Mascherine chirurgiche prive di regolare ordinaria documentazione e recanti un marchio Ce contraffatto. Legittimo il sequestro (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 21 aprile 2021, n. 15042).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Mattia nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il 29/01/19xx;

avverso la ordinanza del 05/06/2020 del Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Noviello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il tribunale di Santa Maria Capua a ‘Vetere, adito nell’interesse di (OMISSIS) Mattia avverso il decreto di sequestro probatorio del 16 maggio 2020 emesso dal Pubblico Ministero di Santa Maria Capua a Vetere in relazione agli artt. 515 e 517 cod. pen., confermava il provvedimento impugnato.

2. Avverso la pronuncia sopra indicata del tribunale, propone ricorso (OMISSIS) Mattia mediante il proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione.

3. Deduce con il primo motivo i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il Tribunale non avrebbe considerato le doglianze difensive di cui ad apposita memoria depositata, non avendo considerato come il ricorrente avesse ricevuto i dispositivi sequestrati la sera precedente al sequestro così da non poter richiedere in tale lasso di tempo la validazione INAIL, con conseguenti dubbi sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo al ricorrente che aveva effettuato l’acquisito nella convinzione che i beni, su indicazione del produttore, avessero i requisiti necessari, e non avendo altresì tenuto conto del fatto che il (OMISSIS) da una parte avrebbe potuto mettere in commercio le mascherine senza la dicitura “dispositivo medico di protezione”, come per altre mascherine non sequestrate, e dall’altra aveva interesse a procedere a tests sui dispositivi sequestrati, funzionali ad apporre la dicitura “dispositivo medico di protezione”; non avendolo potuto fare per l’intervenuto sequestro. Inoltre in memoria si era evidenziato come le mascherine non erano state offerte in vendita.

4. Con il secondo motivo rappresenta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 515 cod. pen., atteso che il delitto si consuma solo in caso di consegna di “aliud pro alio“, mentre nel caso di specie per le concrete circostanze non sarebbe ipotizzabile neppure il tentativo.

Neppure sarebbe ipotizzabile l’ipotesi di chiusura di cui all’art. 517 cod. pen. circoscritta in limiti ristretti non rinvenibili nel caso in esame.

5. Con il terzo motivo rappresenta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56 515 cod pen.

Sarebbe erronea la presunzione della destinazione alla vendita delle mascherine sequestrate, desunta dalla circostanza del rinvenimento di un numero di dispositivi di gran lunga inferiore a quello acquistato, da ritenersi quindi già venduto.

Sia perché sarebbe una presunzione fondata sul nulla e smentita dai fatti sia perché non si sarebbe tenuto conto della circostanza per cui le mascherine avrebbero potuto essere vendute con la specificazione che non si trattasse di DPI, sia perché la fattura di riferimento non certificherebbe l’avvenuta consegna della merce acquistata.

Ed invero in base alla documentazione sequestrata le mascherine in vinculis sarebbero state le prime consegnate tra quelle acquistate.

6. Con il quarto motivo rappresenta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56 515 cod pen. per motivazione illogica, contraddittoria e fondata su un errore nell’interpretazione della legge.

Diversamente da quanto sostenuto dal collegio della cautela, il D.L. 17 marzo 2020 non prevede alcuna necessità di sottoporre i dispositivi in questione a marcatura CE.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre esaminare congiuntamente i quattro motivi di impugnazione, omogenei nel rilevare, seppur sotto diversi profili, la insussistenza dei presupposti del fumus del reato.

3. Il tribunale ha rinvenuto il fumus del reato ex art. 56, 515 cod. pen., sul rilievo per cui i beni sequestrati consisterebbero in dispostivi medici del tipo mascherine chirurgiche, prive di regolare ordinaria documentazione e recanti un marchio Ce contraffatto, oltre ad essere peraltro privi della documentazione idonea alla messa in commercio, prevista in via derogatoria dal D.L. del 17 marzo 2020.

Alla luce di tali dati il tribunale ha, in sintesi, rinvenuto il fumus del reato tentato ex artt. 56 e 515 cod. pen., ritenendo che le mascherine in esame si presentassero quali dispositivi medici di protezione corredate soltanto da una falsa certificazione CE, come tale idonea a trarre in inganno in ordine alla conformità del dispositivo agli standard europei, e che le medesime dovessero ritenersi destinate alla vendita in ragione dell’intervenuto rinvenimento di un quantitativo minimo di mascherine, a fronte di centomila acquistate (alla luce di una corrispondente fattura di acquisto rinvenuta), così da potersi ritenere che molte di esse fossero state già alienate.

3.1. Si tratta di una motivazione che fornisce innanzitutto compiuta risposta alle obiezioni giuridiche dedotte dalla difesa, circa la inconfigurabilità del reato ex artt 56 515 cod. pen., posto che le circostanze obiettive ivi illustrate, nel dar conto della esistenza di beni aventi differenti caratteristiche rispetto a quelle apparenti e quindi pattuibili, e della loro destinazione alla vendita, correttamente confluiscono nella fattispecie alfine rilevata, atteso che il tentativo di frode nell’esercizio del commercio non richiede, ai fini della sua configurabilità, l’effettiva messa in vendita del prodotto, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite (Sez. 3, n. 45916 del 18/09/2014 Rv. 260915 – 01 Tebai).

Lineare e tutt’altro che carente sul piano motivazionale è anche il percorso logico attraverso cui il collegio della cautela è pervenuto al rinvenimento della destinazione alla vendita dei beni: sul rilievo per cui, a fronte di una oggettiva fattura relativa alla vendita di 100.000 dispositivi – e quindi della regola fondata sull’id quod plerumque accidit per cui il rilascio di fattura corrisponde all’adempimento della prestazione ivi prevista – e al rinvenimento di una parte soltanto delle stesse, debba ritenersi che quelle restanti fossero già state alienate, con conferma della medesima destinazione prevista per quelle sequestrate.

Su tale ultimo profilo occorre peraltro precisare come il ricorrente in questa sede non abbia dedotto né dato prova di avere fornito già in sede di riesame documentazione dimostrativa del fatto per cui i dispositivi sequestrati sarebbero stati in realtà solo la prima parte di quelli acquistati e fatturati.

3.2. In presenza di tale completa e adeguata motivazione, cade del tutto la deduzione sia di un vizio di violazione di legge (di cui al primo motivo dedotto) circa il non corretto inquadramento giuridico, sia di quello di carenza di motivazione.

E invero la motivazione è insussistente solo in caso di assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito (Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 Rv. 215132 – 01 Commisso) o quando ne manchi la veste grafica, oppure quando sia apparente, ossia quando risulti del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi – non rinvenibili in quello di specie – in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014 (dep. 05/03/2015) Rv. 263100 – 01 Vassallo).

3.3. Tutte le altre deduzioni, in termini di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica sono destituite di fondamento, sul rilievo preliminare per cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 – 01 Napoli; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).

Si è altresì specificato che in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo esso, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893).

Il controllo della Corte di Cassazione è, in altri termini, limitato ai soli profili della violazione di legge.

La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 – dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 – dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840).

A tale ultimo riguardo, va precisato che non sussiste una motivazione carente neppure in termini di valutazione dell’elemento psicologico, atteso che lo stesso ricorrente deduce non già la palese ed evidente inesistenza dell’elemento psicologico del reato bensì la sussistenza di “dubbi” circa il dolo della fattispecie ipotizzata, laddove, giova ribadirlo, in relazione ai provvedimenti che dispongono misure di cautela reale, nella valutazione del ”fumus commissi delicti” può rilevare anche l’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché però di immediata evidenza (Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 Rv. 259337 – 01 Di Salvo; Sez. 2, n. 2808 del 02/10/2008 (dep. 21/01/2009) Rv. 242650 – 01).

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 5/02/2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.