L’imputato ha accumulato proventi illeciti, no al gratuito patrocinio (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 16 settembre 2020, n. 26053).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla – Presidente

Dott. CENCI Daniele – Rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PENNACCHIO DARIO nato a BALSORANO il 06/07/1951;

avverso il decreto del 06/02/2019 del TRIBUNALE di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Daniele CENCI;

lette le conclusioni del PG

RITENUTO IN FATTO

1. Dario Pennacchio ricorre, tramite difensore di fiducia, per la cassazione del provvedimento con cui il 24 luglio – 19 agosto 2019 il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione presentata avverso il rigetto in data 6-8 febbraio 2019 di ammissione del richiedente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

2. Il ricorrente si affida ad un unico, complessivo, motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge, sotto più profili (artt. 76, 99 e 92 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), e difetto di motivazione.

L’ordinanza impugnata sarebbe illegittima ed erronea, avendo ritenuto sussistente la presunzione “di supero” di cui all’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, trascurando, però, che la Corte costituzionale nel 2010 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma. Inoltre, non spetterebbe all’Autorità giudiziaria ma, ad avviso del ricorrente, «spetta semmai all’Autorità amministrativa unicamente il controllo delle condizioni per il patrocinio a spese dello Stato, per nulla rilevando da solo il casellario giudiziale dell’imputato Pennacchio Dario che piuttosto dimostra l’indigenza del Pennacchio» (così alla p. 2 del ricorso).

Ancora: il Tribunale farebbe illegittimamente riferimento ai redditi dei familiari, con i quali, però, l’imputato – si sottolinea – non ha più contatti da anni, come potrebbe essere dimostrato da informazioni da richiedersi all’Ufficio colloqui del carcere in cui attualmente si trova e «e come risulta altresì al sottoscritto difensore che dovendo comunicare col Pennacchio lo ha cercato dai suoi familiari però senza esito alcuno» (così alla p. 2 del ricorso).

Inoltre, ad ulteriore comprova della impossidenza di Dario Pennacchio, !Imputato sarebbe senza dimora e vivrebbe in automobile, come potrebbe facilmente accertarsi dai procedimenti penali citati nell’ordinanza impugnata.

Il provvedimento sarebbe ulteriormente illegittimo e la relativa motivazione contraddittoria, essendosi il decidente avvalso di meri automatismi; peraltro «nel caso in esame il Giudice ha solo indicato il numero di condanne per furto e tentato furto per ipotesi di reato datate nel tempo e lontane di oltre 6 anni orsono, laddove il reddito da indicare è relativo allo scorso anno finanziario come ben noto» (così alla p. 3 del ricorso).

Infine, con postilla manoscritta alla p. 3 del ricorso prima delle richieste finali, «si rappresenta […] che il Pennacchio D. è sempre stato, laddove presentata istanza, ammesso». Si domanda, quindi, l’accoglimento dell’impugnazione e l’accoglimento dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

3. Il Procuratore Generale nella requisitoria del 14-15 aprile 2020 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.

Si osserva, anzitutto, che ha motivatamente osservato il P.G. (alla p. 1 della requisitoria) come «il ricorso, per la forma e lo stile di redazione, si collochi al limite della ricevibllità come atto di accesso alla Corte di cassazione da parte di professionista abilitato al patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori».

2. Ciò posto, va premesso che il provvedimento di rigetto dell’ammissione al patrocino a spese dello Stato è ricorribile per cassazione solo per violazione di legge ai sensi dell’art. 99, comma 4, del d.P.R. n. 115 del 2002, categoria in cui rientra la mancanza di motivazione ma non già il vizio riguardante la congruità delle valutazioni del giudice. Infatti, quanto al tema della ricorribilità per vizi lato sensu attinenti alla motivazione dei decreti di rigetto della opposizione alla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, si è già, in più occasioni, osservato che «Il provvedimento di rigetto dell’ammissione al patrocino a spese dello Stato è ricorribile per cassazione soltanto per violazione di legge ex art. 99, comma quarto, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella quale rientra la mancanza di motivazione ma non il vizio riguardante la congruità delle valutazioni del giudice» (Sez. 4, n. 22637 del 21/03/2017, Attanasio, Rv. 270000-01; in termini, tra le altre, Sez. 4, n. 16908 del 17/02/2012, Grando, Rv. 252372-01).

3. Essendo il vizio di violazione di legge solo apparentemente invocato nel ricorso ma non realmente né seriamente dedotto ed essendo il provvedimento impugnato assistito da motivazione che non è né assente né illogica né viziata, discende la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

In ogni caso, è appena il caso di osservare che l’impugnazione è in larga parte assertiva (tra l’altro, il difensore stesso – si legge – potrebbe “testimoniare” circa la impossibilità di rintracciare i familiari), costruita in fatto (l’imputato vivrebbe in auto), non supportato da documentazione, erroneo in diritto (il provvedimento impugnato non si fonda sulla presunzione “di supero” di cui all’art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, su cui è intervenuta – come noto – la Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 16 aprile 2010; né l’eventuale ammissione disposta da altri giudici in differenti procedimenti può costituire “precedente vincolante”; la verifica è affidata dal d.P.R. n. 115 del 2002 al giudice che procede, non certo ad autorità amministrative, tenute a fornire all’A.G. informazioni utili) e non si confronta con il provvedimento impugnato, che non valorizza il reddito dei familiari (p. 3) e che dà atto di una lunghissima serie di reati consumati contro il patrimonio, posti in essere dall’imputato senza soluzione di continuità per circa quaranta anni, da cui si trae – non illogicamente né illegittimamente – la convinzione circa la sussistenza di rilevanti fonti di reddito illecito.

Ciò è in linea con l’insegnamento di Sez. 4, n. 44900 del 18/09/2018, Troiano, Rv. 274271-01, cui occorre dare continuità: «Ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato il giudice deve tenere conto anche dei redditi da attività illecite percepiti dall’istante, la cui esistenza può essere provata anche ricorrendo a presunzioni semplici; tuttavia l’indicazione, ad opera della legge, di un limite reddituale al di sotto del quale l’imputato ha diritto al beneficio, impone al giudice di indicare sulla scorta di quali elementi si possa ritenere superata tale soglia (Fattispecie di annullamento con rinvio dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio che aveva desunto l’insussistenza del requisito reddituale esclusivamente dalla presenza di precedenti penali, per reati contro il patrimonio, a carico del ricorrente,omettendo di considerare che l’unico precedente risalente all’anno di riferimento era un delitto tentato, da cui il ricorrente non aveva tratto reddito)».

4. Il ricorrente va quindi condannato, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali; ed è anche tenuto a versare alla Cassa delle ammende la somma, che si ritiene conforme a diritto ed equa, in dispositivo.

Motivazione semplificata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 24/07/2020.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.