L’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché risultano coperti dal patteggiamento (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 7 febbraio 2020, n. 5119).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONI Monica – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

SANTOVITO GAETANO nato a TARANTO il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 04/04/2019 del TRIBUNALE di TARANTO;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Carlo RENOLDI;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza in data 4/4/2019, pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Taranto aveva applicato, nei confronti di Gaetano Santovito, la pena di un anno e due mesi di reclusione, con la contestata recidiva e la diminuente del rito, in relazione al reato di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, per avere trasgredito le prescrizioni della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso imputato per mezzo del Difensore di fiducia, avv. Fabrizio Lamanna, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

In particolare, il ricorso censura la mancata indicazione delle fonti di prova e l’omessa motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto oggetto di imputazione e alla quantificazione della pena, non essendo stati esplicitati i passaggi logici attraverso cui sarebbe stata ritenuta equa la pena prospettata dalle parti.

3. Tanto premesso, deve rilevarsi che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo processuale in conseguenza del quale l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena.

Da parte sua, il giudice ha il dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo avere accertato che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen..

Ne discende che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché risultano coperti dal patteggiamento.

Nel caso di specie, le doglianze difensive proposte nell’interesse dell’imputato appaiono prive di specificità e comunque manifestamente infondate.

Ciò in ragione del fatto che il Tribunale ha correttamente qualificato i fatti ascritti all’imputato nel capo di imputazione, facendo riferimento alle relative fonti di prova (costituite, in particolare, dal verbale di arresto dei Carabinieri del Nucleo operativo radiomobile di Taranto in data 4/4/2019, ove di faceva riferimento alla individuazione dell’imputato nella locale piazza Garibaldi in orario non consentito dal decreto applicativo della misura di prevenzione) e ha, puntualmente, applicato la pena richiesta, ritenuta congrua alla stregua dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., senza incorrere in vizi o errori logici o di calcolo, censurabili con il ricorso per cassazione.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.

5. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.

PER QUESTI MOTIVI

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.

Così deciso il 16/10/2019.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.