Luogotenente dei Carabinieri accusato di avere istigato dei militari a disobbedire alle leggi, con violenza e minaccia a pubblico ufficiale.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 6 maggio 2016, n. 18956)

Ordinanza

sul conflitto di competenza sollevato da:

CORTE MILITARE DI APPELLO;

nei confronti di: CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA;

con l’ordinanza n. 145/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 09/06/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAGI Raffaello;

lette/sentite le conclusioni del PG Dott. CORASANTI G., che ha chiesto rimettersi il ricorso alle Sezioni Unite.

Ritenuto in fatto.

1. La Corte militare di appello con ordinanza del 9 giugno 2015 ha sollevato conflitto positivo di giurisdizione nei confronti della Corte di appello di Caltanissetta in relazione al processo a carico di Z.C.R., luogotenente dell’Arma dei Carabinieri.

Costui risulta sottoposto a due procedimenti penali, l’uno innanzi al giudice ordinario e l’altro innanzi alla giurisdizione militare.

Nei primo, con sentenza emessa dal GUP dei Tribunale di Caltanissetta li 29 gennaio 2015, il sottufficiale, ritenuto responsabile dei reati comuni – in concorso formale – di cui all’art. 266 c.p., commi 1, 2 e 4 (istigazione di militari a disobbedire alle leggi aggravata) e art. 336 c.p. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale), è stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione (previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti e della diminuzione correlata alla scelta del rito).

Nel secondo giudizio, con sentenza emessa dal Tribunale militare di Napoli il 3 giugno 2014, Z., ritenuto responsabile del reato militare di cui all’art. 146 c.p.m.p. (minaccia ad inferiore per costringerlo a compiere atto contrario ai suoi doveri, con l’aggravante del grado rivestito), ha riportato condanna alla pena di mesi quattro di reclusione militare.

I fatti descritti nei capi di imputazione dei due procedimenti (da intendersi qui trascritti) hanno ad oggetto la condotta tenuta dall’imputato il 21 giugno 2013 nei confronti di altri militari – il brigadiere A.S. e l’appuntato G.G. – in occasione di un controllo su strada di una autovettura da cui era derivata la sottoposizione ad alcoltest del conducente, C. M..

Entrambe le imputazioni rappresentano che Z. (trasportato sul veicolo) minacciò, con più espressioni verbali, i carabinieri operanti al fine di indurli a non portare a termine l’atto di ufficio in corso, posto che l’alcoltest positivo avrebbe comportato l’applicazione di severe sanzioni nei confronti del C..

1.1. La Corte militare di appello evidenzia che:

– la difesa dell’imputato in entrambi i procedimenti in corso ha prospettato la necessità di promuovere conflitto di giurisdizione, ritenendo prevalente la giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 13 c.p.p., comma 2;

– entrambe le autorità giudicanti di primo grado hanno ritenuto di dover procedere, senza sollevare conflitto;

– il Procuratore Generale militare presso la Corte militare di appello ha chiesto promuoversi il conflitto di giurisdizione, sostenendo la ricorrenza della giurisdizione del giudice speciale, in virtù della medesimezza del fatto e della prevalenza dell’interesse militare con carattere specializzante.

Ad avviso della Corte remittente, la condotta contestata all’imputato nei diversi procedimenti è “incontestabilmente unica” e ciò conduce alla inapplicabilità della previsione di legge di cui all’art. 13 c.p.p., comma 2, che, nel regolamentare l’ipotesi della connessione, presuppone la diversità delle fattispecie e dei fatti contestati all’imputato.

Pertanto, con ampi richiami agli arresti giurisprudenziali sul tema, la Corte di merito evidenzia l’applicabilità dell’indirizzo interpretativo che ravvisa – in simili casi di sostanziale identità della condotta – il concorso apparente di norme incriminatrici (a partire da Sez. U, n. 10 del 24/04/1976, Cadinu, Rv. 133365), con prevalenza del reato militare anche al fine di scongiurare la violazione del divieto del ne bis in idem.

Ritiene, pertanto la Corte militare che, trattandosi – nel confronto tra le disposizioni incriminatrici azionate – di un caso di specialità bilaterale, debba prevalere la giurisdizione militare, secondo il criterio della maggiore specialità, stante il riferimento al valore altamente specializzante della tutela di interessi protetti dall’ordinamento penale militare, anche al fine di evitare la duplicazione di risposte sanzionatorie rispetto alla medesima condotta.

2. All’udienza camerate del 15 gennaio 2016 è intervenuto il Procuratore Generale presso questa Corte il quale ha chiesto la rimessione del procedimento alle Sezioni Unite, trattandosi di conflitto di giurisdizione che involge l’esame di questioni di particolare rilievo interpretativo, Il Collegio ha riservato la decisione.

Considerato in diritto.

1. Ritiene il Collegio, sciogliendo la riserva, di dover rimettere il procedimento alle Sezioni Unite, ravvisando i presupposti di cui all’art. 618 c.p.p., per le ragioni che seguono e che attengono a due ordini di questioni.

2. Un primo profilo concerne la individuazione – in caso di conflitto positivo di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello militare – dell’ufficio del Pubblico Ministero titolare del diritto/dovere di intervento nell’udienza camerate fissata innanzi a questa Corte regolatrice ai sensi degli artt. 28 e 32 c.p.p..

2.1. Dato atto che il Procuratore Generale militare della Repubblica presso questa Corte, con missiva del 29 ottobre 2015, ha espresso l’avviso che “dovrebbe partecipare il Pubblico Ministero ordinario”, spetta alla Corte regolatrice la preliminare verifica della regolare instaurazione del contraddittorio nella camera di consiglio partecipata, là dove il regolamento della giurisdizione involge profili di rilevanza costituzionale, posto che la decisione relativa – essendo per definizione “incerta l’individuazione del giudice cui spetta procedere” come sottolineato da Corte cost. n. 59 del 1993 –

realizza, nel caso concreto, la ricognizione dei caratteri di eventuale “specialità” della fattispecie azionata, da cui deriva l’attribuzione della cognizione al giudice comune o al giudice speciale in ossequio alla ripartizione presupposta ed espressa nelle norme costituzionali di cui all’art. 103, comma 3, (riconoscimento costituzionale della giurisdizione militare) e art. 25, comma 1, (principio di naturalità e precostituzione del giudice).

La omessa partecipazione del rappresentante dell’Ufficio del Pubblico Ministero legittimato a intervenire, quale parte pubblica necessaria, darebbe, infatti, luogo ad un vizio del procedimento sul piano della instaurazione del contraddittorio, in violazione del complesso equilibrio di interessi costituzionalmente protetti, sottesi alla risoluzione dei conflitti di giurisdizione.

Ciò posto, l’esistenza del duplice vertice ordinamentale degli Uffici del Pubblico Ministero, incardinatì sul piano organizzativo e funzionale presso questa Corte, da un lato la Procura generale (ordinaria), dall’altro la Procura generale militare (ufficio istituito ai sensi della L. 7 maggio 1981, n. 180, art. 5 con norma riprodotta nel D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, art. 58) pone data la natura ontologica del conflitto, prima evidenziata – la preliminare questione della individuazione dell’ufficio del Pubblico Ministero abilitato a partecipare alla udienza fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 c.p.p..

Propedeutica è la disamina delle disposizioni vigenti in materia e dei precedenti giurisprudenziali.

2.2. Un primo profilo di rilievo concerne la presa d’atto della assenza di una esplicita regolamentazione legislativa circa la individuazione dell’ufficio requirente in caso di conflitto di giurisdizione ove venga in rilievo la natura comune o militare della fattispecie (o la prevalenza dell’una sull’altra in caso di medesimezza del fatto).

L’art. 32 c.p.p., comma 1, opera il rinvio alle “forme previste dall’art. 127 c.p.p.”, ma non contiene alcuna connotazione indicativa idonea a dirimere il dubbio interpretativo.

Da un lato l’art. 127 codice di rito, comma 3 compie un generico riferimento al Pubblico Ministero e nel caso in esame vi è duplicità di soggetti processuali e ordinamentali aventi tale qualità; dall’altro, la disposizione citata va correlata alla generale previsione ordinamentale di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 76, comma 1, che prevede (non già la facoltà, bensì) l’obbligo di intervento del Pubblico Ministero presso la Corte di Cassazione “in tutte le udienze civili e penali”, e, dunque, anche nelle udienze camerali partecipate ai sensi dell’art. 127 c.p.p. in assenza di specifica previsione derogatoria (v., in generale, sul carattere necessario dell’intervento del Pubblico Ministero nel giudizio di legittimità, con la esclusione dei soli procedimenti assegnati ai sensi dell’art. 610 c.p.p., comma 1, parte 1 e art. 169-bis disp. att. c.p.p., Sez. 7, ord. n. 22168 del 13/03/2014, dep. 2015, Borrata).

2.3. Alla luce di quanto considerato, la carenza di alcuna specifica disposizione normativa circa la individuazione dell’Ufficio requirente che deve intervenire davanti alla Corte regolatrice del conflitto di giurisdizione, lascia spazio a plurime opzioni interpretative, profilandosi, a fronte della alternativa tra (a) l’intervento del Procuratore Generale della Repubblica (ordinario) e (b) l’intervento del Procuratore Generale militare, anche la ulteriore ipotesi (c) dell’intervento di entrambi gli uffici del Pubblico Ministero, costituiti presso questa stessa Corte suprema di cassazione.

2.4. La quaestio iuris, sebbene non abbia formato oggetto di approfondimento e di specifica disamina nella giurisprudenza di legittimità, risulta tuttavia essere stata (implicitamente) risolta – allo stato – nel senso dell’intervento del Procuratore Generale della Repubblica (ordinario) e della esclusione del Procuratore Generale Militare.

Infatti, pur dopo la entrata in vigore della L. 7 maggio 1981, n. 180, recante Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace e istitutiva dell'”ufficio autonomo del Pubblico Ministero” della Procura generale militare presso la Corte di cassazione (L. 7 maggio 1981, n. 180, art. 5, comma 1), la Corte regolatrice ha sempre giudicato i conflitti di giurisdizione vertenti tra il giudice militare e quello ordinario con l’intervento in camera di consiglio del (solo) Procuratore Generale della Repubblica ordinario (Sez. 1, n. 50012 del 01/12/2009, Mollicone, Rv. 245981; Sez. U, n. 25 del 24/11/1999, Di Dona, Rv. 214693; Sez. 1, n. 3695 dei 18/05/1999, Cascella, Rv. 213871; Sez. 1, n. 6780 del 02/12/1997, dep. 1998, Maida, Rv. 209374; Sez. 1, n. 897 del 10/02/1997, Priebke, Rv. 206876; Sez. 1, n. 3312 del 08/07/1992, Maltese, Rv. 191755).

E, poichè la positiva verifica officiosa della legittimazione del Magistrato requirente, comparso davanti al Collegio per assicurare l’intervento necessario dell’ufficio del Pubblico Ministero, è presupposta dalla successiva celebrazione della udienza della Corte regolatrice nella camera di consiglio partecipata, deve ritenersi consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo il quale è esclusivamente al Procuratore Generale (ordinario) della Repubblica che spetta intervenire nel regolamento dei conflitti di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello militare.

2.5, Da siffatto indirizzo, univocamente espresso dalla conforme prassi giudiziaria, il Collegio reputa di dover dissentire alla stregua dei rilievi e delle considerazioni che seguono.

2.5.1. In primo luogo è certamente da escludere che, in generale, sia enucleabile la regula iuris dell’intervento esclusivo dei Procuratore Generale (ordinario) della Repubblica nei procedimenti innanzi la Corte suprema di cassazione quando delibera nell’esercizio della speciale funzione istituzionale (cfr. art. 65, comma 1, Ord. giud.) di corte regolatrice dei conflitti di giurisdizione e di competenza.

Affatto pacifica e incontestata è, per vero, la legittimazione del Procuratore Generale militare della Repubblica a intervenire in camera di consiglio per la trattazione dei conflitti di competenza tra giudici militari (cfr. ex pluribus: Sez. 1, n. 43463 del 01/10/2004, Natalino, Rv. 230701; Sez. 1, n. 16611 del 12/02/2001, Sorrentino, Rv. 218614; Sez. 1, n. 2077 del 29/03/1996, Vittucci, Rv. 205483; Sez. 1, n. 2790 del 08/05/1995, Bronzi, Rv. 202098; e Sez. 1, n. 1316 del 01/03/1995, Marchese, Rv. 201449).

E giova, peraltro, ricordare che, in tema di giurisdizione, l’art. 264, comma 2, parte ultima, cod. proc. mil. pace (disposizione tacitamente abrogata dall’art. 13 c.p.p., comma 2, v. Sez. 1, n. 4527 del 20/01/2005, Cimoli, Rv. 230438) abilitava il Pubblico Ministero presso il giudice militare a instare presso la Corte di cassazione ai fini della separazione “per ragioni di convenienza” del procedimento, concernente il reato militare connesso al reato comune.

2.5.2, La costituzione presso la Corte suprema di cassazione dei due distinti e autonomi uffici del Pubblico Ministero (ordinario e militare) – che differenzia, sul piano dell’assetto ordinamentale, la Corte di legittimità da tutti gli altri giudici per i quali vige il principio contrario della unicità dell’ufficio del Pubblico Ministero, costituito presso essi – trova proiezione, sul piano processuale e in punto di dell’intervento nei procedimenti dell’uno o dell’altro ufficio, nel criterio di selezione informato al canone della pertinenza della regiudicanda – o dell’oggetto della deliberazione – alla giurisdizione ordinaria ovvero a quella speciale, militare.

La regola è fuori discussione sia in relazione ai giudizi di cognizione, sia in relazione ai procedimenti di esecuzione, sia, per quanto concerne la funzione regolatrice, in relazione ai conflitti di competenza.

2.5.3. Alla stregua di tale principio non sembra confortata da alcuna giustificazione plausibile e razionale la esclusione dell’intervento del Procuratore Generale militare della Repubblica “costituito” presso questa stessa Corte nella udienza camerate, partecipata fissata per il regolamento del conflitto positivo di giurisdizione promosso dal giudice militare.

L’oggetto della deliberazione è certamente pertinente alla giurisdizione militare, in quanto il positivo scrutinio della (propria) giurisdizione è affatto intrinseco alla materia del giudizio della Corte militare procedente che ha promosso il conflitto.

Nè, peraltro, evidentemente la questione della selezione dell’ufficio del Pubblico Ministero cui spetta intervenire nei procedimento per il regolamento della giurisdizione tra il giudice militare e quello ordinario potrebbe essere risolta, a posteriori, secondo l’esito del regolamento.

La coessenziale inerenza dell’oggetto della deliberazione della Corte regolatrice, quale che sia i(l suo epilogo, alla linea di demarcazione di entrambe le giurisdizioni in conflitto, ordinaria e militare, osta alla esclusione dell’ufficio del Pubblico Ministero militare dalla partecipazione alla udienza camerate della Corte regolatrice.

2.6. Il dissenso del Collegio rispetto all’indirizzo osservato circa l’intervento in via esclusiva del Procuratore Generale (ordinario) della Repubblica davanti alla Corte regolatrice del conflitto di giurisdizione tra il giudice ordinario e il giudice militare, comportando la insorgenza di un contrasto giurisprudenziale, impone la rimessione, di ufficio, alle Sezioni Unite per la soluzione del principio di diritto che così si enuncia:

“se alla udienza camerale partecipata davanti alla Corte regolatrice del conflitto di giurisdizione, promosso dal giudice militare nei confronti di quello ordinario, debbano intervenire il Procuratore Generale della Repubblica (ordinario) ovvero il Procuratore Generale militare ovvero entrambi gli uffici del Pubblico Ministero, ordinario e militare, costituiti presso la Corte suprema di cassazione”.

3. Il tema sin qui trattato non esaurisce il motivo di rimessione del ricorso, posto che si prospetta una ulteriore questione interpretativa di interesse.

Il caso in esame, infatti, pone un ulteriore tema in diritto concernente il limite dei sindacato della Corte regolatrice lì dove la soluzione del conflitto di giurisdizione involga da un lato la individuazione della cd. specialità prevalente, dall’altro la verifica della esatta qualificazione giuridica del fatto operata in uno dei due procedimenti in corso, già approdato a decisione affermativa di responsabilità in primo grado.

3.1. Nel caso in esame non vi è dubbio, infatti, circa la ricorrenza del conflitto positivo di giurisdizione, sollevato dalla Corte militare di appello, posto che la contestazione operata nei due distinti procedimenti – attualmente pendenti in secondo grado –

concerne prima facie la medesima condotta.

Nulla importa, sul punto, il fatto che il giudice ordinario non abbia rilevato in modo espresso resistenza del conflitto, non essendo necessaria la sussistenza di due formali dichiarazioni sulla giurisdizione tese a riconoscere resistenza del conflitto medesimo (Sez. U, n. 4 del 22/10/1977, De Lorenzis, Rv. 137331), così come è pacifico che non osta al riconoscimento del conflitto il fatto che in entrambi i procedimenti si sia già pervenuti a decisione di primo grado (Sez. U, n. 7 del 27/06/1987, Bisozi, Rv. 176417).

3.2. La prospettazione coltivata dalla Corte Militare di Appello è tesa ad evocare il criterio di risoluzione basato sulla considerazione della specialità bilaterale prevalente (Sez. U n. 10 dei 24.4.1976, Cadinu, Rv. 133367; Sez. U, n. 3 del 10/01/1976, Circosta, Rv. 132547 e successive) in presenza di ritenuta identità del fatto, e ciò non solo a tutela della particolarità degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice contenuta nel codice penale militare di pace, ma anche in funzione di tutela del soggetto sottoposto ad entrambi i procedimenti ed in prevenzione di una violazione del divieto del bis in idem (principio attualmente dotato di copertura convenzionale, in rapporto ai contenuti dell’art. 4 CEDU del Protocollo n. 7, su cui di recente, con interpretazione di particolare rilievo, Corte E.D.U., Sez. 2 4.3.2014, Grande Stevens e altri c. Italia, par. 227).

Va ricordato, sul tema, che lì dove sia rinvenibile il concorso apparente di norme – dunque la convergenza di più disposizioni incriminatrici, rispettivamente contestate dalle diverse autorità procedenti – in rapporto al medesimo fatto, tale criterio funge da idoneo strumento interpretativo di risoluzione del conflitto, posto che consente di integrare le scarne previsioni della norma di cui all’art. 37 c.p.m.p., comma 2, (la disposizione recita: “è reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune”).

Come è stato espresso nell’arresto prima citato (Sez. U, Cadinu del 1976) si pone – in casi di fatto astrattamente inquadrabile sia nelle previsioni del c.p. comune che in quello militare – un problema di concorso di norme penali coesistenti, prima facie tutte ugualmente applicabili alla stessa fattispecie concreta.

In tale situazione occorre preliminarmente stabilire se il concorso di norme dia luogo ad un concorso formale di reati ovvero si configuri come concorso apparente. Qualora risulti trattarsi di concorso apparente di norme dovrà risolversi l’ulteriore problema relativo alla configurabilità nelle fattispecie concrete in esame dei soli reati comuni o dei soli reati militari.

Il criterio di risoluzione, lì dove sia configurabile la specialità bilaterale (correlata ai caratteri tipici delle previsioni incriminartici coinvolte) viene ricondotto alla previsione di legge di cui all’art. 15 c.p., con riferimento alla qualificazione di maggiore specialità, secondo cui in presenza di elementi specializzanti bilaterali va attribuita prevalenza a quello che sia più conforme e idoneo alle esigenze di tutela delle fattispecie legali in raffronto.

3.3. Calando tale principio nella vicenda oggetto di trattazione, il Collegio, al di là delle valutazioni concrete da operarsi in sede di risoluzione del conflitto, registra un andamento non univoco della successiva interpretazione resa negli arresti di questa Corte, specie lì dove nella qualificazione della condotta si sia dato luogo – da parte di una delle autorità in conflitto – ad una contestazione ulteriore e non corrispondente a quella operata (sia pure in via comparativa) nel diverso processo.

Per rendere più chiaro il tema, nella vicenda sottoposta a scrutinio a fronte di una condotta materiale descritta, nei due procedimenti, in modo sostanzialmente conforme, la contestazione e qualificazione operata dal giudice ordinario (approdato a sentenza) si sono incentrate sulla ricorrenza di due fattispecie incriminatrici (artt. 336 e 266 c.p.), ritenendosi configurabile sia la minaccia (finalizzata al compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio) che l’istigazione (a disobbedire alle leggi); mentre la contestazione e qualificazione operata nell’ambito del giudizio militare (parimenti definito in primo grado) si incentra esclusivamente sulla minaccia (art. 146 c.p.m.p.) posta in essere dal superiore verso l’inferiore per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri.

Non vi è contestazione concorrente di istigazione nell’ambito del giudizio militare, pure astrattamente possibile in tale ambito (art. 213 c.p.m.p.).

3.4. Ora, le decisioni emesse nel corso del tempo in tema di specialità bilaterale prevalente, quale criterio di risoluzione del conflitto di giurisdizione relativo al medesimo fatto (si vedano oltre la citata Sez. U, Cadinu del 1976; Sez. U, n. 3 del 10/01/1976, Circosta, Rv. 132549; Sez. U, n. 4 del 22/10/1977, De Lorenzis, Rv. 137332; Sez. 1, n. 21863 del 05/05/2008, Poggiali, Rv. 240420; Sez. 1, n. 26188 del 11/05/2011, Renna, Rv. 250699) risultano aver posto in comparazione fattispecie “speculari” nel cui ambito l’elemento specializzante è ravvisato nella particolare qualità soggettiva dell’autore del fatto (o del destinatario della condotta) si da ravvisare la prevalenza delle esigenze di tutela della disciplina militare.

Dunque lì dove, come nel caso in esame, vi sia “eccedenza obiettiva” di contestazione, nell’ambito di uno dei procedimenti (quello ordinario), con azione penale già formulata e decisa nei suoi esiti in primo grado, la soluzione del conflitto deve necessariamente confrontarsi con il tema dell’eventuale apprezzamento, da parte della Corte regolatrice, della “rispondenza”, ovvero no, della frazione difforme (nel caso in esame: la ritenuta istigazione, non contestata nel giudizio militare ma ritenuta sussistente in quello comune) ad una effettiva caratteristica della condotta, al fine di determinare l’esito del conflitto.

Trattandosi di conflitto insorto in fase processuale successiva al primo grado e in esito alla pronuncia di condanna, la sua risoluzione implica, peraltro, l’annullamento di una delle decisioni affermative di responsabilità già emesse.

3.5. In altri termini, viene in discussione l’ambito dello scrutinio – in sede di regolamento del conflitto insorto in fase successiva al primo grado – della “medesimezza del fatto” di cui all’art. 28 codice di rito, posto che lì dove si realizzi una opzione tesa a ritenere possibile fa comparazione della mera condotta, al di là delle concorrenti qualificazioni giuridiche formulate (e nel caso in esame ritenute nelle sentenze), il conflitto potrebbe trovare una soluzione complessiva, mentre in caso diverso l’esistenza di una qualificazione concorrente (posta in essere nel solo giudizio ordinario) resterebbe estranea al tema conflittuale o ne potrebbe orientare in modo diverso fa soluzione (con applicazione del criterio regolativo di cui all’art. 13 c.p.p., comma 2, su cui, tra le altre, Sez. U, n. 5135 del 25/10/2005, deo. 2006, Maidera, Rv. 232661 con rilevanti precisazioni in tema di considerazione della idoneità della scelta legislativa, realizzata al fine di privilegiare il Giudice militare specializzato, anche per la particolare composizione collegiale che lo caratterizza).

Il tema risente – nella verifica del contenuto degli arresti – della prevalenza di decisioni relative alla risoluzione di conflitti di competenza, con logica non necessariamente esportabile nell’ambito del conflitto di giurisdizione, posto che la risoluzione del conflitto di giurisdizione, implica una risoluzione del tema della specialità prevalente – prima descritto – in via tendenzialmente definitiva, quale criterio idoneo a determinare l’estinzione di uno dei procedimenti e la sottrazione della relativa giurisdizione.

E necessario, pertanto, rilevare che, se da un lato si è costantemente affermato che la finalità di prevenire la violazione del principio del ne bis idem è di certo ricompresa nella disciplina dei conflitti positivi (da ultimo Sez. 1, n. 26829 del 15/04/2011, Consorte, Rv. 250873, con orientamento risalente a Sez. 1, n. 1700 del 14/07/1982, Bartolorsi, Rv. 155123) il che porterebbe a ritenere sussistente un potere di valutazione della rispondenza tra fatto e contestazione da parte della Corte regolatrice (riconosciuto in via generale, tra le altre, da Sez. 1, n. 666 del 26/01/1999, Grenci Rv.

213285) tale da ricondurre al medesimo fatto anche sostanziali “duplicazioni” della sua qualificazione giuridica realizzate in uno dei procedimenti (o palesi erroneità logiche e ricostruttive nell’ambito della riconduzione della medesima condotta a più norme incriminatrici) pur se approdati a decisione di primo grado;

dall’altro si è in prevalenza ritenuto che in tema di conflitti (di competenza) la decisione deve essere tendenzialmente adottata sulla base della “contestazione” formulata dal Pubblico Ministero a meno che la stessa non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili (tra le molte Sez. 1, n. 11047 del 24/20/2010, Guida, Rv. 246782; Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, De Sandro).

Lo stesso orientamento interpretativo più volte espresso da questa Corte in tema di “continenza” (Sez. 1, n. 4234 del 20/06/1997, Ripa, Rv. 208240; Sez 1, n. 619 del 07/02/1991, Bonaventura, Rv. 186714 e altre), ove non si adotti una chiara esplicazione dei potere di sindacato della Corte sulla congruità della contestazione operata nel procedimento di maggior ampiezza, potrebbe condurre ad una semplice presa d’atto di tale connotazione, pur se manifestamente erronea.

3.6. Alla stregua delle considerazioni che precedono il Collegio rimettente formula l’ulteriore quesito di diritto:

“se il regolamento del conflitto positivo di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello militare, procedenti entrambi in grado di appello, possa comportare, e con quale effetto sul giudizio di merito, la esclusione di uno dei reati, ritenuto in primo grado con affermazione della penale responsabilità dell’imputato”.

P.Q.M.

A scioglimento della riserva assunta il 15 gennaio 2016, rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2016.