Luogotenente dei Carabinieri, responsabile della Sez. di P.G. presso la Procura della Repubblica di Padova, condannato per tentata concussione (Corte di Cassazione, Sezione Feriale Penale, Sentenza 19 settembre 2019, n. 38658)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 31/10/2018 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore di parte civile, Avv. CHIELLO, che si riporta alla memoria depositata già in cancelleria, conclude per la inammissibilità e deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese;

udito, altresì, per l’imputato, l’Avv. CALDERONE il quale insiste nell’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza emessa il 4 luglio 2016 dal Tribunale di Padova, che, all’esito di giudizio ordinario, aveva dichiarato C.F. colpevole del reato di tentata concussione – in concorso con B.M. e F.G., nei confronti dei quali si è proceduto separatamente – condannandolo alla pena di quattro anni di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile D.A..

Nei giudizi di merito si è accertato che C., luogotenente dei Carabinieri e responsabile della Sezione di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri presso la Procura della Repubblica di Padova, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale e presentatosi in tale veste ad D.A., Direttore dell'(OMISSIS) di (OMISSIS), nel corso della cena in un ristorante di (OMISSIS) denominato (OMISSIS) e con condotte successive, ha posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere il predetto D. a scegliere quale nuova sede dell'(OMISSIS) l’immobile di proprietà di B.M., amministratore della Net Center s.r.l., tra quelli proposti nell’ambito della procedura di indagine di mercato, avviata dall’ente nel giugno 2008, lasciando intendere a D. che una diversa soluzione gli avrebbe potuto arrecare conseguenze negative. Alle pressioni di C. si sarebbe aggiunta l’espressa minaccia di F. – legale di B. e amico dello stesso C., con cui vi sarebbe stato anche un rapporto di interesse economico nello studio legale – il quale, avendo appreso dell’intenzione di D. di escludere la Net Center s.r.l., lo aveva avvertito di stare attento alla scelta da compiere, prospettandogli le conseguenze negative con la frase “altrimenti, quello ti rovina”.

L’evento non si è verificato per la resistenza alle pressioni da parte di D.A., che ha escluso comunque l’immobile della Net Center s.r.l. dalla procedura, in quanto privo dei requisiti previsti dal bando.

La contestazione iniziale conteneva anche una seconda imputazione per il reato di corruzione propria a carico dei coimputati B. e F. – che avrebbero offerto la somma di 300.000 Euro a D. per ottenere che la scelta dell’immobile da destinare a sede (OMISSIS) cadesse sulla struttura di proprietà della società gestita da B. – in relazione alla quale si è dichiarata la prescrizione in appello per lo stesso B..mentre F. è stato giudicato separatamente con rito abbreviato.

F., in particolare, è stato condannato definitivamente per la medesima imputazione di tentata concussione aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 10, commessa in concorso con C. e B., alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, in seguito alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in Cassazione (cfr. sentenza Sez. 6, n. 43117 del 28/6/2017).

2. Avverso la decisione indicata in epigrafe ha proposto ricorso il difensore dell’imputato deducendo quattro motivi.

2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce violazione degli artt. 110, 56 e 317 c.p. e art. 61 c.p., n. 10, nonchè degli artt. 125 e 192 c.p.p. e vizio di motivazione solo apparente, in relazione alla attendibilità delle accuse ed alla credibilità del dichiarante D.: non sarebbe stata valutata la genesi delle accuse e la formazione progressiva delle stesse, nè approfondita la suddetta questione di credibilità del principale testimone, D.A., trascurando sia il momento in cui aveva reso le sue dichiarazioni e l’interesse che le ispirava, sia i rapporti tra accusatore e accusato.

Al fine di ribadire la non credibilità della persona offesa si sottolinea che nell’appello era stato evidenziato come D. avesse reso dichiarazioni accusatorie quando temeva di essere arrestato, anche a causa dell’attività di C., ritenuto responsabile delle sue vicissitudini giudiziarie; si era anche segnalata la singolare progressività delle accuse e le circostanze nelle quali esse erano state rese, oltre al fatto che erano provenienti da un indagato di reato connesso, divenuto “testimone puro” solo in fase dibattimentale, a seguito dell’archiviazione del procedimento a suo carico.

Vi sarebbero, inoltre, elementi non valutati che provano la scarsa credibilità di D.: egli inizialmente non ha accusato il ricorrente, salvo poi, il (OMISSIS), in pendenza del procedimento a suo carico e nel timore di essere arrestato nel corso della perquisizione che stava subendo, iniziare il suo percorso dichiarativo, confidando ai carabinieri che la eseguivano di essere “vittima di un potente” e, quindi, denunciando il ricorrente in seguito ad un colloquio con il maresciallo S., con il quale D. condivideva sentimenti di astio nei confronti del ricorrente.

Si dubita della veridicità delle accuse di D. anche per il contenuto di alcune intercettazioni e per la circolarità dei riscontri ritrovati in relazione alle sue dichiarazioni, costituite da testimonianze neppure dal contenuto di conferma effettivo.

Si passano in rassegna le dichiarazioni, quindi, di alcuni di tali testi a riscontro, segnalando l’incapacità della Corte d’Appello di rispondere alle obiezioni difensive relative al loro contenuto e, in particolare, il riferimento è a quelle dei componenti della commissione di selezione dell’immobile (il teste M. ha riferito che con lui C. non ha mai perorato la causa di B. e ha ribadito la sua idea circa il fatto che la proposta di costui fosse la migliore; il teste Ma. ha riferito di non aver subito alcuna pressione dal ricorrente, che pure lo conosceva).

Illogica, poi, sarebbe la motivazione con riferimento al teste P. – ingegnere del genio civile di (OMISSIS) e componente della commissione di valutazione dell’indagine di mercato sull’immobile da destinare a sede (OMISSIS) – ritenuto l’informatore del ricorrente durante i lavori della commissione – le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere valutate, invece, come elemento utile alla difesa del ricorrente.

Si eccepisce, altresì, analoga mancanza e illogicità della motivazione sulla inattendibilità del teste L.B., amico di vecchia data di D.A. (ed esponente della stessa compagine politica) e terzo soggetto presente alla cena al ristorante (OMISSIS), la cui testimonianza sarebbe stata utile a scagionare l’imputato, nonchè la erronea sopravvalutazione delle testimonianze di un’amica di D., tale G.B., e, di contro la sottovalutazione dei testi Pe. ed O., T. e Co. nonchè delle testimonianze degli onorevoli A. e Gi. (il primo ha riferito dell’intento di B. di denunciare D. perchè convinto che la sua fosse la proposta migliore, il che contrasta con la posizione di concussore ascrittagli).

Anche i testi a difesa e le dichiarazioni di ulteriori testimoni di contorno alla vicenda sono stati dimenticati dal provvedimento impugnato.

Si sostiene, altresì, da parte della difesa, che le intercettazioni non possono costituire riscontro della credibilità di D., poichè, anzi, dimostrano il suo astio nei confronti del ricorrente, nonostante la carenza di motivazione sul punto da parte dei giudici d’appello.

Si contesta anche la valutazione dell’interrogatorio del ricorrente e del coimputato B., in particolare sull’andamento della cena presso il ristorante (OMISSIS) di (OMISSIS).

In sintesi, il ricorrente cerca di far passare la tesi alternativa di aver tentato di impedire atti illegittimi di D., che stava utilizzando una procedura senza evidenza pubblica per la scelta di un immobile da destinare a sede (OMISSIS); a tale comportamento di ostacolo, per ritorsione e difesa dalle sue denunce, il direttore dell’Agenzia Regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, avrebbe “risposto” attraverso la sua controdenuncia.

2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione degli artt. 110, 56 e 317 c.p., art. 61 c.p., n. 10 e art. 125 c.p.p. e mancanza di motivazione sulla sussistenza del reato. L’unica frase cui si ricollega l’obiettività giuridica della condotta sarebbe, infatti, di tenore equivoco ed inidonea a fondare la condanna del ricorrente, il quale aveva parlato con D. in una sola occasione e per pochi minuti, alla cena di (OMISSIS).

Si era segnalato, altresì, nei motivi d’appello, che la percezione del tono minaccioso di detta frase poteva essere stata travisata da D., tanto più che essa è stata isolata e mai più riproposta ad alcuno dei componenti della commissione di gara, sicchè essa poteva ritenersi al più una semplice segnalazione: su tale punto egualmente vi è mancanza di motivazione della sentenza impugnata.

2.3. La terza censura difensiva eccepisce violazione degli artt. 56-317 c.p. e art. 61 c.p., n. 10 e art. 125 c.p.p. e vizio di motivazione sulla qualificazione giuridica del fatto, che, al più, potrebbe integrare un tentativo di induzione indebita.

La sentenza non dà atto di una circostanza rilevante, segnalata dalla difesa, ovvero che, dopo la cena al (OMISSIS), D.A. chiese al ricorrente di fargli incontrare il Procuratore della Repubblica di Padova e che C. provvide in tal senso; nè il provvedimento impugnato considera che gli eventuali comportamenti illeciti di L. e di F., successivi alla cena, non potevano essere ascritti anche al ricorrente, in mancanza di prova di un accordo tra loro, mentre invece costoro, rispettivamente, amico ed avvocato di B., avevano interesse autonomo al buon fine dell’operazione.

Si contesta, infine, la motivazione offerta per qualificare il fatto come concussione, piuttosto che come tentativo di induzione indebita: il ricorrente non ha minacciato D. durante la cena nè lo ha posto dinanzi all’alternativa di subire un danno o di evitarlo, limitandosi a perorare la causa della Net s.r.l..

2.4. Il quarto argomento difensivo deduce violazione dell’art. 62-bis c.p. e art. 125 c.p.p. nonchè vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, per avere i giudici ignorato l’incensuratezza e la carriera del ricorrente, quali elementi favorevoli, penalizzandolo invece per la qualifica di pubblico ufficiale e per le funzioni esercitate.

3. Con memoria depositata il 10 luglio 2019 il difensore di D.A., parte civile costituita, sollecita la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Evidenzia che i motivi riproducono pedissequamente le censure enunciate nell’atto di appello, già esaminate e disattese nelle sentenze di merito, e comunque, manifestamente infondate, in quanto la sentenza replica a tutte le eccezioni difensive, affrontando ampiamente il tema della credibilità di D., della genesi del procedimento e dei riscontri, confutando puntualmente le obiezioni sulla circolarità della prova, sulla insussistenza del potere di condizionamento del ricorrente, sulla qualificazione del reato e sulla personalità negativa del ricorrente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile nel suo complesso, anzitutto perchè per la gran parte formulato in fatto, quindi anche per la sua manifesta infondatezza.

E’ opportuno, inoltre, sin d’ora segnalare, a monte dell’analisi dei singoli motivi di ricorso, che la vicenda delittuosa nella sua ricostruzione storico-giuridica ha già avuto due importanti conferme nelle decisioni relative ai due coimputati B. e F., entrambe passate in giudicato.

B., infatti, ha concordato la pena in appello per il (solo) reato oggi in esame di tentata concussione (stante l’intervenuta prescrizione del reato di istigazione alla corruzione, commesso in concorso con il F.), non proponendo ricorso per cassazione.

F., come detto, ha visto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto avverso la sentenza di condanna che, separatamente rispetto all’odierno ricorrente ed all’esito di rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione (pena sospesa e non menzione) per il medesimo reato in concorso.

2. E’ utile una brevissima sintesi della ricostruzione operata dal giudice di merito, prima di procedere a valutare i motivi di ricorso.

I giudici d’appello hanno confermato la sentenza di primo grado, sulla base essenzialmente delle dichiarazioni della persona offesa D.A., ritenute credibili, che hanno ricostruito i ripetuti interventi illeciti di C. (e dei coimputati già giudicati) diretti a condizionarne le scelte, orientandole a favore di B. e della sua società quanto all’immobile da destinare ad immobile sede dell'(OMISSIS).

Secondo la ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito, dapprima C. si era esposto personalmente nel corso della cena organizzata nel settembre 2008, su sua richiesta, da L.B., amico di D., tentando di imporre a quest’ultimo di scegliere la proposta immobiliare dell’amico imprenditore B.; quindi, aveva seguito costantemente i lavori della commissione, nominata il 3 ottobre 2008, tramite l’ing. P., componente della commissione di valutazione dell’indagine di mercato, a lui legato ed a sua disposizione; aveva, poi, esercitato pressioni su D.A., facendo intervenire in più occasioni l’avv. F., i cui rapporti e cointeressi con il ricorrente erano stati confermati da numerosi testimoni.

A sua volta, il B. si era attivato, dopo aver appreso informalmente dell’intenzione di escludere la sua offerta, facendo convocare D. per un incontro a Roma, tramite l’on. A., dal coordinatore nazionale del partito cui la persona offesa aderiva, nel corso del quale si era discusso della sua offerta immobiliare, ed ancora facendo pervenire a D., tramite il F., un’offerta di denaro nel dicembre 2008.

Il legale aveva, inoltre, minacciato sostanzialmente D., prospettandogli espressamente ritorsioni di C., il quale, effettivamente, aveva adottato iniziative successive alla decisione negativa nei confronti di Net s.r.l. – assunta con delibera (OMISSIS) del 9 gennaio 2009 – consistite, in particolare:

– nella presentazione di due esposti contro D., a firma dell’ing. P., ma predisposti dall’avv. F. su indicazione del ricorrente;

– nel recarsi, insieme al B., nell’aprile 2009, presso l’abitazione dell’on. Ga., Presidente della Regione Veneto, al fine di far revocare la decisione;

– nello scatenare una campagna di stampa contro D., indagato e costretto ad abbandonare la direzione dell’ente prima della scadenza naturale del mandato.

E’ stata ritenuta corretta la qualificazione del fatto come tentata concussione in ragione dell’abuso coartante e della strumentalizzazione delle funzioni da parte del militare, noto a tutti come uomo potente con relazioni influenti e temibili capacità ritorsive.

3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Infatti, per giurisprudenza costante e risalente, non può formare oggetto di ricorso in sede di legittimità l’indagine sull’attendibilità dei testimoni, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione (ex plurimis: Sez. 2, n. 1657 del 06/10/1992, Francioli, Rv. 193237, Sez. 2, n. 20806 del 5/5/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/9/2017, D’Ippedico, Rv. 271623); e certamente anche e soprattutto la persona offesa è un testimone, portatrice, anzi, di conoscenza privilegiata, avendo direttamente subito la condotta di reato, benchè sottoposta ad un vaglio di credibilità ed attendibilità più rigoroso (cfr. per tutte Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), la cui misura motivazionale non è tuttavia messa in discussione dalla censura difensiva attraverso la deduzione di aporie argomentative, bensì solo chiedendo una nuova verifica di attendibilità non consentita di per sè dinanzi a questa Corte.

Il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto, infatti, insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità di questa Corte.

In altre parole, il Collegio ribadisce che, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/1/2015, Cammarota, Rv. 262575).

E’ noto, altresì, che sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 13809 del 31/03/2015, 0.,Rv. 262965; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

Il ricorrente argomenta violazioni di legge ed altrettanti vizi motivazionali adducendo un difetto della struttura ricostruttiva in fatto e processuale della sentenza, che si traduce, piuttosto, nella proposta di diversi approdi delle risultanze processuali e di prova, ai quali non potrebbe giungere questa Corte di legittimità, cui si chiede, in ultima analisi, non già di pronunciarsi sulla bontà e correttezza del percorso motivazionale adottato dal provvedimento impugnato, bensì di valutare l’esattezza degli snodi decisionali rispetto ad una alternativa ricostruzione della piattaforma fattuale utilizzata.

Un’operazione siffatta non è consentita al giudice di legittimità che, come noto, vede l’orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate.

La motivazione della Corte d’Appello, pertanto, risulta ingiustificatamente attaccata dal ricorrente sotto il profilo della erronea valutazione del peso probatorio e della valenza di molte delle testimonianze esaminate nella piattaforma processuale, ricostruita peraltro da entrambi i giudici di merito in modo del tutto coerente, secondo lo schema della cd. doppia pronuncia conforme.

Ed invece, la motivazione del provvedimento impugnato, nella sua analisi lunga e dettagliata dei dati testimoniali, numerosi, presi in considerazione, si sottrae a censure di manifesta illogicità, le quali sole possono fondare una idonea critica dinanzi alla Corte di legittimità.

Anche l’astio di D. nei confronti dell’imputato, che, secondo la difesa, si percepisce dal contenuto delle intercettazioni, è contestualizzato dalla sentenza della Corte d’Appello e logicamente ricondotto alla illecita pressione subita con modalità molteplici e vessatorie.

Infine, gran parte delle censure mosse nel motivo di ricorso si traduce nella riproposizione delle ragioni di impugnazione già esposte nell’atto di appello e disattese dalla Corte di merito con una motivazione, come detto, priva di manifeste illogicità: anche per tale ragione, pertanto, si alimenta il giudizio di inammissibilità (cfr. tra le altre, Sez. 6, n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo, Rv. 254584; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, Ninivaggi, Rv. 256133; Sez. 4, n. 38202 del 7/7/2016, Ruci, Rv. 267611).

4. La seconda delle eccezioni difensive proposte con il ricorso è formulata innegabilmente in fatto e, per ciò solo, già inammissibile, alla luce della giurisprudenza richiamata al par.1; essa è, inoltre, manifestamente infondata.

La valenza della frase che sarebbe stata pronunciata dall’imputato nei confronti di D.A. per soggiogarne la volontà non può essere misurata, infatti, solo dalla sua forma lessicale o dal contesto formalmente conviviale in cui è stata formulata, ma deve essere contestualizzata nel vissuto degli interlocutori per apprezzarne le potenzialità concussive, nonchè calata nelle vicende che – prima e dopo – hanno accompagnato lo sviluppo della richiesta illecita. In particolare, si ricordano – dalla motivazione – i tentativi messi in atto dal ricorrente di screditare la persona offesa attraverso la stampa; l’attenzione insistente per la presunta illegittimità del suo operato amministrativo, rivelatasi infondata.

La ricerca continua di strumenti per far sì che la delibera di esclusione della società di B. dal novero di quelle possibili aggiudicatarie della procedura pubblica in gioco fosse revocata, anche scomodando il Presidente della Regione Ga., con il quale C. aveva un rapporto diretto e privilegiato, in ragione di una nota posizione di “potere” che gli veniva attribuita, come risulta dalle dichiarazioni anche della moglie di Ga., puntualmente esaminate dal giudice d’appello.

Da tutto il molteplice materiale probatorio (documentale, narrativo e investigativo, mediante intercettazioni e verifiche di polizia giudiziaria riversate in dibattimento), la Corte di merito ha tratto in maniera logica e coerente la valenza concussiva della frase pronunciata dal ricorrente, innegabilmente da porre in relazione anche con l’espressione utilizzata nei suoi riguardi, dopo qualche tempo, da F.G. per “convincere” D. a cedere, prospettandogli chiaramente le conseguenze negative del rifiuto ad essere accondiscendente.

Del resto, la condotta di concussione (anche ovviamente nella sua ipotesi tentata) non è vincolata a forme predeterminate e tassative, essendo sufficiente che essa sia in concreto idonea ad influenzare l’intelletto e la volontà della vittima convincendola, anche solo con frasi indirette e persino con il mero sintomatico atteggiamento, dell’opportunità di provvedere alla esecuzione dell’ingiusta dazione o prestazione per evitare conseguenze dannose.

Con specifico riferimento al reato tentato, è stato condivisibilmente affermato, con principio da riaffermarsi nel caso di specie, che, ai fini della configurabilità del tentativo di concussione, è necessaria l’oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione (Sez. 6, n. 25255 del 1/4/2014, R., Rv. 259973; Sez. 6, n. 30764 del 22/5/2009, Zeccardo, Rv. 244867; Sez. 6, n. 33843 del 19/6/2008, Lonardo, Rv. 240797).

Nella fattispecie, tuttavia, dalle stesse dichiarazioni di D. si evince che il discorso fattogli dall’imputato, improntato a vantare la bontà dell’immobile del suo “amico fraterno” B., era in realtà stato chiaramente da lui percepito nel senso di doversi adeguare alla richiesta, anche per tutto il tenore delle conversazioni avutesi nel corso della cena tra lui, L. ed il ricorrente.

E’ la qualità soggettiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio a rendere, altresì, credibile l’atto intimidatorio ed a “colorarlo” di idoneità rispetto all’obiettivo di costringere il soggetto passivo all’indebita promessa o dazione di denaro o di altra utilità (cfr. sul punto Sez. 6, n. 11477 del 28/11/2018, dep. 2019, Fioravanti, Rv. 275165; Sez. 6, n. 24272 del 24/4/2009, Convertino, Rv. 244364; Sez. 6, n. 23801 del 2/2/2004, Fanchin, Rv. 229641).

Ebbene, non vi è dubbio che la qualifica di sottufficiale dei carabinieri, di lunga esperienza e temuto, e l’incarico, notorio, di responsabile della Sezione di polizia giudiziaria della Procura di Padova depongano a favore della assoluta credibilità della implicita, quanto persuasiva, intimidazione derivante dalla richiesta formulata da C. a D. nel corso dell’incontro al ristorante di (OMISSIS), sfociata, poi, nella indubbia minaccia contenuta nelle parole del complice F. e nelle innegabili pressioni concussive derivanti dalle successive condotte poste in essere dal ricorrente direttamente o indirettamente (si pensi, in particolare, agli esposti nei confronti di D.A. proposti dall’ing. P. – risultato essere, per sua stessa ammissione dibattimentale, un alleato ed “informatore” del ricorrente – che denunciavano la presunta arbitrarietà della decisione di costui di estromettere dalla procedura pubblica la Net s.r.l. e la irregolarità della stessa procedura; esposti indirizzati alla Regione e consegnati alla Procura direttamente da C.).

5. La ragione di ricorso sulla configurabilità del reato di tentativo di induzione indebita, piuttosto che di quello di tentata concussione, è anch’essa manifestamente infondata, oltre che in parte rivolta a pretendere, surrettiziamente, una diversa ricostruzione dei fatti là dove evidenzia che non vi sarebbe stata nè la minaccia, elemento necessariamente alla base di una concussione, nè l’alternativa, per la persona offesa, tra il subire un danno o evitarlo, quale conseguenza del mancato adeguarsi alle richieste di C. e dei suoi complici.

Invero, le Sezioni Unite, nella ben nota sentenza Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera, Rv. 258470, hanno già chiarito i reciproci confini delle due fattispecie, affermando che il delitto di concussione previsto dall’art. 317 c.p. nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius”, da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita, e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater c.p. (introdotto dalla medesima legge), la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), e pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Il principio è stato poi diffusamente riaffermato (ex multis Sez. 6, n. 28978 del 1/4/2014, Albanesi, Rv. 259823; Sez. 6, n. 47014 del 15/7/2014, Virgadamo, Rv. 261008; Sez. 6, n. 9429 del 2/3/2016, Gaeta, Rv. 267277).

Tra le altre, si segnala anche Sez. 2, n. 23019 del 5/5/2015, Adamo, Rv. 264278 che ha specificato, condivisibilmente, come la costrizione concussiva consiste nel comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue funzioni o dei suoi poteri, agisce con modalità o con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita, che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciatogli, sicchè non è sufficiente ad integrare il delitto in esame qualsiasi forma di condizionamento, che non si estrinsechi in una modalità di intimidazione obiettivamente idonea a determinare una coercizione psicologica cogente in capo al soggetto passivo.

Nel caso delle richieste formulate nei confronti di D.A. per ottenere che la società di B. vedesse indicato il proprio immobile come quello ideale per far nascere la nuova sede dell'(OMISSIS), non vi è dubbio alcuno – per come ricostruito logicamente dai due provvedimenti di merito – della capacità costrittiva dimostrata dall’imputato attraverso sia la propria costante azione che quella dei suoi complici: alla persona offesa, in mesi di pressioni indebite, non veniva lasciata che l’alternativa tra il cedere (dando luogo, peraltro, ad una condotta ingiustificata dal punto di vista amministrativo, poichè l’immobile della Net Center s.r.l. non aveva le caratteristiche evidenziate nel bando alla base della procedura di indagine di mercato aperta), ovvero il subire le conseguenze dannose per la sua professione e la sua stessa vita derivanti dal rifiuto ad adeguarsi.

6. Infine, la quarta censura difensiva è manifestamente infondata.

La sentenza impugnata non ha, invero, negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche penalizzando la qualità di pubblico ufficiale del ricorrente e dimenticando la sua incensuratezza ed il suo profilo di carriera privo di criticità, ma ha, invece, ritenuto – in maniera affatto illogica – che la strumentalizzazione della propria funzione pubblica rendesse la sua condotta particolarmente grave, anche perché pervicacemente posta in essere e portata avanti in più fasi per molti mesi; ha giocato in senso negativo, altresì, secondo la coerente motivazione, anche il valore non da poco dell’operazione economica sottostante alla richiesta concessiva.

Inoltre, si è anche sottolineato come la carriera e la fama di carabiniere integerrimo di C. addotta dalla difesa (peraltro anche piuttosto genericamente nei motivi d’appello), in realtà, all’esito dell’analisi del complesso probatorio, non corrispondesse a verità, essendo piuttosto emerso che il ricorrente era noto per essere un uomo di potere, esercitato con indole vendicativa nei riguardi di chi non si sottometteva ai suoi desiderata.

7. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonchè, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000. Devono essere liquidate, altresì, le spese sostenute nel grado di giudizio dalla parte civile che si ritiene congruo determinare in Euro 3.500, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende.

Condanna altresì il ricorrente al pagamento delle spese di costituzione di parte civile che liquida in Euro 3.500 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 agosto 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019