L’imputato, al momento del fermo, sostiene che la droga è per uso personale non sapendo che era sotto osservazione da parte dei Carabinieri (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 20 gennaio 2020, n. 1881).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ANDREA nato a CASTEL VOLTURNO il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 15/01/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Gaetano DE AMICIS.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il difensore di Andrea (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 15 gennaio 2019 con la quale la Corte d’appello di Napoli ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che all’esito di giudizio abbreviato lo condannava alla pena di anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa per il reato di illecita detenzione e cessione, nei confronti di un acquirente non identificato, di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando, nel resto, la decisione impugnata.

Nel ricorso si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità, difettando in atti la presenza di adeguati riscontri oggettivi della ipotizzata cessione di sostanze stupefacenti e trattandosi, di contro, di una mera detenzione per uso personale.

Analoghi vizi, inoltre, involgono la mancata concessione delle invocate attenuanti generiche.

2. Il ricorso è inammissibile perché i motivi sono diversi da quelli consentiti, genericamente enunciando – pur a fronte di un vaglio delibativo specificamente effettuato nelle conformi decisioni di merito e sorretto da una motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che, soli, rilevano ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – una serie di deduzioni risolventisi nella mera sollecitazione ad una diversa o alternativa, e come tale non consentita, rivalutazione di questioni di merito già congruamente ed esaustivamente affrontate dalla Corte d’appello, che nel richiamare le inequivoche risultanze del compendio probatorio ha preso in esame e coerentemente disatteso gli analoghi rilievi difensivi qui reiterati, ponendo in evidenza la dirimente circostanza di fatto che, pur a prescindere dai numerosi e convergenti elementi indiziari singolarmente e globalmente valutati ai fini dell’accertamento della illecita detenzione per uso non personale, l’imputato, prima dell’intervento effettuato dai militari operanti, era stato direttamente osservato da personale in borghese – che per l’appunto sollecitava l’intervento subito dopo operato dalla pattuglia dell’aliquota radiomobile dei Carabinieri – mentre cedeva una dose dello stupefacente da lui detenuto ad una persona che gli si avvicinava nei pressi di un esercizio frequentato da giovani, laddove le giustificazioni al riguardo addotte risultavano del tutto contraddette dalle stesse circostanze di fatto dai militari operanti evidenziate nel verbale di arresto e dai Giudici di merito puntualmente rappresentate in motivazione.

Congruamente motivato, infine, deve ritenersi il diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte distrettuale globalmente valutato, in termini del tutto esenti da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili, l’assenza di elementi a tal fine positivamente apprezzabili, le modalità di realizzazione del fatto – verificatosi in una zona abitualmente frequentata da giovani – e le connotazioni del comportamento processuale nel caso di specie osservato.

3. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.