L’originale dell’atto di citazione non è stato rinvenuto dalla Cancelleria perché non era stato mai depositato agli atti del giudizio (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 9 novembre 2020, n. 25086).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29611-2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS) NATALE, rappresentato e difeso dall’Avv. Federico (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma presso il suo Studio, via Michelangelo Pinto, n. 22;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) MARCELLA, rappresentata e difesa dall’Avv.to Andrea (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma presso il suo Studio, viale delle Milizie, n. 22

– contro ricorrente –

avverso la sentenza n. 1561/2018 della Corte d’Appello di Roma, depositata l’8 marzo 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 21 luglio 2020 dal Consigliere Marilena Gorgoni.

FATTI DI CAUSA

Natale (OMISSIS) rappresenta di essere stato citato in giudizio, dinanzi al Tribunale dì Tivoli, da Marcella (OMISSIS) che si opponeva al decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 65/2011 — ottenuto sulla base della scrittura privata del 28 aprile 2010 con cui Marcella (OMISSIS) si impegnava a restituirgli la somma di euro 15.000,00 il 10 dicembre 2010 — adducendo l’insussistenza di alcun obbligo restitutorio a suo carico, proponendo domanda riconvenzionale per euro 4.697,94 e instando per la richiesta di condanna dell’opposto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.

Il Tribunale, con sentenza n. 1166/2013, accoglieva l’opposizione, dichiarava la nullità del decreto opposto, accoglieva la domanda riconvenzionale dell’opponente e condannava l’opposto al pagamento di euro 3.500,00 ex art. 96 cod. proc. civ., oltre alla refusione delle spese di lite.

La Corte d’Appello di Roma, investita del gravame da Natale (OMISSIS) — il quale:

con il primo motivo lamentava l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, atteso che l’opponente aveva depositato una velina dell’atto di citazione sprovvista di procura ed aveva omesso nel prosieguo del giudizio di depositare una valida procura in originale oltre all’originale dell’atto di citazione notificato, chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo o, in subordine, la condanna di Marcella (OMISSIS) al pagamento di euro 15.000,00, oltre agli interessi;

con il secondo motivo adduceva la mancata prova dell’esistenza di debiti a carico della s.a.s. (OMISSIS) bar, non potendo considerarsi sufficiente l’estratto di ruolo proveniente da Equitalia, con conseguente ingiustificato mancato pagamento della quota residua del prezzo di compravendita da parte della opponente e richiesta di condanna di quest’ultima alla restituzione della somma di euro 4.763,61, ottenuta in accoglimento della dispiegata domanda riconvenzionale;

con il terzo motivo chiedeva la riforma della decisione di prime cure nella parte in cui lo aveva condannato ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., data l’assenza dei presupposti della responsabilità processuale aggravata — confermava, con la sentenza qui impugnata, la decisione di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite.

Avvalendosi di due motivi Natale (OMISSIS) ricorre per la cassazione di detto pronunciamento.

Resiste con controricorso Marcella (OMISSIS).

Va dato atto che la trattazione della presente controversia, fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ. per il giorno 7 aprile 2020, rinviata d’ufficio per effetto della legislazione emergenziale relativa alla pandemia da coronavirus, è stata fissata per l’odierna adunanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “nullità della costituzione in giudizio dell’opponente in primo grado e conseguente inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

Violazione di legge con riferimento all’art. 165 cod. proc. civ. e conseguente nullità del procedimento ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.”

L’errore imputato alla Corte d’Appello è quello di avere confermato la decisione di prime cure nella parte in cui, a fronte della sua eccezione di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo per mancato deposito di un atto di citazione provvisto di regolare procura, gli aveva ordinato di produrre la copia in suo possesso, ritenendo in questo modo superata la questione dell’omessa produzione dell’originale dell’atto e della procura da parte dell’opponente, sul presupposto che l’atto di citazione fosse stato ritualmente depositato, ma risultasse irreperibile per causa non imputabile.

La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che la costituzione in giudizio con un atto inosservante delle prescrizioni di cui all’art. 165 cod. proc. civ. è nulla a meno che non si sani il vizio mediante deposito dell’atto introduttivo originale entro e non oltre la prima udienza di trattazione.

Va rilevato che la difesa del ricorrente ha fondato il proprio argomentare sul fatto che l’originale dell’atto di citazione non fosse stato rinvenuto dalla Cancelleria perché lo stesso non era stato mai depositato agli atti del giudizio, deducendolo dall’attestazione apposta dal cancelliere del tribunale sulla nota di iscrizione e dall’assenza di qualsiasi indicazione riguardo all’avvenuto deposito dell’atto de quo nei verbali di causa: circostanza che è stata invece diversamente valutata sia dal Tribunale di Tivoli che dalla Corte d’Appello di Roma.

Ciò che il ricorrente lamenta è, a tutti gli effetti, in primo luogo un errore di fatto, consistente in una falsa percezione della realtà, che si sarebbe sostanziata nell’affermazione positiva circa la ricorrenza di un fatto, il deposito in originale dell’atto di citazione, in contrasto con le evidenze di causa.

Tale errore di fatto, comunque, che avrebbe in astratto potuto giustificare la revocazione della sentenza di primo grado, è stato oggetto di valutazione da parte della Corte d’Appello che ha confermato la dinamica processuale descritta e fatta propria dal Tribunale e ne ha tratto conseguenze in iure conformi alle norme di diritto ed all’interpretazione fattane da questa Corte, come risulta da quanto appresso specificato.

Il Tribunale, preso atto dell’eccezione dell’odierno ricorrente circa la mancanza nel fascicolo d’ufficio dell’originale dell’atto di citazione, aveva rilevato lo smarrimento dell’originale della citazione, l’opponente era stata, dunque, invitata a depositare la copia.

Rilevata la ricorrenza di contestazioni sulla produzione documentale di Marcella (OMISSIS), aveva disposto che l’odierno ricorrente provvedesse al deposito della copia notificatagli del ricorso, da essa era emersa la conformità della copia dell’atto di citazione, depositata su invito del giudice, e quella in possesso del ricorrente.

La Corte d’Appello, a sua volta, è partita dal presupposto che l’atto di citazione ritualmente depositato non fosse rinvenibile per causa non imputabile all’opposta, che il giudice di prime cure avesse autorizzato a depositare copia dello stesso con procura, ha superato in via presuntiva l’eccezione dell’odierno ricorrente circa la non conformità della copia dell’atto di citazione depositato rispetto all’originale, ritenendo che il difensore della opponente non avesse alcun motivo per non depositare l’originale dell’atto di citazione munito della relata di notifica e di procura, ha tenuto conto del fatto che la copia dell’atto depositato fosse conforme a quella in possesso dell’odierno ricorrente.

Il ragionamento della Corte d’Appello è coerente con una dinamica processuale non più oggetto di censura da parte del ricorrente.

E’ opportuno ribadire che:

a) a norma dell’art. 165 cod. proc. civ., l’attore deve ritenersi validamente costituito in giudizio anche se, all’atto del deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo contenente la procura, quest’ultima non sia in originale; secondo l’art. 156 cod. proc. civ., infatti, non può pronunciarsi la nullità di alcun atto del processo, per inosservanza delle forme, se la nullità non è comminata dalla legge, e l’art. 125, secondo comma, cod. proc. civ. richiede soltanto, per la validità della procura, che questa sia stata rilasciata anteriormente all’iscrizione a ruolo, ma non anche che essa venga depositata in originale (Cass. 05/02/2008, n. 2744; Cass. 29/07/2009 n. 17666);

b) la costituzione in giudizio dell’attore avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente copia dell’atto di citazione, anziché — come previsto dall’art. 165 cod. proc. civ. — l’originale dello stesso (nella specie depositato una volta scaduto il termine prescritto), costituisce mera irregolarità rispetto alla modalità stabilita dalla legge, ma, non arrecando nessuna lesione sostanziale ai diritti della parte convenuta, non determina nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado (Cass. 13/07/2004, n. 15777);

c) la ritualità e la tempestività degli atti necessari per la costituzione in giudizio possono anche desumersi, in mancanza di prova contraria prodotta dalla parte interessata, o, comunque, di opposte risultanze processuali, anche presuntivamente, caso per caso, da qualsiasi elemento, obiettivamente valutabile, che emerga dagli atti di causa e che soddisfi l’esigenza di certezza circa la sussistenza dei predetti requisiti, in quanto la legge non impone alle parti alcun onere di munirsi di particolari certificazioni positive al riguardo, né esige che i requisiti stessi risultino da atti formali ed insostituibili (Cass. 29/10/1997 n. 10693).

Applicando detti principi al caso di specie questo Collegio stima che correttamente il Giudice a quo abbia escluso la ricorrenza di alcuna lesione del diritto di difesa dell’odierno ricorrente o la denunciata violazione del contraddittorio: la conformità dell’atto nel possesso del ricorrente a quello depositato in copia per la ricorrenza di una causa accertata come non imputabile alla controparte già basta, infatti, a ritenere che la copia dell’atto depositato abbia raggiunto il suo scopo (Cass. 13/08/04, n. 15777; Cass 09/12/2004, n. 23027).

Ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., in mancanza di un’espressa sanzione di nullità, la nota d’iscrizione a ruolo è nulla per irregolarità formali, con conseguente mancata costituzione della parte, solo quando difettino i requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo, che è quello di portare la causa a conoscenza del giudice perché possa trattare e decidere la lite instauratasi fra le parti con l’atto di citazione, sicché non ne ricorrono i presupposti quando la nota, ancorché incompleta o erronea in qualcuno dei suoi elementi, sia comunque tale da consentire d’individuare con sicurezza il rapporto processuale su cui è invocata la pronuncia del giudice adito (Cass 02/03/2015, n. 4163).

Va chiarito, per chiudere il ragionamento, che la pretesa di una ricostruzione diversa di un fatto processuale sulla base delle risultanze di causa è una censura di merito non sottoponibile allo scrutinio di questa Corte, perché incompatibile con i caratteri morfologici e funzionali del sindacato di legittimità, se non nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel caso di specie non speso e neppure spendibile, per il divieto di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. Il motivo, dunque, è inammissibile.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’inammissibilità della sua condanna per responsabilità aggravata.

Violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. con riferimento all’art. 96 cod. proc. civ., per difetto dei presupposti: il carattere totale della soccombenza, l’elemento soggettivo dell’avere agito con mala fede o colpa grave, l’elemento oggettivo rappresentato dalla dimostrazione della concreta ed effettiva esistenza di un danno patito dalla controparte.

Va rilevato che:

a) pur avendo dedotto l’assenza di tutti i presupposti per la condanna per lite temeraria, il ricorrente argomenta solo in ordine al primo, cioè l’assenza di soccombenza totale in primo grado, deducendo che la domanda riconvenzionale formulata da Marcella Serafini era stata accolta solo parzialmente;

b) la sentenza di appello risulta aver respinto il gravame relativamente alla censura della mancanza di prova del danno.

3. Il motivo è inammissibile.

Avendo dedotto la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., spettava al ricorrente l’individuazione delle affermazioni della sentenza impugnata in cui la norma denunciata sarebbe stata violata o falsamente applicata anche con riferimento all’interpretazione offertane dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti.

Manca, ex adverso, nella sua illustrazione ogni correlazione tra le deduzioni del ricorrente e la parte motivazionale della sentenza da cui emerga l’asserita violazione, essendosi, come rilevato, la Corte d’Appello limitata ad escludere che la condanna ex art. 96 cod. proc. civ. non fosse giustificata per via della mancanza di prova del danno.

4. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

6. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e – condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 21/07/2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.