Malgoverno di animali. Asino fugge dal recinto e s’imbatte in un passante il quale, per allontanarlo, lo urta con una mano; l’animale reagisce mordendogli un braccio (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 18 dicembre 2020, n. 36465).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente – 

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

TOMASSELLI ENZO nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il xx/xx/19xx:

avverso la sentenza del 22/03/2019 del TRIBUNALE di TERNI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARIO MARIA STEFANO PINELLI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

dato atto che la parte civile, per il tramite del difensore di Cica Tonino, avv. Piraico, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile e ha presentato dichiarazioni scritte e nota spesa, oltre a memorie con allegati.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa il 22 marzo 2019, il Tribunale di Terni, decidendo quale giudice dell’appello, ha parzialmente riformato – escludendo il concorso di colpa della persona offesa – e ha per il resto confermato la sentenza con la quale il Giudice di Pace di Orvieto, il 5 febbraio 2018, aveva condannato Enzo Tomasselli alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili per il delitto di lesioni personali colpose in danno di Tonino Cica, contestato come commesso il 6 giugno 2013.

Il Tomasselli risponde del predetto reato quale custode di un asino, di proprietà di Maurizio Tomasselli, per non avere impedito – secondo l’accusa – che l’animale uscisse dal recinto in cui era custodito; ciò aveva cagionato l’incontro tra l’asino ed il Cica, il quale stava percorrendo una strada vicina e, per allontanare l’animale che gli si era avvicinato, lo urtava con la mano, così provocando la reazione dell’asino, che lo mordeva ad un braccio, provocandogli le lesioni descritte nell’imputazione.

Il Tribunale ha respinto le censure dell’imputato appellante volte ad ottenere l’esclusione della parte civile e la declaratoria di nullità del decreto di citazione; nel merito, ha confermato le valutazioni esposte dal Giudice di pace in termini di ricostruzione del fatto e ha rigettato la prospettazione dell’imputato, secondo il quale vi era quanto meno la prevalenza del concorso di colpa della persona offesa; al contrario, accogliendo l’appello della parte civile, ha escluso il predetto concorso di colpa.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il Tomasselli, con atto articolato in tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di norma processuale in relazione all’articolo 20, D.Lgs. 274/2000: in estrema sintesi la lagnanza é articolata deducendo la carenza nel descrivere il fatto contestato mediante un’enunciazione in forma chiara e precisa: in specie, la violazione dell’obbligo di custodia attribuita al ricorrente doveva essere completata dalla specifica indicazione della regola cautelare violata e del comportamento alternativo che l’imputato avrebbe dovuto tenere nell’occorso.

2.2. Con il secondo motivo, sempre sotto il profilo della violazione di norma processuale (in questo caso l’art. 651 cod.proc.pen.), il ricorrente ripropone la lagnanza, già rassegnata in appello, circa l’inammissibilità dell’impugnazione della parte civile in riferimento alla condanna generica al risarcimento pronunziata dal giudice di pace, condanna riguardo alla quale il giudicante aveva ritenuto il concorso di colpa della persona offesa.

Il ricorrente, corredando il motivo di doglianza di ampi richiami giurisprudenziali, deduce la carenza di interesse della parte civile appellante, insistendo per la declaratoria di inammissibilità dell’appello dalla stessa proposto.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e travisamento della prova con riguardo alla ricostruzione fattuale accolta dalla Corte di merito, nella quale si contesta la valutazione, da parte del Tribunale, dell’irrilevanza del gesto del Cica (una manata verso il muso dell’asino), prima della reazione mordace dell’animale, ai fini dell’accertamento delle responsabilità dell’evento lesivo.

Riportando alcuni stralci delle deposizioni testimoniali, il ricorrente solleva dubbi circa l’asserita estemporaneità della decisione dell’animale di mordere il Cica, sebbene l’asino venisse descritto da tutti come animale mite e abituato al contatto con uomini e anche con bambini.

Lamenta infine il ricorrente che il Tribunale non abbia spiegato se il comportamento dell’animale sarebbe stato lo stesso in mancanza del colpo sul muso, e quindi se tale evenienza non abbia comportato un concorso di colpa della persona offesa o, addirittura, un’ipotesi di caso fortuito.

3. Si dà atto che il difensore della costituita parte civile ha depositato memoria conclusiva e nota spese, chiedendo che il ricorso dell’imputato venga dichiarato inammissibile o rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso é manifestamente infondato.

Premesso che la regola invocata dal ricorrente (art. 20, commi 2, lettera C, e 6, D.Lgs. 274/2000) implica che debba essere valutata la sufficiente indicazione dell’imputazione formulata dal pubblico ministero, é di tutta evidenza che tale regola ripete, nella sostanza, quelle enunciate con maggiore precisione dal codice di rito penale agli articoli 429, commi 1 lettera C e 3, e 552, commi 1, lettera C, e 2, che richiedono – a pena di nullità del decreto dispositivo del giudizio o di citazione diretta dell’imputato – l’enunciazione del fatto «in forma chiara e precisa»: locuzione che non implica però la pedante e minuta trascrizione di tutti gli elementi descrittivi della fattispecie, compresi quelli riguardanti la regola di cautela cui l’imputato si sarebbe dovuto attenere e il comportamento alternativo lecito, ma può dirsi sufficientemente rispettata laddove si fornisca una descrizione del fato che ne comprenda gli elementi essenziali ai fini dell’approntamento, da parte dell’accusato, delle proprie difese, nell’esercizio del relativo diritto.

Non sussiste, del resto, alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Sez. 5, Sentenza n. 51248 del 05/11/2014, Cutrera, Rv. 261741; Sez. 2, Sentenza n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Ferrante, Rv. 265825; Sez. 5, Sentenza n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà e altri, Rv. 269455).

E’, dunque, ampiamente sufficiente nel caso di specie il riferimento dell’editto imputativo alla violazione, da parte dell’imputato, degli obblighi di custodia dell’animale (costituenti essi stessi la regola cautelare, in un caso di colpa generica) che usciva dal recinto, entro il quale il Tomasselli avrebbe dovuto farlo rimanere (comportamento alternativo diligente), così ponendo le premesse per un comportamento dell’animale che é stato correttamente ritenuto come tutt’altro che imprevedibile e in ordine al quale, come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso odierno ricorso, l’imputato é stato ampiamente in grado di difendersi.

2. E’, del pari, manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso.

Sussiste, in primo luogo, la legittimazione della parte civile a proporre appello avverso i capi della sentenza di condanna concernenti l’azione civile, in quanto il testo novellato dell’art. 576 cod. proc. pen. – ad opera dell’art. 6 della legge n. 46 del 2006 – prevedendo una generica legittimazione della parte civile ad impugnare, non limita detto potere al solo ricorso per cassazione né esclude espressamente o per implicito l’appello, sicché può essere inteso nel senso che é consentita ogni forma di impugnazione ordinaria (Sez. 5, Sentenza n. 6756 del 16/10/2014, dep. 2015, Alfieri, Rv. 262724).

In secondo luogo, e soprattutto, altro é parlare di inammissibilità per carenza d’interesse del ricorso per cassazione della parte civile avverso le determinazioni inerenti al concorso di colpa nel reato, attesa l’assenza di efficacia di tale statuizione agli effetti del giudicato, formatosi all’esito del giudizio di legittimità, nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 17219 del 20/03/2019, M., Rv. 275874); altro é parlare dell’appello della parte civile in relazione al concorso di colpa ravvisato in primo grado, atteso che tale statuizione, ove contestata dalla parte civile con apposita impugnazione nel giudizio d’appello, può ben comportare la rideterminazione delle statuizioni civili di primo grado ed anche la liquidazione dell’ammontare della somma da risarcire, atteso che, nel caso di condanna in primo grado dell’imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, al giudice d’appello é inibito procedere alla liquidazione definitiva del danno solo in assenza di una impugnazione della parte civile sul punto, in quanto ne risulterebbe violato il principio devolutivo dell’appello (da ultimo Sez. 5 – , Sentenza n. 12725 del 12/12/2019, dep. 2020, Arena, Rv. 279020): evenienza che non ricorre nella specie, proprio perché la parte civile costituita aveva presentato appello al riguardo.

Conseguentemente deve ravvisarsi la sussistenza dell’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di primo grado, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente.

Del resto, ove fosse fondata l’asserzione del ricorrente, occorrerebbe chiedersi specularmente quale sia il suo interesse a dolersi oggi dell’appello di controparte che di fatto non ha comportato ex se un pregiudizio immediato e diretto ai suoi danni, ai fini dell’azione civile.

3. E’, infine, manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso.

A parte le doglianze del ricorrente in punto di determinazione del concorso di colpa della persona offesa (riguardo alle quali va ricordato che il riconoscimento del diritto al gravame é subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un’utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso: così Sez. U, Sentenza n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693; e Sez. 1, Sentenza n. 8763 del 25/11/2016, dep. 2017, Attanasio, Rv. 269199), é di tutta evidenza che nel resto la prospettazione del ricorrente tende a sottoporre al vaglio di legittimità una rilettura alternativa del materiale probatorio, incompatibile con il giudizio di cassazione (cfr. i principi affermati da Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

E’ noto infatti che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507); del pari sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965).

E’, solo, il caso di soffermarsi su due aspetti che comunque il ricorrente affronta, sia pure in modo – si ripete – manifestamente privo di pregio. In primo luogo ci si riferisce all’assunto secondo il quale il comportamento del Cica (la manata sul muso dell’asino) sarebbe stato imprevedibile e idoneo a interrompere il nesso causale; al riguardo é del tutto pertinente la risposta fornita dalla Corte di merito ad analoga lagnanza dell’odierno ricorrente, nell’escludere l’asserita imprevedibilità della reazione del Cica all’avvicinamento dell’animale (giudicata istintiva e del tutto compatibile con l’avvicinamento del somaro, cagionato dall’uscita dell’animale dal recinto).

In secondo luogo ci si riferisce alla nozione di “caso fortuito”, pure invocata dal ricorrente a proposito del gesto del Cica: nozione che va all’evidenza esclusa in relazione a quanto si é detto poc’anzi a proposito della prevedibilità della sua reazione, tanto più che non costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità dell’agente, quello cui lo stesso abbia dato causa con la sua condotta negligente o imprudente (Sez. 4, Sentenza n. 36883 del 14/07/2015, Procopio e altri, Rv. 264416).

4. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

5. Va infine condannato il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla costituita parte civile Cica Tonino, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimità dalla parte civile Cica Tonino, che liquida in euro tremila oltre accessori di legge.

Così deciso il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.