare il lavoro né restituiva il denaro.

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo:

– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di truffa, difettandone gli elementi costitutivi, sia oggettivi che soggettivi;

– la sentenza si basa sulle sole dichiarazioni della persona offesa dell’inganno, che non possono ritenersi adeguatamente dimostrative della sussistenza del reato.

Omessa è la risposta al motivo di appello che segnalava la difformità tra reato contestato e quello ritenuto.

3. Con nota del 18.11.2020 la Procura generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivo generico.

1. Le doglianze riproducono infatti pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame (a proposito della mancata dimostrazione della sussistenza di condotte ingannatoria e della concomitante ricorrenza del dolo di truffa), ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente censura.

Invero, il giudice di appello, per affermare l’infondatezza della tesi difensiva, ha, con argomentazioni adeguate e non illogiche, evidenziato la ricorrenza di condotta ingannatoria ravvisabile nel mendacio posto in essere dall’imputato (il quale ha affermato, contrariamente al vero, che la caldaia, all’epoca funzionante, non fosse più idonea); e, quanto al dolo concomitante, anche mediante il richiamo della prima pronuncia, lo si è desunto dai comportamenti sintomatici dell’imputato (differimenti della sostituzione e falsa rappresentazione di un incidente alla mano).

Tutti elementi di fatto alla cui lettura in senso accusatorio evidentemente concorre anche l’atteggiamento processuale dell’imputato, che si è astenuto dal fornire qualsiasi giustificazione.

A fronte di tali argomenti, il ricorrente si limita a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello, integrando così il vizio di aspecificità dei motivi.

1.1. Né può dubitarsi della idoneità del mendacio ad integrare gli estremi dell’artificio o – raggiro, considerando lo specifico affidamento che la persona offesa riponeva nel soggetto agente, del quale era cliente da tempo.

Del resto, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, nella truffa contrattuale l’elemento che imprime alla condotta di inadempimento una connotazione penalmente rilevante è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo – rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (così, da ultimo, Sez. 2, n. 7812 del 20/12/2019, Rv. 278087).

Nel caso di specie, invero, è, in particolare, configurabile una c.d. truffa contrattuale, essendosi la vittima determinata alla sottoscrizione del preventivo di spesa per la sostituzione ed il montaggio di una nuova caldaia – che avrebbe altrimenti rifiutato – nella erronea convinzione che la caldaia fosse non più idonea; con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta, limitandosi a riproporre una diversa lettura in fatto delle evidenze processuali e ribaltando sul tavolo della legittimità i medesimi motivi di doglianza espressi nella sede di merito.

D’altra parte, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri (Sez. 2, sent. n. 51538 del 20/11/2019).

Ciò posto, nel caso di specie appare perfettamente integrata in tutti i suoi elementi costitutivi la fattispecie di reato di cui all’art. 640 cod.pen..

2. Quanto poi alla corretta qualificazione giuridica della condotta, che nell’imputazione è indicata nell’art. 646 cod.pen. piuttosto che nell’art. 640 cod.pen., evidente è, come affermato dalla Corte territoriale, la ricorrenza di mero errore materiale, atteso che la descrizione della condotta criminosa contempla l’elemento del raggiro e dell’induzione in errore, costitutivi del reato di truffa.

3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 03/12/2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.