L’imputato beccato in possesso di pochi grammi di eroina: condannato per spaccio (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 12 marzo 2021, n. 9913).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – Rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio –  Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Giuseppe, nato a (OMISSIS) il 23 aprile 19xx;

avverso la sentenza n. 1366/2019 della Corte di appello di Catanzaro del 10 aprile 2019;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gianluigi PRATOLA, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni scritte rassegnate dall’avv. Valerio (OMISSIS), del foro di Catanzaro, nell’interesse dell’imputato con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 10 aprile 2019, la Corte di appello di Catanzaro ha integralmente confermato la precedente sentenza, del 18 luglio 2016, con la quale il Tribunale di Catanzaro, ritenuta la penale responsabilità di (OMISSIS) Giuseppe in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990, per avere lo stesso, a fine di spaccio, detenuto sostanza stupefacente, del tipo eroina in misura pari a gr 3,6, suddivisa in 13 involucri di cellophane di gr 0,20 ciascuno, lo aveva, pertanto, condannato, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.

Ha interposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza di appello l’imputato, tramite il proprio difensore fiduciario, articolandolo sulla base di due motivi.

Con il primo di essi il ricorrente si è doluto della inosservanza e/o erronea applicazione della legge in cui sarebbe incorso il giudice del gravame nonché del vizio di motivazione della sentenza da questo emessa in particolare in relazione alla dimostrazione della destinazione della sostanza stupefacente ad essere ceduta a terzi.

Il secondo motivo di impugnazione riguarda la mancata considerazione del fatto che il prevenuto è soggetto tossicodipendente e, pertanto, lo stesso era il destinatario dello stupefacente di cui alla contestazione, la cui destinazione allo spaccio non è, in ogni caso, sostenuta da indizi gravi, precisi e concordanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso nei termini in cui lo stesso è stato proposto, è inammissibile e per tale esso va dichiarato.

Quanto al primo motivo di ricorso, legato alla avvenuta dimostrazione della destinazione allo spaccio dello stupefacente rinvenuto nel possesso del (OMISSIS), si osserva che nel ritenerla la Corte calabrese ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali formatisi in argomento.

Infatti, sebbene questa Corte abbia rilevato che, in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari non è fattore di per sé idonea a giustificare l’inversione dell’onere della prova in merito alla destinazione di essi al consumo non esclusivamente personale (fra le tante: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 marzo 2009, n. 12146), tuttavia si è rilevato, sempre da parte di questa Corte regolatrice, che nel ricostruire gli elementi indicativi di tale destinazione il giudice deve valutare tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza ovvero della manifesta illogicità della motivazione (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 14 febbraio 2018, n. 7191).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha, plausibilmente e di sicuro non in termini di manifesta illogicità, valorizzato il dato, non diversamente spiegabile sul piano della ragionevolezza, che lo stupefacente era già suddiviso e confezionato in dosi singole, peraltro nel non trascurabile numero di 13, circostanza questa che si giustifica non nel caso della destinazione all’uso personale ma solo in funzione della sua preparazione per la cessione di esso a diversi singoli destinatari.

Il fatto che il (OMISSIS) non fosse, al momento del suo arresto, nella disponibilità di strumenti atti alla pesatura della sostanza, attività funzionale alla suddivisione in dosi singole, non ha alcun rilievo, posto che, come correttamente messo in luce dalla Corte territoriale, seppure siffatta attività sia stata in precedenza posta in essere dal prevenuto e non da suoi eventuali complici, non vi era alcuna necessità che lo strumento atto alla bisogna fosse custodito all’interno della vettura ove il (OMISSIS) si trovava al momento del controllo, posto che si trattava di attività che era stata, con tutta certezza, realizzata altrove ed in sede dotata di maggiore discrezione.

Inammissibile è anche il secondo motivo, riguardante la omessa valutazione, quale elemento atto ad escludere la destinazione dello stupefacente allo spaccio, dello stato di tossicodipendenza del prevenuto.

Tale sua condizione, infatti, è ben stata considerata in sede di motivazione da parte dei giudici del merito e, in termini del tutto condivisibili, ritenuta non tale da giustificare di per sé la esclusione della sussistenza del reato al (OMISSIS) contestato, essendo, peraltro, di comune esperienza il fatto che la manovalanza del piccolo spaccio di stupefacenti (e di piccolo spaccio ora si tratta, come emergente dalla qualificazione del reato in termini di episodio di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990) è spesso rappresentata da soggetti, a loro volta, assuntori di sostanze stupefacenti che in tal modo possono trarre i mezzi materiali per alimentare la loro dolorosa dipendenza.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18/12/2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.