Malattia professionale riguarda il caso di un dipendente morto per una patologia a eziologia multifattoriale: esposizione all’amianto e tabagismo (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 25 ottobre 2024, n. 27693).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANTONIO MANNA                              – Presidente –

Dott. MARIA MARGHERITA LEONE            – Consigliere –

Dott. FRANCESCOPAOLO PANARIELLO    – Consigliere –

Dott. GUALTIERO MICHELINI               – rel. Consigliere –

Dott. ELENA BOGHETICH                            – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 19839-2022 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (omissis) presso lo studio degli avvocati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) che la rappresentano e  difendono;

ricorrente

contro

(omissis) (omissis), (omissis) (omissis) in qualità di eredi di (omissis) (omissis) tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI  CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (omissis) (omissis);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 45/2022 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 10/02/2022 R.G.N. 70/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di Lecce – dist. di Taranto, in accoglimento dell’appello degli eredi di (omissis) (omissis) in riforma della sentenza del locale Tribunale (di rigetto dell’originaria domanda), ha condannato (omissis) al pagamento in loro favore di somme a titolo di risarcimento dei danni patiti in conseguenza del decesso del congiunto il 9.9.2009 per carcinoma polmonare;

2. il risarcimento (pari a € 120.000 ciascuno in favore dei 5 figli viventi ed € 40.000 ciascuno in favore degli eredi di altra figlia deceduta), a titolo di danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, veniva riconosciuto per l’accertata responsabilità della datrice di lavoro nell’insorgenza della patologia tumorale che aveva cagionato ii decesso del dante causa, che aveva lavorato dal 1973 al 1985 alle dipendenze di (omissis) presso lo stabilimento siderurgico di (omissis) con mansioni che avevano comportato esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro; in particolare, la prova dei fatti costitutivi della responsabilità risarcitoria veniva desunta da CTU medico-legale svolta in altro giudizio, innanzi al giudice del lavoro, tra le stesse parti per diversa posta risarcitoria (danno biologico subito dal de cuius) e dal riconoscimento in favore della vedova di rendita INAIL per le vittime da esposizione ad amianto;

3. per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso la società, con 4 motivi, cui resistono con  controricorso gli eredi, del lavoratore; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si é riservato il deposito dell’ordinanza;

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società deduce (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) error in procedendo, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 p.c. per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo a (omissis) S.p.A. (rectius: di titolarità passiva del rapporto obbligatorio);

2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) omesso esame dell’eccezione del proprio difetto di legittimazione passiva (rectius: di titolarità passiva del rapporto obbligatorio) spiegato in entrambi i gradi del giudizio di merito;

3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c., 40 e 41 c.p., 2087 e 2697 c.c., 116 c.p.c. per mancata applicazione del metodo controfattuale per l’accertamento del nesso di causalità, nonché dello standard probatorio richiesto dall’ordinamento, anche accogliendo il più tenue paradigma causale civilistico della preponderanza dell’evidenza o del cd. più probabile che non;

4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli 2697 c.c. e 116 c.p.c. per aver condannato la società al risarcimento del danno patito dagli eredi in assenza di accertamento e prova del danno patito dai singoli congiunti;

5. i primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto concernenti la titolarità del debito risarcitorio, non sono fondati;

6. a parte la genericità dell’eccezione, non ricorrono ipotesi di omessa pronuncia o omesso esame della questione come dedotti, perché su di essa la Corte di merito si é pronunciata implicitamente, richiamando la causa parallela tra le stesse parti per il medesimo evento, con la sola differenza della voce di danno azionata in giudizio (danno iure hereditatis nella causa parallela, danno da perdita del rapporto parentale iure proprio nel presente giudizio), e quindi confermando la titolarità passiva di (omissis) come nella controversia di lavoro;

7. il terzo motivo non é meritevole di accoglimento;

8. la pronuncia impugnata é conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, applica la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno é governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (v. Cass. n. 13954/2014, n. 38123/2021, n. 15852/2024);

9. é altresì conforme al principio secondo cui, nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può  essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie; é tuttavia necessario acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori  elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. Cass. n. 13814/2017, n. 9634/2004);

10. la sentenza impugnata ha accertato, sulla base della CTU (e di altri elementi, quali il riconoscimento della rendita per malattia professionale a opera dell’INAIL) il nesso causale tra esposizione del lavoratore ad amianto sul luogo di lavoro nel periodo considerato e patologia tumorale contratta; ha quindi riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, ma non tale da interrompere il nesso (con)causale dell’esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive della patologia tumorale a origine multifattoriale per cui é causa; non consta, quindi, alcuna violazione del metodo controfattuale richiamato da parte ricorrente;

11. il quarto motivo non é fondato;

12. la sentenza impugnata ha specificato i parametri utilizzati per la liquidazione del danno in favore di ciascun danneggiato, ovvero l’età adulta dei figli al momento del decesso del congiunto, l’età della vittima, il concorso di colpa della vittima; ha spiegato la natura del danno parentale riconosciuto e i criteri di riferimento alle cd. tabelle di Milano e all’equità integrativa, richiamando espressamente i principi espressi da Cass. n. 10579/2021, secondo cui, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delie circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali,  indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione (nella specie la riduzione di un terzo per la con causalità dell’abitudine al fumo voluttuario);

13. peraltro, come evidenziato da parte controricorrente, in tema di danno non patrimoniale il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l’assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. danno in re ipsa, che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione (Cass. n. 25541/2022; cfr. anche Cass. n. 1752/2023, che chiarisce che, in tema di risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, non sussiste alcun limite normativo che determini l’irrisarcibilità del pregiudizio nelle ipotesi in cui gli effetti lesivi della salute del prossimo congiunto non siano particolarmente gravi; perciò, secondo i principi generali, il  predetto danno é risarcibile se il parente prova, anche in via presuntiva, di aver subito lesioni in conseguenza  della condizione del congiunto);

14. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidate complessivamente come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

15. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei  presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delie spese del presente giudizio, che liquida in € 15.000 per  compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03.

Cosi deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 18.9.2024.

Il Presidente

dott. Antonio Manna

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.