Militare dell’esercito partecipa a un concorso per allievi maresciallo. Durante il corso comunica ai superiori di essere stato coinvolto in una lite di vicinato e di aver subito una sanzione disciplinare di corpo per tali fatti che, tuttavia, non aveva impedito la prosecuzione del corso, regolarmente frequentato fino alla vigilia degli esami finali.

(T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, sentenza 28 settembre 2016, n. 9953)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2544 del 2015, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Michela Scafetta C.F. SCFMHL79E55A485U, domiciliato ex art. 25 cpa presso Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento del provvedimento M_D GMIL 1313672 del 15.12.2014 di esclusione dalla Scuola Sottufficiali dell’Esercito – Reggimento Allievi Marescialli di Viterbo;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 13 luglio 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Fatto e diritto

Il ricorrente premette di aver partecipato al Concorso interno, per titoli ed esami, per l’ammissione al 12 corso Allievi Marescialli dell’Esercito e di aver iniziato a frequentare i corsi presso la Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo dal settembre 2012; di aver comunicato ai superiori di essere stato coinvolto in una lite di vicinato; di aver subito l’irrogazione di una sanzione disciplinare di corpo per tali fatti che, tuttavia, non aveva impedito la prosecuzione del corso, regolarmente frequentato fino alla vigilia degli esami finali.

Con il ricorso in esame egli impugna il provvedimento del 15.12.2014 con cui, alla vigilia degli esami di fine corso, viene disposta la sua esclusione dal corso ai sensi dell’art. 599, comma 1, lett. e) del D.P.R. 15 marzo 2010 n. 90 per la “perdita dei requisiti morali e di condotta” previsti dall’art. 635 co. 1 lett. g del d.lvo n. 66/2010 e riprodotto dall’art. 2 co. 1 lett. b) del bando di concorso perché imputato in procedimenti penali.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi: 1) Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta ingiustizia; errore nei presupposti di fatto; difetto di istruttoria; 1) Eccesso di potere per difetto di motivazione – violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 15 co. 7 DPR 487/94. Violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità, perplessità, irragionevolezza, omessa valutazione dei presupposti; contraddittorietà.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente chiedendo con memoria scritta il rigetto del gravame in quanto infondato.

Con ordinanza collegiale n. 4638/2015 sono stati disposti incombenti istruttori.

Con ordinanza cautelare n. 3033/2015 l’istanza di sospensiva è stata accolta.

Con ordinanza collegiale n. 4324/2015 sono stati disposti ulteriori incombenti.

In vista della trattazione del merito del gravame le parti hanno depositati articolati scritti difensivi e memorie di replica e conclusionali.

All’udienza pubblica del 13.7.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso risulta fondato sotto gli assorbenti profili di censura dell’eccesso di potere per irragionevolezza e per contraddittorietà denunciati con il secondo mezzo di gravame.

È infatti da ritenersi illegittimo il provvedimento di esclusione del ricorrente dal corso – disposto peraltro quando questo ormai era terminato – e dall’esame finale del corso per Allievi Marescialli dell’Esercito presso la Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo (sicché va ravvisata l’ulteriore perplessità per quanto riguarda la base giuridica, avendo, di fatto, la PA applicato l’art. 760, comma 4, del D.Lgs. 66/2010 che preclude agli Allievi imputati in procedimento penale per delitto non colposo di partecipare agli esami finali per l’immissione nel servizio permanente)- repentinamente disposto dall’Amministrazione, adducendo ragioni ostative di cui questa era già a conoscenza durante tutto il periodo di svolgimento del corso biennale in questione, alla vigilia degli esami stessi, e senza effettuare quella valutazione discrezionale che è richiesta, dalla giurisprudenza in materia, per poter considerare “ragionevole” il provvedimento espulsivo di un militare imputato e, successivamente, assolto.

Sotto il primo profilo, va infatti rilevata la contraddittorietà dell’intero operato dell’Amministrazione che, nonostante fosse stata avvertita dei procedimenti penali a carico del ricorrente, ha prima consentito allo stesso di frequentare il corso formativo, per tutta la sua durata biennale, e poi lo ha improvvisamente espulso dal corso, impedendogli di sostenere gli esami finali, con una comunicazione avvenuta la vigilia stessa degli esami; con una tempistica che, peraltro, ha impedito all’interessato di poter fruire di qualunque tutela giurisdizionale.

Sotto il secondo profilo, non meritano condivisione le argomentazioni difensive addotte dal’Amministrazione, la quale sostiene che il provvedimento di esclusione costituiva, una volta rilevata l’esistenza dei procedimenti penali pendenti, che l’autorità procedente era vincolata ad adottare, non residuando alla stessa alcun residuo spazio di valutazione discrezionale in merito.

Al riguardo, va richiamato l’opposto orientamento dell’ormai consolidata giurisprudenza in materia, che ritiene che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 non consenta di configurare alcun “automatismo espulsivo”, con efficacia vincolante per l’autorità procedente, la quale è tenuta a prendere in considerazione il complesso di circostanze intervenienti ed anche successive, in particolare l’assoluzione dell’interessato, ancorché successiva al provvedimento impugnato (vedi, tra tante, Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015).

Peraltro, proprio con specifico riguardo ai corsi di formazione in esame è stato chiarito che “la scelta di estromettere da una procedura selettiva determinati soggetti perché sottoposti a processo penale, nella qualità di imputati, rientra nella ragionevole discrezionalità del legislatore e dell’Amministrazione nel momento in cui, nell’ambito delle rispettive competenze, predispongono le regole generali di un concorso (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3226).

Tale scelta non può ritenersi irragionevole o macroscopicamente contraria ai principi dell’ordinamento, in quanto corrisponde a un’esigenza di “difesa avanzata” dell’Amministrazione.

Questa, alla luce delle esigenze peculiari di determinati impieghi pubblici, può legittimamente individuare – con valutazione legale tipica – circostanze ritenute ostative all’assunzione del candidato in ragione del danno che esse paiono suscettibili di arrecare all’interesse pubblico. Tuttavia, proprio perché il giudizio di esclusione, che in quel modo si compie, discende da un apprezzamento formulato a priori in termini potenziali, generali e astratti, la regola di buon andamento dell’amministrazione e la tutela dell’interesse pubblico impongono che, quante volte il procedimento non si sia ancora definitivamente concluso (come, nel caso di specie, per effetto della misura cautelare accordata dal giudice amministrativo), la P.A. medesima debba concretamente esaminare la vicenda nella sua dimensione attuale, alla luce dei fatti sopravvenuti che possano indurre a riconsiderare la precedente valutazione tipica.

Applicando queste considerazioni alla procedura in questione, ne discende che l’Amministrazione della difesa ha l’onere di rivalutare la posizione dell’appellante tenendo conto dell’avvenuto proscioglimento, disposto dal giudice penale, dal reato a lui a suo tempo ascritto. D’altra parte, se così non fosse, sarebbe messa a repentaglio la stessa ragionevolezza della normativa di cui si discute.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).

Tali principi trovano applicazione nella fattispecie in esame in cui il provvedimento impugnato risulta illegittimo perché fondato sull’erroneo convincimento dell’operatività di un meccanismo espulsivo automatico e, pertanto, l’atto impugnato risulta essere stato adottato senza effettuare quella valutazione “discrezionale” richiesta dalla giurisprudenza soprarichiamata, che imponeva all’autorità procedente di “contestualizzare” l’elemento ostativo in contestazione, valorizzando sia le circostanze che avevano condotto all’imputazione del ricorrente – scaturite da una querela per ingiuria e minacce presumibilmente presentati “per ritorsione” dai vicini per una questione di costruzione edilizia sui confini e da denunce presentate dallo stesso ricorrente – sia le sentenze di assoluzione nel frattempo intervenute (di cui una proprio nel termine concesso al ricorrente per la presentazione delle osservazioni a difesa da parte dei superiori gerarchici); sia, infine, il peso dei contrapposti interessi, in particolare quello dell’Amministrazione a non veder vanificata l’attività formativa già svolta a favore del ricorrente nonostante l’avvenuta conoscenza del coinvolgimento dello stesso nelle vicende giudiziarie sopra ricordate.

Il ricorso va pertanto accolto, assorbita ogni altra censura, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Quanto alle spese di giudizio, sussistono giusti motivi, attesa la natura interpretativa della controversia per disporne l’integrale compensazione tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), accoglie il ricorso in esame nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, l’atto impugnato; fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore

Paola Patatini, Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 SET. 2016.