L’imputato, già sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di P.S., beccato dai Carabinieri con 100 g di cocaina (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 8 luglio 2020, n. 20133).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SEMERARO PASQUALE nato a CORIGLIANO CALABRO il 29/07/1982;

avverso l’ordinanza del 06/12/2019 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni del PG ETTORE PEDICINI che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6/12/2019 il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riesame personale avverso l’ordinanza emessa in data 26/11/2019 con la quale il GIP del Tribunale di Cosenza applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Semeraro Pasquale, in quanto indagato per il reato di cui agli articoli 110 e 73 co. 1 DPR 309/90 (capo A dell’incolpazione provvisoria).

Era accaduto che il 29 novembre 2019, alle ore 12, nel corso di un servizio teso alla prevenzione e repressione di reati in materia di stupefacenti, i carabinieri della compagnia di Cosenza, in abiti civili con autovettura di copertura, avevano proceduto al controllo dell’autovettura Mercedes classe B targata DG470HD , che nella circostanza circolava nel centro abitato di Cosenza con fare sospetto con a bordo due uomini.

In particolare, l’autovettura in questione, nel mentre si dirigeva sulla rampa di accesso all’autostrada del Mediterraneo A/2, veniva affiancata dalla pattuglia e nella circostanza veniva intimato al conducente di fermarsi (utilizzando il lampeggiante istituzionale la relativa paletta rifrangente), mentre la stessa era seguita dalla seconda pattuglia.

Durante tale invito il conducente della Mercedes poneva in essere delle manovre azzardate, rallentando per poi accelerare, procedendo a destra e sinistra per cercare di trovare spazio per sfuggire al controllo, tanto che gli operanti si vedevano costretti a limitare la corsia di marcia al veicolo, restringendolo forzatamente fino a farlo affiancare al guardrail.

In tale concitata azione, gli operanti osservavano che il soggetto che occupava il posto anteriore destro, lato passeggero, apriva lo sportello anteriore destro dell’autovettura e lasciava cadere un involucro di colore bianco, la cui caduta veniva monitorata dai carabinieri che, una volta bloccato il veicolo, lo recuperavano e potevano constatare che risultava contenere sostanza polverosa di colore bianco, risultata essere stupefacente del tipo cocaina del peso di 100 grammi.

Contestualmente, al fine di procedere ad un ulteriore ed approfondito controllo di polizia, i predetti occupanti del veicolo fermato, successivamente identificati in Semeraro Pasquale e Terranova Giovanni, venivano accompagnati presso gli uffici del N.O.R. e, dagli accertamenti praticati presso la Banca Dati Interforze, si aveva modo di riscontrare che l’odierno ricorrente Semeraro Pasquale risultava essere sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di P.S., in forza del decreto emesso dal Tribunale di Cosenza il 5.7.2006 (n. 11/05 RMSP -. 40/06 Decr. .Dec.), con il quale gli veniva imposto, tra l’altro, di vivere onestamente, di rispettare le leggi, di non dare ragione a sospetti e di non allontanarsi dal Comune di residenza (Corigliano Calabro) senza preventivo avviso all’autorità locale di Pubblica Sicurezza, contravvenendo – pertanto – a tale prescrizione, poiché in data 24.11.2019 veniva controllato nel Comune dì Cosenza, senza comprovata esigenza e, comunque senza averne dato tempestiva notizia all’Autorità locale di P.S. .

La sostanza rinvenuta veniva in ogni caso sottoposta a narcotest, che ne confermava la natura nei termini sospettati dagli operanti.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, il Semeraro ammetteva l’addebito, assumendo che la sostanza rinvenuta era soltanto sua e che l’aveva poco prima acquistata al prezzo di 2000 euro da una donna di Cosenza per destinarla ai suo consumo personale.

2. Ricorre Semeraro Pasquale, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

Con un unico motivo si deduce vizio motivazionale in relazione agli artt. 546 e 192 cod. proc. pen.

Il ricorrente contesta l’erroneità dell’ordinanza in relazione alla ritenuta rilevante quantità, in quanto al Semeraro venivano rinvenuti 100 grammi di cocaina che, come dallo stesso riconosciuto, venivano utilizzati per venderli, sporadicamente, al fine di procacciarsi qualche piccolo guadagno extra.

Si rileva l’insufficienza della motivazione in relazione all’avvenuta esclusione della ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’ad 73 D.P.R. 309/90, che non sarebbe stata minimamente valutata, a fronte di quello che viene definito un non elevato quantitativo di droga sequestrato.

Si evidenzia che il reato rientrerebbe nelle ipotesi del cosiddetto piccolo spaccio, così come configurato dal principio stabilito con sentenza di questa Corte Sez. 6, n. 15642 del 27/1/2015, Rv. 263068.

Il Semeraro contesta il ragionamento seguito dal GIP e, successivamente, dal Tribunale di Catanzaro al fine di escludere la minore portata della condotta in quanto mancherebbero del tutto le necessarie specificazioni e spiegazioni con riferimento a presumibili dosi e qualità della sostanza, definita stupefacente, senza alcuna indicazione delle percentuali di principio attivo.

I giudici, a fronte del non rilevante quantitativo di sostanza stupefacente non avrebbero evidenziato gli elementi necessari a ritenere la cessione non episodica, tanto più che non risultano evidenziati atti di cessione, e avrebbero omesso la necessaria valutazione comparativa di tutti gli elementi normativamente indicati, sia relativi all’azione che all’oggetto materiale del reato come quantità e qualità dello stupefacente, allo stato sconosciuti in mancanza di esami di laboratorio.

Il convincimento dei giudici si sarebbe formato, quindi, solo sulla base del dato ponderale, di per sé insufficiente, in assenza di altri elementi, data la modesta quantità.

Il ricorrente rileva, poi, in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari che a seguito delle modifiche dell’art. 274, comma 1, lett c), cod. proc. pen. introdotte con la legge 16 aprile 2015, n 47, il pericolo che l’indagato commetta altri delitti debba essere non solo concreto ma anche attuale, dolendosi della mancanza di un’idonea valutazione del rischio di recidiva e di un giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare fondato su elementi concreti e non congetturali.

Tale necessaria valutazione sarebbe completamente assente nel provvedi- mento del GIP, mentre il tribunale si limiterebbe a parlare genericamente di spregiudicatezza nella condotta del Semeraro.

Infine nessuna motivazione sarebbe stata fornita sulla scelta della misura applicata.

Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, disponendo i provvedimenti del caso.

3. In data 28/5/2020 il P.G. presso questa Suprema Corte ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’odierna udienza camerale senza discussione orale celebrata ai sensi dell’art. 83, comma 12-ter, d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla I. 24 aprile 2020, n. 27 chiedendo dichiararsi inammissibile il proposto ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Va rilevato, in primis, che il difensore ricorrente ripropone, tout court, quelli che sono stati i motivi di riesame, contestando genericamente, in realtà senza confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte dal Tribunale di Catanzaro a sostegno del rigetto del proposto gravame.

Il ricorrente contesta la mancata applicazione dell’ipotesi di lieve entità adducendo un vizio motivazionale inesistente e riproponendo le questioni relative alla mancata indicazione del principio attivo della sostanza e alla carenza motivazione sulle circostanze e modalità del fatto, già ampiamente vagliate dall’impugnato provvedimento.

Il Tribunale di Catanzaro ha non solo evidenziato il cospicuo quantitativo di stupefacente (100 grammi di cocaina), ma ha anche dato conto, in primo luogo, della mancata allegazione della qualità di tossicodipendente del Semeraro, con conseguente destinazione allo spaccio della sostanza.

Ha sottolineato, inoltre, la grave offensività della condotta, tenuto conto che il Semeraro era sottoposto a misura di sorveglianza speciale (l’odierno ricorrente, sfornito di patente, organizzava la “spedizione a Cosenza”, avvalendosi dell’ausilio e dell’autovettura del coindagato Terranova, al precipuo fine di acquistare, munito del danaro necessario, un quantitativo di cocaina tanto ingente da non potere che essere destinata allo spaccio; infine i due coindagati, come sopra ricordato, tentavano di eludere il controllo della P.G. ponendo in essere manovre azzardate al fine di darsi alla fuga e di sottrarsi al controllo.

Correttamente i giudici calabresi evidenziano che, ai fini del riconoscimento dell’ipotesi di reato meno grave di, cui all’art. 73, co. 5, Dpr. 309/90, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata al comportamento collaborativo del reo post delictum (la confessione), ma deve essere correlata alla concreta offensività della condotta desunta dai canoni espressamente indicati dalla norma, cioè, la qualità, e quantità della sostanza stupefacente e le modalità, e circostanze dell’azione, elementi da valutarsi unitariamente.

Ebbene, l’ordinanza impugnata offre una valutazione di gravità del fatto perfettamente espressa, attraverso una motivazione ampia e rigorosa, che appare pienamente conforme al costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (cfr. ex multis, sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero di clienti (conf. Sez. 3, . 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).

Va anche qui ribadito il dictum di questa Corte di legittimità secondo cui in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralità di con- dotte di cessione della droga, così come la diversità di sostanze detenute e/o spacciate, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entrano in considerazione nella valutazione dei sopra ricordati parametri, dettati dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione og- gettiva (conf. Sez. 3, n. 6871 dell’8/7/2016 dep. 2017, Bandera, Rv. 269149).

E va anche ricordato il condivisibile principio, pure affermato di recente da questa Corte di legittimità -e che va qui ribadito- che, ai fini del riconoscimento dell’ipotesi lieve prevista dall’art. 73, comma quinto, D.P.R. 9 ottobre 1990, quando ricorre la contestuale detenzione spazio-temporale di sostanze stupefacenti di diversa na- tura, deve effettuarsi un’unica, complessiva valutazione della condotta illecita (così Sez. 4, n. 28561 del 25/05/2016, Zuccaro, Rv. 267438, fattispecie in cui la Corte ha escluso il riconoscimento dell’ipotesi lieve con riferimento alla condotta di detenzione di droga “pesante”, unitamente ad una rilevante quantità di droga leg- gera).

Tale circostanza, unitamente alle modalità dei fatti contestati, ha corretta- mente indotto il tribunale a ritenere inadeguate misure di cautela attenuate rispetto alla custodia in carcere.

3. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente – e per- tanto immune dai denunciati vizi di legittimità, anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate.

Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.

Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualità, l’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – che qui interessa, essendo la misura stata confermata in relazione a tale esigenza – come novellato dalla legge n. 47/2015 stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte – con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) – soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell’attualità, ricavabili dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali;

con l’ulteriore precisazione – ancora introdotta dalla I. n. 47 del 2015 – per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.

La ratio dell’intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso Libro IV, titolo I, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell’avvertita necessità di richiedere al giudice un maggiore e più compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all’individuazione delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., in ordine alle quali, quindi, non risulta più sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell’attualità. In realtà, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell’8/10/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l’incipit della lett. c) dell’art. 274 cit. (“specifiche modalità e circostanze del fatto”; personalità dell’imputato o indagato “desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”).

Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell’imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicità e contraddittorietà della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).

Più precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’art. 274 comma primo lett. c) cod. proc. pen., può e deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141).

Ed è stato, in più occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere.

In altri termini, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (cfr., ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07).

Nello specifico, è stato più volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen., il giudice possa porre a base della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del mede- simo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, Rv. 255763)..

4. Tornando all’intervento riformatore del 2015, questa Corte di legittimità, in più pronunce sul punto, ha condivisibilmente chiarito (vedasi, soprattutto, Sez. 4 n. 43880 del 4/7/2017 El Mouttaqi Raquid, non mass.) che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell’indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall’analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed “esterne” all’accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto – quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele – che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva, conseguendone che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (cfr. Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Lucà, Rv. 268977 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una “specifica occa- sione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016 dep. il 2017, Verga, Rv. 269684).

Orbene, nel caso che ci occupa il tribunale calabrese appare avere assolto al suo onere motivazionale evidenziando come le specifiche modalità e circostanze del fatto.

Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, i giudici del gravame cautelare ritengono che sussista il pericolo di reiterazione del reato, avuto riguardo alle già commentate modalità e circostanze del fatto, che unitariamente considerate, denotano una personalità avulsa dalle regole ed incurante delle prescrizioni dell’A.G.

Ed invero, la spregiudicatezza dimostrata allontanandosi, senza preventiva comunicazione e autorizzazione, dal Comune in cui aveva l’obbligo di soggiorno per effetto della misura di prevenzione, sommata, alla finalità, conseguita, di acquistare 100 grammi di cocaina da destinare allo spaccio, rendono particolarmente grave il fatto accertato, dovendosi escludere, come invece dallo stesso riferito nel corso dell’interrogatorio, che l’odierno ricorrente abbia effettuato un acquisto occasionale, poiché il costo della sostanza ricevuta, in uno con le modalità del fatto (essersi fatto accompagnare da un soggetto munito di patente a Cosenza) depongono per la preordinazione del viaggio a Cosenza proprio per rifornirsi di sostanza stupefacente.

Il provvedimento impugnato – soddisfacendo pienamente l’onere motivazionale richiesto – evidenzia anche che non vi sono allora dubbi sulla spiccata pericolosità sociale dell’indagato, essendo elevato il pericolo che lo stesso, se lasciato libero, possa commettere reati della stessa specie.

La concretezza e attualità delle esigenze di cautela – va infatti ribadito – non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (cfr. Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Rv. 267785).

Il pericolo si palesa concreto ed attuale, considerata la spregiudicatezza, dimostrata e la notevole spinta a delinquere che ha mosso il Semeraro a porre in essere, nonostante la sorveglianza speciale, la condotta contestata, aspetti questi che conducono i giudici calabresi a formulare un giudizio negativo sulla personalità del’ ricorrente e a non riconoscergli alcun credito fiduciario in ordine alla futura e spontanea astensione dal crimine.

5. Venendo, in ultimo, alle doglianze in punto di adeguatezza della misura, va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimità valorizza l’importanza dei principi generali di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive (arti- colo 275, comma 1, cod. proc. pen.), che impongono di prescegliere la misura più adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell’indagato.

Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore dì un “ventaglio” di misure di gravità crescente, il criterio di “adeguatezza” di cui all’articolo 275, comma 1, cod. proc. pen., dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” (anche ribadito dalla Corte Costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011 n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650).

Pertanto, nel provvedimento restrittivo è necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze cautelari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest’ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell’articolo 275, comma 3, primo periodo, cod. proc. pen., che sottolinea la funzione residuale e “quasi eccezionale” della misura cautelare della custodia in carcere (così le citate SS.UU. Lovisi).

Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo dell'”adeguatezza” della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perché ritenuta “adeguata”, la misura della custodia in carcere, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati, nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità.

Ciò risulta in continuità con quanto pacificamente affermato anche in precedenza dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo as- sorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/4/2011, Cardoni, Rv. 250060; conf. Sez. 1, n. 45011 del 26/9/2003, Villani, Rv. 227304).

In altra pronuncia era stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, è immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalità del soggetto che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di soggetto violento e proclive a reati commessi mediante l’uso di violenza personale; e questo ancorché la previsione di cui all’art. 275 cod. proc. pen. non ponga a carico del giudice l’obbligo di una motivazione analitica sull’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l’unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa è la permanenza in carcere (Sez. 5, n. 9494 del 19/10/2005 dep. il 2006, Pannone, Rv. 233884).

Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, va osservato che nel caso che ci occupa, il tribunale calabrese dà conto di avere valutato la natura del reato per cui si procede e la personalità dell’indagato (cfr. pag. 5 dell’ordinanza impugnata) ed all’esito di avere ritenuto che l’unica misura idonea fosse quella della custodia cautelare in carcere, tenuto anche conto, come visto, della dimostrata indifferenza di misure fiduciarie che renderebbe inadeguati allo scopo anche gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della san- zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

Vanno dati gli avvisi di cui all’art. 94 c. 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria l’8 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.