REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
GIACOMO TRAVAGLINO -Presidente
LINA RUBINO -Consigliere – Rel.
FRANCESCO MARIA CIRILLO -Consigliere
ENZO VINCENTI -Consigliere
ANTONELLA PELLECCHIA -Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 26247/2020 proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);
-ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) in persona del Legale Rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2038/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 14/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2023 dal cons. dott.ssa Lina Rubino;
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2008 (omissis) (omissis) conveniva in giudizio l (omissis) (omissis) d’ora innanzi, per brevità, ASP) per sentirne dichiarare la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli esiti anomali dell’intervento chirurgico di mastectomia sottocutanea bilaterale con contestuale ricostruzione del seno (finalizzata alla espansione mammaria) al quale si era sottoposta nel 2006: esponeva che, pochi giorni dopo l’intervento, in sede di controlli post-operatori, si accertava una posizione anomala degli espansori cui si associava lo stato febbrile della paziente, quindi una forte infiammazione locale e, nell’arco di qualche giorno, si accertava una flogosi da stafilococco aureo, cui faceva seguito una infezione diffusa con fuoriuscita di materiale purulento.
Dopo pochi giorni, le protesi mammarie installate dovevano essere entrambe asportate chirurgicamente, in presenza di necrosi cutanea nella regione mammaria sinistra.
La (omissis) dietro consiglio dei propri medici di fiducia, evitava di sottoporsi ad intervento chirurgico riparativo.
Lamentava di aver riportato una situazione irreversibile di devastazione mammaria toracica, aggravata da una importante sintomatologia dolorosa con limitazione anche nei movimenti, della quale ascriveva la responsabilità agli inadeguati controlli post-operatori eseguiti in ospedale, per non aver affrontato con la tempestività necessaria la complicazione flogistica associata al rigetto delle protesi.
2. Il Tribunale di Modena adito accoglieva la domanda di risarcimento danni proposti dall’attrice condannando la ASP al pagamento in favore dell’attrice della somma complessiva di euro 96.225,80.
3. La (omissis) proponeva appello, ritenendo che la quantificazione dei danni fosse inidonea a coprire l’intero danno riportato, ribadendo di aver riportato un danno biologico non inferiore al 30-32%, e di aver diritto al risarcimento del danno morale e esistenziale, unitamente alla perdita di chance, in considerazione della incidenza della devastazione fisica non solo sulle sue condizioni fisiche e psicologiche ma sui suoi rapporti sociali e lavorativi, tenuto conto della giovane età – (omissis) – all’epoca dell’intervento e dell’attività svolta all’epoca, di ragazza immagine.
4. L’impugnazione veniva rigettata.
La sentenza d’appello confermava la decisione di primo grado, rilevandone la correttezza nel motivare la quantificazione degli esiti permanenti nel 22-23% anziché nella più elevata percentuale stimata dal consulente di parte, sulla base dei motivati esiti della c.t.u. confermava quindi la quantificazione del danno biologico, effettuata tenendo conto di quella percentuale di invalidità e facendo applicazione delle tabelle milanesi riteneva non provate circostanze atte a giustificarne un aumento in via di personalizzazione rigettava la domanda volta al risarcimento del danno esistenziale in quanto duplicatoria, ed anche la domanda volta al risarcimento del danno morale in quanto, sebbene autonomamente risarcibile, non provato.
Infine, rigettava la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances lavorative, ritenendo non provato l’avvio alla carriera di modella o ragazza immagine da parte della (omissis) che l’appellante denuncia esserle definitivamente precluso dalla deturpazione estetica permanente.
5. (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria nei confronti della (omissis) (omissis) per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2038 del 2020, pubblicata il 14 luglio 2020 e notificata il 15 luglio 2020.
6. Resiste con controricorso illustrato da memoria l'(omissis) (omissis).
7. La causa è stata avviata in trattazione in adunanza camerale non partecipata.
8. Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la signora (omissis) deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 101, 115, 116 e 132, secondo comma, numero 4 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla quantificazione del danno biologico, per non aver considerato, in particolar modo, il danno estetico e il danno anatomico funzionale subito in giovane età.
2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 101, 115, 116 e 132, comma secondo, nonché degli articoli 346 e 350 p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi del giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla ritenuta rinuncia, da parte sua, alle istanze istruttorie aventi ad oggetto la richiesta di personalizzazione del danno non patrimoniale e di autonomo riconoscimento del danno morale nonché del danno da perdita di chance.
Censura la sentenza impugnata là dove la corte d’appello ha ritenuto quelle istanze di prove orali, con le quali la ricorrente voleva provare sia il dolore subito per il grave danno estetico, oltre che funzionale, e la perdita delle possibilità di una qualsiasi carriera che puntasse sul suo avvenente aspetto, abbandonate perché non riproposte nelle conclusioni finali del primo grado di giudizio, e quindi, benché le stesse fossero state riproposte nell’atto di appello, non tenute in conto dalla Corte territoriale.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 101, 115, 116 e 132, comma quarto, nonché degli articoli 346 e 350 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’omessa personalizzazione del danno, al rigetto della domanda di risarcimento del danno morale e al rigetto della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.
4. Infine, con il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 secondo comma p.c., non avendo provveduto la corte d’appello a compensare le spese di lite e quindi non avendo tenuto conto del tecnicismo delle questioni devolute e delle gravi conseguenze fisiche e morali ed anche lavorative riportate dalla ricorrente, per sempre mutilata, dichiarata invalida civile, esclusa dal mondo del lavoro a causa di questo intervento sanitario esitato nella irreversibile perdita del seno a soli 34 anni.
5. Il primo motivo è infondato.
La sentenza di appello offre una risposta adeguata e corretta ai rilievi dell’appellante sulla percentuale di danno biologico da riconoscerle, e conseguentemente sulla liquidazione di questa voce di danno, avendo fatto motivatamente proprie, come già il giudice di primo grado, le valutazioni del c.t.u., che danno conto sia dei rilievi sul profilo estetico che su quello anatomico funzionale, comprensivo della sintomatologia dolorosa persistente, entrambi considerati nella valutazione unitaria del danno biologico.
Si precisa poi nella sentenza che la valutazione del c.t.u. è ritenuta convincente in quanto ha tenuto conto, oltre che delle fonti scientifiche e dell’esame della paziente, dei rilievi specifici del c.t.u. di parte, avendo replicato ragionatamente ad essi nell’elaborato finale.
6. Anche il secondo motivo è infondato.
Nella più recente giurisprudenza di legittimità, il principio secondo il quale le istanze istruttorie rigettate dal giudice di primo grado devono essere riproposte con la precisazione delle conclusioni in modo specifico e non soltanto con il generico richiamo agli atti difensivi precedenti – dovendosi, in difetto, ritenere abbandonate e non riproponibili con l’impugnazione – è bilanciato dalla precisazione secondo la quale la presunzione di abbandono delle istanze non riproposte può ritenersi superata qualora emerga una volontà inequivoca di insistere nella richiesta istruttoria, in base ad una valutazione complessiva della condotta processuale della parte o in base alla connessione tra la richiesta probatoria, pur non esplicitamente riproposta con le conclusioni, e la linea difensiva adottata nel processo.
La giurisprudenza più recente aggiunge anche che, della valutazione compiuta, il giudice è tenuto a dar conto, sia pure sinteticamente, nella motivazione (in questo senso, Cass. n. 10767 del 2022, Cass. n. 33103 del 2021).
Il motivo però non consente di verificare se il diritto di difesa della parte sia stato in qualche modo conculcato per non aver il giudice di merito valutato, oltre che il dato formale della omessa riproposizione delle istanze istruttorie nelle conclusioni di primo grado, se dalla linea difensiva della ricorrente, nel suo complesso, si potesse evincere una univoca volontà di riproporre quelle istanze.
Esso non riproduce affatto il contenuto delle istanze di prove orali della cui mancata ammissione si duole, non consentendo né di delibare la rilevanza delle circostanze oggetto di prova ai fini della decisione in appello, né di accertare se la decisione del giudice d’appello abbia omesso di tener conto della linea difensiva complessivamente sviluppata.
7. Il terzo motivo è invece fondato, nei termini che seguono.
All’interno di esso si lamentano, in realtà, tre diverse violazioni di legge, che vanno distintamente esaminate.
Le prime due sono relative alla mancanza di una integrale liquidazione del danno non patrimoniale (mancanza di una adeguata personalizzazione del danno biologico, mancanza di autonoma liquidazione del danno morale, o non patrimoniale), mentre la terza, con la quale si denuncia, genericamente, l’omessa liquidazione del danno da perdita di chance, deve essere più correttamente interpretata come volta a contestare il rigetto della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance patrimoniali di futuro guadagno.
7.1. In riferimento al profilo del mancato riconoscimento del diritto ad una personalizzazione del danno biologico in aumento, rispetto a quanto liquidato sulla base dei punti percentuali di invalidità riconosciuti dal medico legale, il motivo non può essere accolto.
La corte d’appello lo ha valutato ed ha ritenuto, con motivazione sintetica, ma non inesistente né totalmente priva di logica, che il danno riportato dalla giovane, del quale è indubbia l’incidenza negativa sulla qualità della sua vita, non sia diverso da quello di altre giovani donne della stessa età dell’appellante, e sia stato adeguatamente riparato con l’elevata percentuale di invalidità riconosciuta e posta a fondamento della liquidazione del danno biologico (in senso conforme, Cass. 7513/2018).
7.2. Va accolto invece il terzo motivo in relazione al rigetto della domanda volta al risarcimento del danno morale.
Per quanto concerne il danno morale, la corte d’appello, dopo aver confermato l’accertamento di una rilevante invalidità permanente in capo alla (omissis) comportante un rilevantissimo danno estetico ed anche considerevoli limitazioni funzionali subiti da una giovane donna nel pieno della sua vita relazionale e sessuale, si è solo apparentemente conformata all’ormai consolidatosi orientamento di legittimità secondo il quale, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che rileva autonomamente, a prescindere dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (che pure può influenzare), insuscettibile di accertamento medico-legale (Cass. nn. 901 e 7513/2018 Cass. n. 9006 del 2022).
Ha però subito dopo, in poche righe, rigettato la domanda volta al risarcimento del danno morale, affermando che si trattasse di pregiudizi solo allegati dall’appellante ma non provati – dovendosi intendere rinunciate le istanze istruttorie non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado – consistenti nelle sofferenze patite in conseguenza dell’isolamento sociale e dell’abbandono delle attività lavorative, attinenti, questi ultimi, alla sfera dinamico relazionale della lesione subita e già valorizzate nella liquidazione del danno biologico.
Questa affermazione, nella sua scarna lapidarietà, e nella mancanza di ogni riscontro motivazionale dell’aver effettivamente valutato sotto questo diverso, seppur connesso profilo, la situazione emotiva della vittima, si pone in contrasto con il principio della integrale valutazione del pregiudizio non patrimoniale complessivamente subito, ed in particolare con quello secondo il quale, ai fini dell’accertamento della sussistenza di un danno morale, in tema di danno non patrimoniale discendente da lesione della salute, se è vero che all’accertamento di un danno biologico non può conseguire in via automatica il riconoscimento del danno morale (trattandosi di distinte voci di pregiudizio della cui effettiva compresenza nel caso concreto il danneggiato è tenuto a fornire rigorosa prova), la lesione dell’integrità psico-fisica può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della dimostrazione di un coesistente danno morale, alla stregua di un ragionamento inferenziale cui deve, peraltro, riconoscersi efficacia tanto più limitata quanto più basso sia il grado percentuale di invalidità permanente, dovendo ritenersi normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità (salvo rigorosa prova contraria) tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sotto il profilo del danno morale (Cass. n. 6444 del 2023).
La corte d’appello ha invece implicitamente escluso che un rilevante pregiudizio estetico e funzionale con deturpazione permanente del seno, in una giovane donna, potesse risultare elemento rilevante, in via presuntiva, ai fini dell’affermazione del danno morale, idoneo cioè a determinare una apprezzabile compromissione dell’equilibrio emotivo-affettivo del soggetto.
Non ha valutato affatto se ad esso potessero presumibilmente associarsi conseguenze in termini di sofferenza interiore, omettendo di indagare in ordine alla pur presumibile predicabilità di tale stato d’animo conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.
Ha poi circoscritto il contesto probatorio sul quale fondare la valutazione del danno morale alle sole prove orali, la cui istanza non era stata adeguatamente reiterata, senza prendere in considerazione la situazione della giovane come processualmente accertata e valutarla nella sua idoneità a produrre anche uno stato di sofferenza interiore in termini di ansia, infelicità, disaccettazione di se stessa e del proprio corpo così significativamente e irreparabilmente vulnerato dall’intervento sanitario.
A tal fine, non ha preso affatto in considerazione neppure la sopraggiunta separazione personale della ricorrente né la sua produzione documentale, in particolare la relazione psicodiagnostica prodotta – relazione non oggetto in sé di contestazione – il cui esito, ove ritenuto inattendibile, sarebbe stato verificabile tramite un approfondimento dell’indagine medico legale sotto questo profilo, ove ritenuto opportuno, ma non poteva essere tout court ignorato.
7.3. Va accolto il terzo motivo anche in riferimento all’omesso riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da perdita di chances (intese come chances patrimoniali di futuro guadagno).
Anche in questo caso, la motivazione è a dir poco sbrigativa, oltre che non conforme a diritto: quanto alla compromissione delle prospettive lavorative della ragazza, che assumeva di essere avviata ad una carriera nel settore pubblicitario e della moda, e di svolgere all’epoca dei fatti l’attività di ragazza immagine, la corte d’appello afferma che l’appellante non abbia fornito alcuna prova dell’avvio di una simile carriera.
Aggiunge, poi, che il risarcimento del danno da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità la sua esistenza.
Osserva il collegio come sia ben vero che la chance non è una mera aspettativa di fatto, bensì deve tradursi nella concreta ed effettiva possibilità di conseguire un determinato risultato (nella specie, la possibilità di affermazione nella carriera di modella) o un certo bene giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, e che la sua perdita configura un danno concreto ed attuale commisurato alla possibilità perduta del risultato sperato (sulla nozione di chance v. Cass. n. 5641 del 2018 e, da ultimo, Cass. n.2261 del 2022 e Cass. n. 25886 2022).
Pertanto, la prova del danno da perdita di chance si sostanzia:
– nella dimostrazione della esistenza e della apprezzabile consistenza di tale possibilità perduta, da valutarsi non in termini di certezza, ma di apprezzabile probabilità – nel caso di specie, in termini di affermazione economica o nel mondo del lavoro nel campo prescelto – prova che può essere data con ogni mezzo, e quindi anche a mezzo di presunzioni;
– nell’accertamento del nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno – nella specie, le possibilità lavorative perdute a causa delle condizioni fisiche permanenti, estetiche e funzionali, della persona della danneggiata, con recisione delle concrete possibilità di affermazione nel campo prescelto.
Di tal che il nesso tra condotta ed evento si caratterizza, nel territorio della perdita di chance, per la sua sostanziale certezza eziologica (i. e., dovrà risultare causalmente certo che, alla condotta colpevole, sia conseguita la perdita di quella migliore possibilità), mentre l’incertezza si colloca esclusivamente sul piano eventistico (è incerto, in altri termini, che, anche in assenza della condotta colpevole, la migliore possibilità si sarebbe comunque realizzata).
Ne consegue che il soggetto che agisce per ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance è tenuto ad allegare e provare l’esistenza dei suoi elementi costitutivi, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini sopraesposti), fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni, ed eventualmente ricorrendo anche ad un calcolo di probabilità (Cass. n. 7110/2023).
In definitiva, il danno da chance perduta consiste non nella perdita di un vantaggio, economico e/o non economico (ben potendo un danno perdita di chance legittimamente predicarsi anche su di un piano non patrimoniale: Cass. 7513/2018), che sia certo ed attuale, ma nella perdita della concreta possibilità di conseguire un vantaggio sperato.
Nel rigettare la domanda della (omissis) pertanto, la corte d’appello, per un verso, non si conforma ai principi suesposti nel ritenere che la valutazione in termini di danno risarcibile della chance debba essere compiuta col metro della certezza e non piuttosto con quello della possibilità qualificata secondo i canoni della apprezzabilità, serietà, consistenza (Cass. 7513/2018) – così confondendo, sovrapponendoli, il piano della causalità con quello dell’evento di danno – e, per altro verso, omette totalmente di considerare alcune evidenze documentali che ben avrebbe potuto, all’esito di una complessiva valutazione di tipo inferenziale, ritenere, sia pur non determinanti o conclusive, pur tuttavia esistenti in punto di fatto, e tali da non poter essere ignorate.
In particolare, tali fatti consistono, quanto alla limitazione della capacità lavorativa generica, nel riconoscimento della invalidità civile nella misura del 67%, come da verbale della Commissione medica prodotto in atti quanto al percorso fino a quel momento intrapreso dalla giovane, nel book fotografico in atti predisposto dall’agenzia per modelle con la quale la (omissis) collaborava quanto alle prospettive lavorative future, nelle le dichiarazioni provenienti dalla stessa agenzia in ordine all’attività svolta all’epoca dalla ragazza – circostanze tutte da valutare nella loro idoneità a comprovare non un avviato percorso lavorativo in ordine al quale poter lamentare la perdita certa di una capacità reddituale già in atto, ma la perdita della possibilità di affermarsi nel campo che la ricorrente aveva prescelto all’epoca dei fatti, della cui riuscita non poteva essere certa al momento dell’intervento sanitario, ma rispetto al quale aveva della apprezzabili probabilità di conseguire un risultato diverso e migliore, che dopo l’accaduto le sono state del tutto precluse.
8. Il quarto motivo, con il quale si lamenta la mancata compensazione delle spese, rimane assorbito, in quanto il giudice del rinvio dovrà provvedere, all’esito del giudizio, a liquidare nuovamente le spese del giudizio di appello.
9. Conclusivamente, il primo e il secondo motivo sono rigettati, il terzo è accolto, il quarto rimane assorbito. La sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo, assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione il 14 marzo 2023.
Il Presidente
Dott. Giacomo Travaglino
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2023.