Maresciallo dei Carabinieri instaura una breve e superficiale relazione con una cittadina albanese consistente in qualche messaggio e telefonata senza frequentazione de visu, senza svelare la propria qualifica (T.A.R. Lombardia Milano, Sezione III, Sentenza 24 giugno 2019, n. 1450).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

con l’intervento dei magistrati:

Ugo Di Benedetto, Presidente, Estensore

Antonio De Vita, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 423 del 2016, proposto da

V.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Mariapaola Marro, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Primaticcio, 8;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale Milano, domiciliata ex lege in Milano, via Freguglia, 1;

per l’annullamento

dell’atto avente protocollo n. (…) datato 4 dicembre 2015 della legione Carabinieri “Lombardia” – Comando Provinciale di Como Reparto Operativo – Nucleo Investigativo e notificato al ricorrente i data 11 dicembre 2015 recante la sanzione disciplinare di “rimprovero”, nonchè di tutti gli atti connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 13 giugno 2019 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente è un militare dell’arma dei carabinieri che riferisce di aver instaurato una breve e superficiale relazione con una cittadina albanese nel periodo tra ottobre 2014 e dicembre 2014 consistente in qualche messaggio e telefonata senza frequentazione de visu, senza svelare la propria qualifica.

Nel settembre 2015 gli veniva contestato un addebito sfociata in una sanzione disciplinare di “rimprovero” in data 11 dicembre 2015 applicata dal Comandante del nucleo investigativo.

La sanzione disciplinare veniva comminata con la seguente motivazione “maresciallo capo addetto a nucleo investigativo di comando provinciale, dimostrava minore senso di responsabilità per avere instaurato, trascurando la prudenza che il delicato incarico porrebbe e sottacendo la propria reale identità, un rapporto confidenziale con donna di nazionalità albanese, risultata successivamente gravata da pregiudizi di polizia e tratta in arresto per reati in materia di sostanze stupefacenti per violazione di cui all’art. 717 del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”.

Avverso detto provvedimento presentava ricorso al T.A.R. l’interessato deducendone l’illegittimità sotto vari profili.

Si costituiva in giudizio l’Amministrazione intimata che controdeduceva alle avverse doglianze e concludeva per il rigetto del ricorso.

L’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza n. 316/2016 per mancanza del periculum in mora “in quanto la sanzione irrogata non incide sulla continuità del rapporto di lavoro e sui profili economici del medesimo”.

La causa è stata trattenuta in decisione all’odierna udienza.

2. In linea di fatto è pacifico e risulta dal rapporto dell’Amministrazione prodotto in giudizio nonché dalla contestazione addebiti e dalla sanzione stessa, che i cosiddetti pregiudizi penali della cittadina albanese, richiamati nella sanzione disciplinare contestata, sono emersi successivamente alla cessazione del rapporto confidenziale telefonico e che il militare non ha mai rivelato la propria qualifica.

3. Ciò premesso il ricorso è fondato.

I fatti contestati non evidenziano alcuna mancanza disciplinare.

La cosiddetta relazione confidenziale nulla ha a che vedere con lo svolgimento dei compiti di istituto o con il comportamento prudente che un militare deve tenere anche al di fuori dell’orario di servizio. Infatti, come emerge dal rapporto stesso, in cui non si evidenzia alcun rilievo disciplinare, il militare ignorava la condotta di vita della cittadina albanese il cui comportamento in violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti è emerso solo successivamente.

Inoltre il militare non solo non ha palesato la propria qualifica ma non risulta che sussista alcuna correlazione tra le telefonate intercettate e lo svolgimento delle indagini che hanno portato all’arresto, successivamente, della cittadina albanese.

I fatti sopra riferiti, quindi, evidenziano la piena buona fede del militare che ignorava le attività illecite, palesatesi successivamente, della cittadina albanese e rispetto alle quali non era emerso alcun elemento che potesse indurre, in quel momento, a qualche sospetto nei suoi confronti.

In conclusione i fatti accertati non consentono di ravvisare un minore senso di responsabilità o un’imprudenza nel comportamento del militare che aveva sempre tenuto un comportamento impeccabile (circostanza non contestata dalla difesa dell’Amministrazione e, quindi, pacifica ai sensi dell’articolo 64, comma secondo, del c.p.a.).

4. Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto e per l’effetto va annullata la sanzione disciplinare comminata.

5. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione intimata al pagamento delle spese di causa che si liquidano in favore del ricorrente in Euro 4.000 (quattromila), oltre spese generali, I.V.A. e c.p.a. nonché alla restituzione di una somma pari al contributo unificato versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 24 giugno 2019.