Militare dell’Esercito, libero dal servizio, viene fermato dalla Radiomobile iniziando ad offenderli. E’ Insubordinazione o oltraggio a P.U.? (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 7 giugno 2019, n. 25353).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. SIANI Vincenzo – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI ROMA

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) ESPEDITO nato a SCILLA il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 22/03/2018 del TRIBUNALE MILITARE di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Vincenzo SIANI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Militare Dott. Francesco FICUCELLI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 22 marzo – 2 maggio 2010, il Tribunale militare di Roma ha giudicato Espedito (OMISSIS), Caporale dell’Esercito Italiano in servizio, all’epoca dei fatti, presso il 183° Reggimento Paracadutisti di Pistoia, per il reato di insubordinazione con ingiuria continuata e pluriaggravata (di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 47, nn. 2 e 4, 189, comma 2, cod. pen. mil . pace), fatto commesso in Montecatini Terme, il 19 ottobre 2015, e – ritenuto (OMISSIS) responsabile del reato continuato a lui ascritto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti – lo ha condannato alla pena di mesi cinque, giorni dieci di reclusione militare, con concessione della sospensione condizionale della pena stessa e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

All’imputato è stato contestato di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offeso il prestigio e la dignità dei superiori in grado Brigadiere dei Carabinieri Alfio Romano e Carabiniere scelto Vincenzo Rodorigo, che gli stavano contestando alcune violazioni al codice della strada, dicendo loro: “Non siete buoni a fare un cazzo; fermate solo le persone senza precedenti e militari; invece di fermare gli albanesi, vorrei vedervi al lavoro con gli albanesi!”; e poi interloquendo con Romano: “Sai che c’è, fai come cazzo ti pare e piace!”; infine parlando con altra persona e riferendosi ai militari presenti: “lasciali stare a questi due che tanto non capiscono un cazzo”; fatti contestati come commessi per cause non estranee al servizio e alla disciplina militare, con le aggravanti di essere militare rivestito di un grado e di aver commesso il fatto in circostanze di luogo da cui poteva derivare il pubblico scandalo.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso immediato il Procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Perugia chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico articolato motivo con cui lamenta erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale.

Il Procuratore ricorrente lamenta che il Tribunale militare ha qualificato la condotta dell’imputato ai sensi dell’art. 189, comma 2, cod. pen. mil. pace, laddove essa aveva integrato un’ingiuria e sanzionata dall’art. 226 dello stesso codice: la prima norma, infatti, proteggeva il rapporto di subordinazione e quindi un rapporto di dipendenza gerarchica e funzionale tra il soggetto attivo e il soggetto passivo della condotta, mentre nel caso in esame il reo era un militare dell’Esercito, libero dal servizio, non in posizione di dipendenza funzionale dai due appartenenti all’Arma dei Carabinieri destinatari dell’offesa; e, siccome con riferimento all’art. 189 cit., poteva pervenirsi all’affermazione di penale responsabilità soltanto quando il comportamento tenuto dall’agente integrasse un’offesa rivolta a soggetti superiori in grado o in comando rispetto alla posizione subordinata del reo, il relativo precetto non riguardava il caso in esame.

Più specificamente – sottolinea l’impugnante – il fatto oggetto di processo non era pertinente a cause attenti al servizio o alla disciplina militare, per gli effetti di cui all’art. 199 cod. pen. mil . pace, in quanto per essere inseriti in tale alveo il fatto avrebbe dovuto risultare correlato all’attività al rapporto di servizio sia del soggetto attivo che del soggetto passivo della condotta: il Tribunale aveva pertanto errato nell’affermare la responsabilità di (OMISSIS) per una condotta ascrivibile a lui per diverso titolo di reato.

Inoltre, evidenzia il ricorrente, il fatto era stato rubricato innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, con riferimento al titolo di reato di cui all’art. 341-bis cod. pen., oggetto del procedimento n. 6639/2015 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia: e, essendosi preso atto che l’imputato aveva integrato la condotta riparatoria prevista dall’art. 341-bis, terzo comma, cod. pen., si era avuta l’archiviazione del procedimento: di conseguenza, con la decisione impugnata, il Tribunale militare sembrava essersi sostituito all’autorità giudiziaria ordinaria, escludendo la connessione del reato militare di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace con il più grave reato di cui all’art. 341-bis cod. pen., che avrebbe condotto alla conseguente declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, da individuarsi nel Tribunale ordinario di Pistoia, ai sensi dell’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., il quale avrebbe dovuto, poi, verificare anche l’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen.

In definitiva, nella prospettiva del ricorrente, il caso di specie avrebbe dovuto essere regolato in base al principio di diritto secondo cui la condotta ingiuriosa di un pubblico ufficiale è punibile ai sensi dell’art. 341-bis cod. pen. e va conosciuta dall’autorità giudiziaria ordinaria, mentre, se l’ingiuria è commessa da un militare al di fuori della propria attività di servizio, può ricorrere anche l’ipotesi di reato di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace, ma non quella di cui all’art. 189 stesso codice, che invece presuppone un rapporto di dipendenza funzionale fra l’agente e l’offeso, giusta il disposto dell’art. 199 cod. pen. mil . pace, che esige la pertinenza a ragioni sia di servizio che di disciplina: pertinenza che è da ritenersi carente in radice quando, come nel caso di specie, il reo sia libero dal servizio, con la specificazione che il reato avrebbe dovuto essere in ogni caso conosciuto dal Tribunale ordinario, e non dal Tribunale militare, comunque carente di giurisdizione.

3. Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, essendo da ritenersi corretta la qualificazione del fatto come reato militare, inquadrato nella fattispecie dell’art. 189 cod. pen. mil. pace, restando al di fuori del presente ambito la questione dell’avvenuta qualificazione del fatto quale reato punito dall’art. 341-bis cod. pen. in sede ordinaria e dell’avvenuta estinzione del reato stesso per l’attuata condotta riparatoria, ai sensi dell’art. 162-ter cod. pen., che non poteva essere dedotta nel grado di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso immediato proposto dal Pubblico ministero è parzialmente fondato dovendo lo scrutinio del caso concreto condurre alla declaratoria di insussistenza del fatto, per come sussunto dal reato militare di insubordinazione con ingiuria, di cui all’art. 189 cod. pen. mil . pace.

2. La sentenza impugnata ha descritto il dipanarsi dell’episodio che ha dato luogo all’imputazione, avvenuto il 19 ottobre 2015 quando il Brig. Romano e il Car. Sc. Rodorigo dell’Aliquota Radiomobile dei Carabinieri di Montecatini Terme avevano sottoposto a controllo una Volkswagen Polo con tre persone a bordo, rilevando che le stesse non indossavano le cinture di sicurezza, ragione per la quale avevano elevato la relativa contestazione e, avendo notato, durante il controllo, la discrasia fra i quattro pneumatici e quelli che avrebbero dovuto montarsi in relazione alla carta di circolazione del veicolo, avevano contestato anche questa ulteriore infrazione al conducente, nonché proprietario del veicolo, Espedito (OMISSIS).

I militari operanti hanno dato atto che questi, mentre essi provvedevano alla verbalizzazione delle contravvenzioni, aveva progressivamente proferito le frasi offensive di cui alla rubrica, dopo che la ragazza presente nel veicolo si era avvicinata ai Militari sostenendo che aveva subìto altri controlli, senza che nessuno avesse elevato le contestazioni da loro mosse e segnalando che, comunque, aveva urgenza di allontanarsi.

Inoltre, avendo (OMISSIS) lamentato che essi fermavano solo persone senza precedenti penali e militari, invece di fermare gli albanesi, il Brig. Romano, nel corso delle interlocuzioni in cui erano state pronunciate da (OMISSIS) le frasi indicate in rubrica, aveva chiesto a quest’ultimo di mostrargli i suoi documenti e, all’esito, l’imputato era tornato all’autovettura e aveva esibito al verbalizzante il tesserino di Caporalmaggiore dei paracadutisti, in servizio a Pistoia.

I giudici di merito – esclusa la sussistenza del bis in idem con il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen., reato configurato nei confronti di (OMISSIS) per lo stesso fatto in sede ordinaria, tenuto conto che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 189 cod. pen. mil. pace tutela anche il rapporto gerarchico, sul rispetto del quale si basa l’efficienza dell’intera organizzazione militare – hanno considerato oggettivamente lesive dell’onore, della dignità e del decoro dei Carabinieri delle frasi pronunciate dell’imputato al loro indirizzo e in loro presenza.

Inoltre, per quanto concerne la qualificazione giuridica del fatto come insubordinazione con ingiuria ai sensi dell’art. 189 cod. pen. mil. pace, il Tribunale militare ha ritenuto di doverla mantenere ferma non accedendo alla prospettazione del P.m. di udienza, che aveva richiesto la riqualificazione come ingiuria semplice ai sensi dell’art. 226 cod. pen. mil. pace: al riguardo, si è ritenuto dai giudici di merito che, in relazione al disposto dell’art. 199 cod. pen. mil. pace, non siano emersi elementi tali da poter ipotizzare che la condotta ingiuriosa serbata da (OMISSIS) fosse stata posta in essere per cause estranee al servizio o alla disciplina militare, siccome era risultato che l’imputato, in presenza di militari in divisa, ne aveva offeso l’onore, l’onore e la dignità a causa e in occasione del servizio che essi stavano svolgendo, venendo meno al contegno che le norme di disciplina militare impongono di tenere nei rapporti con i superiori.

3. Il ragionamento svolto dal Tribunale appare fondatamente censurato dall’impugnazione sopra richiamata sotto il profilo inerente all’avvenuta sussunzione della condotta offensiva messa in essere da (OMISSIS) nel reato militare di insubordinazione con ingiuria senza avere assodato, in forza di prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio, la ricorrenza del presupposto negativo implicato dal disposto dell’art. 199 cod. pen. mil. pace.

3.1. La norma incriminatrice contestata, l’art. 189, comma 2, cod. pen. mil. pace, sanziona il militare che offende il prestigio, l’onore o la dignità di un superiore in sua presenza.

L’art. 199 cod. pen. mil. pace dispone che le disposizioni di cui ai capi terzo e quarto del titolo terzo (fra le quali l’art. 189 cit.) non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio o da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare.

Questo quadro normativo, come integrato, quanto al richiamo alla disciplina militare, dagli artt. 5 legge n. 382 del 1978 e 8 d.P.R. n. 545 del 1986, come sostituiti, in senso equidisponente, dall’art. 1350 d.lgs. n. 66 del 2010, è interpretato dalla linea ermeneutica fatta propria dalla prevalente giurisprudenza di legittimità nel senso che la minaccia o l’offesa all’onore di un superiore rivolta dal militare appartenente alle Forze armate al di fuori dell’attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall’art. 199 cod. pen. mil. pace, in quanto afferente a causa estranea al servizio e alla disciplina militare.

E’ stato, in particolare, ritenuto ricompreso nell’alveo di operatività della clausola di esclusione il comportamento del militare che, fuori servizio e in abiti civili, senza qualificarsi, abbia inveito all’indirizzo di appartenenti all’Arma dei Carabinieri, intervenuti per ragioni rapportabili al servizio di viabilità e di circolazione stradale (Sez. 1, n. 8495 del 28/09/2012, dep. 2013, Pozzani, Rv. 254923; Sez. 1, n. 19425 del 05/05/2008, Carofalo, Rv. 240286; v. anche Sez. 1, n. 16413 del 03/03/2005, Andresini, Rv. 231573).

3.2. Il richiamato orientamento, che si condivide e riafferma, si fonda sull’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 199 cod. pen. mil. pace, nel senso (coerente con l’impianto dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 367 del 6.11.2001) che la clausola di esclusione del reato di insubordinazione non opera con esclusivo riferimento alla condizione di “estraneità dal servizio”, in cui in concreto si trova la persona ingiuriata o minacciata/ assumendo piuttosto rilevanza l’eventuale inesistenza di una correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore del fatto ed il servizio militare, sicché possono essere qualificate come cause estranee al servizio quelle che esorbitano dall’attività svolta dal soggetto attivo del reato o che, comunque, risultino collegate in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità, anche se non estranee al servizio svolto dalla persona offesa o dalle persone offese della condotta illecita.

In questa prospettiva, si può ritenere che l’art. 199 cit., non abbia riguardo al solo servizio svolto dalla persona ingiuriata o minacciata, indipendentemente da ogni relazione con il servizio svolto dall’autore del fatto, di guisa che non è possibile sanzionare penalmente condotte (di minaccia e) di offesa all’onore di un superiore, causate dal servizio di pubblico ufficiale da quest’ultimo espletato, ma non collegate in alcun modo al servizio svolto dal militare soggetto attivo del reato, non essendo conforme alla ratio della norma “una nozione formale e generalista di disciplina militare, invasiva di ogni momento della vita del soggetto, in servizio o fuori servizio, pur in assenza di ogni effettiva lesione del prestigio militare o di qualsiasi collegamento con i rapporti gerarchici inerenti il servizio svolto dall’autore del fatto” (così specificamente Sez. 1, n. 16413 del 2005, Andresini, cit.).

Nella stessa prospettiva, la causa di esclusione evapora quando l’agente, pur fuori servizio, acceda alla sfera comportamentale per la quale rileva la disciplina militare, alla stregua del quadro normativo di riferimento già richiamato, con particolare riferimento all’ipotesi in cui egli si qualifichi come militare nei confronti della persona offesa.

Di conseguenza, il reato militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur quando il soggetto agente commetta il fatto fuori dal servizio, ove tuttavia egli si qualifichi come militare nei confronti dei superiori persone offese (Sez. 1, n. 48159 del 23/10/2013, Fracasso, Rv. 257486; Sez. 1, n. 14351 del 12/03/2008, Spano, Rv. 240014).

3.3. Trasponendo queste coordinate ermeneutiche al caso in esame, si deve rilevare che l’analisi compiuta dal Tribunale non ha considerato il fatto che la qualificazione di (OMISSIS) come militare, per come valutata dalla decisione, non si profila essere emersa nel momento in cui l’imputato ha proferito le frasi offensive all’indirizzo delle persone offese, apparendo invece che questo fatto si è concretizzato dopo la pronuncia delle frasi stesse e, quindi, dopo la commissione della condotta tipica, con la susseguente identificazione compiuta dal Brig. Romano nei suoi confronti.

In tal senso – stante la carenza della corrispondente, affidante analisi da parte della sentenza impugnata circa la posizione assunta dall’offensore in quel preciso frangente – non è risultata provata la circostanza che (OMISSIS) si sia qualificato come militare nei confronti delle persone offese, se non dopo aver integrato la condotta offensiva a lui ascritta, così che essa non poteva, né può ritenersi abbia avuto causa nella disciplina militare.

Per tale dirimente ragione deve pervenirsi alla conclusione che il reato militare di insubordinazione di cui all’art. 189 cod. pen. mil . pace non sussiste.

3.4. Quanto alla condotta offensiva serbata da (OMISSIS), la sentenza impugnata e lo stesso ricorso hanno dato per assodato che il giudice ordinario ha configurato a carico del medesimo soggetto per lo stesso fatto la contestazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale come previsto e sanzionato dall’art. 341-bis cod. pen. (procedimento penale n. 6639/2015 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia); dopo di ché, avendo l’imputato riparato interamente il danno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 341-bis, terzo comma, cod. pen., è stata disposta l’archiviazione del procedimento, per essersi verificata la corrispondente causa di estinzione del reato.

In relazione a quest’ultimo reato, è da ritenere che – in ipotesi di offesa arrecata da un militare all’onore od al prestigio di altro militare, avente, come nel caso di specie, qualità di pubblico ufficiale, a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, offesa proferite in luogo pubblico e alla presenza di più persone – l’art. 341-bis cod. pen., configuri norma speciale rispetto all’art. 226 cod. pen. mil. di pace (cfr. con riferimento al quadro normativo riferito all’art. 341 cod. pen., ante legge n. 205 del 1999, Sez. U, n. 26 dep. 26/06/1954, Vannini, Rv. 097427; Sez. 1, n. Sez. 1, n. 3567 del 14/06/1995, Confl. giurisd. Trib. mil. La Spezia e Pret. Ferrara, in proc. Iannucci Rv. 202341), in quanto, oltre a tutti gli elementi costitutivi dell’ingiuria militare, la disposizione comune prevede ulteriori elementi specializzanti costituiti dalla qualità personale del soggetto passivo e dal nesso che deve sussistere fra azione e funzioni pubbliche, assumendo il reato comune in questo caso la forma di un’ingiuria qualificata dalla qualità di pubblico ufficiale e dagli altri elementi individuati dall’art. 341-bis cit.

La conseguenza di tale rilievo è che, (mentre, in punto di principio, ove si fosse ipotizzato il concorso di reati connessi, sarebbe emersa la giurisdizione del giudice ordinario, ex art. 13, comma 2, cod. proc. pen.) l’accertamento dell’avvenuta imputazione in sede ordinaria inerente al reato comune, imputazione esitata con l’archiviazione per sopravvenuta estinzione del reato stesso ex art. 341-bis, terzo comma, cod. pen., esclude che si possa procedere in pari tempo per lo stesso fatto nei confronti dell’agente per il reato militare, reato minore assorbito nel maggiore.

4. Le considerazioni svolte impongono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata per insussistenza del reato militare contestato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2019.

SENTENZA – copia non ufficiale -.