Minaccia di adire la Corte dei conti per ottenere le dimissioni del sindaco: è tentata estorsione (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 8 febbraio 2023, n. 5556)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELTRANI Sergio – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CERSOSIMO Emanuele – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale della Corte di Appello di Torino;

avverso la sentenza del 19/01/2021 della Corte di Appello di Torino;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) Vittorio nato a Bianzè il 12/01/19xx;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Emanuele Cersosimo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza;

lette le conclusioni del difensore della parte civile, Avv. Massimo (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza;

lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Stefano (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe (con la quale la predetta Corte di appello, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale sabaudo, ha assolto (OMISSIS) Vittorio dal reato di tentata estorsione ascrittogli perché il fatto non sussiste) deducendo violazione degli artt. 56/629 c.p. e vizi di motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 – 01; Sez. L, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 – 01) è tradizionalmente orientata nel senso che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado (sia condannando l’imputato assolto, sia assolvendo l’imputato condannato) ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.

Ciò premesso, appare evidente che la necessità di una motivazione “rafforzata” s’imponga soltanto nei casi in cui la riforma in appello del verdetto pronunciato dal Tribunale fondi su una mutata valutazione delle prove acquisite, non anche quando essa sia legittimata da una diversa e corretta valutazione in diritto, operata sul presupposto dell’erroneità della valutazione del primo giudice.

In tali casi, alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare se la questione giuridica difformemente decisa dai giudici del merito sia stata correttamente esaminata e risolta dall’uno o dall’altro, ed il vizio all’uopo in ipotesi denunciabile è solo quello di violazione della legge, penale o processuale.

2. Quanto alla possibilità di configurare il delitto di estorsione in relazione alla minaccia di adire le vie legali formulata dall’agente all’indirizzo della vittima, la giurisprudenza ha tradizionalmente ritenuto che la manifestazione del proposito di adire le vie legali a soddisfazione di una determinata pretesa, o comunque in reazione al rifiuto di accondiscendere ad una richiesta del soggetto agente, può integrare i reato di estorsione ove ricorrano particolari circostanze da valutarsi caso per caso, tenendo conto delle qualità personali dei soggetti coinvolti e delle modalità con le quali il proposito di adire le vie legali è stato manifestato.

In particolare, si è ritenuto che si sia in presenza di un comportamento minaccioso che può integrare il reato di estorsione nei casi in cui l’esercizio di un’azione giudiziale sia prospettato come mezzo per raggiungere uno scopo estraneo al fine proprio dell’azione giudiziaria che si intende intraprendere, poiché, in presenza di siffatta situazione, per la vittima non sussiste alternativa tra l’accondiscendere alla pretesa ingiusta o sopportare le conseguenze dannose dell’azione giudiziaria (Sez. 2, n. 5664 del 08/02/1974, Stoppa, Rv. 088648 – 01).

La giurisprudenza (Sez. 2, n. 8731 del 12/04/1984, lezzi, Rv. 166167 – 01) precisò che, in tali casi, il delitto di estorsione si configura:

– sia quando si minaccia una denunzia od una querela, diretta non al riconoscimento di un diritto bensì alla realizzazione di un profitto ingiusto;

– sia quando la violenza o la minaccia (anche se indiretta o mediata) mirano, come fine ultimo, a paralizzare la legittima tutela di diritti ed interessi altrui, onde trarre, dalla inazione o dalla rinunzia, conseguenti alla coartazione, proprio quel profitto che una tempestiva azione giudiziaria avrebbe potuto impedire.

Un successivo orientamento (Sez. 2, n. 8496 del 10/12/1990, dep. 1991, Palmas, Rv. 188082 – 01) osservò che una minaccia dall’esteriore apparenza di legalità, come quella di convenire in giudizio il soggetto passivo, formulata, però, non già con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui volontà e ci attingere risultati non conformi a giustizia, può integrare gli estremi della illegittima intimidazione idonea ad integrare il delitto di estorsione; escluse, peraltro, che la prospettazione dell’esercizio di un’azione civile, diretta a conseguire in via giudiziaria il medesimo risultato che viene negato altrimenti, possa configurare il reato de quo: nel caso esaminato, l’azione civile era stata effettivamente esercitata, restando immutati petitum e causa petendi, e questa Corte escluse l’antigiuridicità di tal genere di minaccia, rilevando che diversamente argomentando, sarebbe automatico ed inevitabile il collegamento tra la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 cod. proc. civ. ed il delitto di cui all’art.629 cod. pen.).

L’orientamento più recente ribadisce che la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può integrare l’elemento costitutivo del delitto di estorsione quando sia formulata non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia (Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256874 – 01: fattispecie nella quale gli imputati avevano evocato vicende “inconfessabili” che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso).

Resta, peraltro, fermo, che integra minaccia idonea a configurare il delitto di estorsione !a prospettazione di presentare alla magistratura ed alle forze di polizia una denuncia dichiaratamente diretta al riconoscimento di un diritto di credito sfornito di prova e non azionabile in sede giudiziaria, laddove finalizzata alla realizzazione di un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 5239 del 18/01/2013, Adduci, Rv. 254975 – C1).

Si è in seguito precisato che una pretesa contrattuale risulta contra ius, ed integra il reato di estorsione, solo quando l’agente, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso, perché non dovuti nell’an o nel quantum o perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diritto è riconosciuto o tutelato, e quindi per realizzare un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 34242 del 11/07/2018, Del Zompo, Rv. 273542 – 01: fattispecie nella quale è stata esclusa la configurazione del reato di estorsione, poiché, nella fisiologica dinamica contrattuale, entrambe le parti avevano invocato a proprio favore determinate clausole contrattuali, mirando a conseguire un vantaggio derivante proprio dall’esecuzione del contratto).

Da ultimo, si è ritenuto che integra il reato di estorsione la pretesa contrattuale azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per cui il diritto è riconosciuto e tutelato: il principio è stato enunciato in relazione a fattispecie relativa a trascrizione di domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. concernente un contratto preliminare di compravendita immobiliare, già in precedenza consensualmente risolto, effettuata per ottenere il pagamento di un’ingente somma di denaro non dovuta, unitamente al trasferimento di altro immobile di notevole valore, in cambio della rinuncia all’azione civile (Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980 – 01).

3. Ciò premesso, deve rilevarsi che all’imputato era contestato di aver minacciato il sindaco di un comune di denunciarlo alla Corte dei conti quale responsabile di una serie di illeciti contabili nella consapevolezza della pretestuosità dell’esposto, per ottenerne le dimissioni dalla carica.

3.1. La Corte di appello ha posto, a fondamento della conclusiva assoluzione dell’imputato dal reato ascrittogli, il rilievo che – facendo riferimento ad una controversa decisione della maggioranza oggetto di ampio e serrato dibattito in seno alla comunità locale – il (OMISSIS) si sarebbe limitato a rappresentare al sindaco “di essere in completo disaccordo su come era stato gestito l’affare e di avere elementi per ricorrere alla Corte dei conti, come rimedio al danno fatto dalla maggioranza con le due deliberazioni” delle quali si discuteva.

Conclude la Corte di appello che “il (OMISSIS) quindi non fa al sindaco una minaccia nel senso di metterlo davanti all’alternativa o cambi decisione o ri denuncio alla Corte dei conti, ma esprime al sua visione, il fatto cioè che con quella decisione la maggioranza si è messa nella posizione di essere denunciata alla Corte dei conti, senza minacciare alcun male ingiusto, senza fare alcuna minaccia”.

4. I predetti rilievi sono inficiati da un macroscopico travisamento per omissione.

4.1. Invero, se il (OMISSIS) si fosse limitato a far valere un presunto danno contabile conseguente all’operato della maggioranza, ed a comunicare al sindaco che, se la maggioranza non lo avesse eliminato in sede di autotutela, si sarebbe visto costretto ad adire la magistratura contabile, il comportamento dell’imputato sarebbe stato penalmente irrilevante.

Dovrebbe escludersi, infatti, che la prospettazione della presentazione di una denunzia d’illecito in sede contabile, diretta a conseguire in via giudiziaria il medesimo risultato in ipotesi negato altrimenti, possa configurare il reato di cui all’art. 629 cod. pen. o quello di cui all’art. 610 cod. pen. (a seconda della natura del profitto indebitamente perseguito), ovvero quello di cui all’art. 294 cod. pen. (Sez. 1, n. 20755 del 27/10/2017, dep. 2018, Muscas: «Integra il delitto di attentato contro i diritti politici del cittadino, previsto dall’art. 294 cod. pen., la condotta di chi, con violenza, minaccia o inganno, determini una persona eletta ad una carica pubblica a dimettersi, giacché detta condotta impedisce il concreto esercizio, da parte della medesima, del diritto elettorale passivo, che non si esaurisce nella mera partecipazione del cittadino all’elezione, ma si estende altresì al mantenimento della carica da parte di chi è risultato vincitore»), restando immutati gli estremi della pretesa avanzata e poi azionata.

4.2. Il P.M. ha, peraltro, contestato (nel capo d’imputazione), documentato (cfr. denuncia del sindaco (OMISSIS) e plurime intercettazioni di conversazioni, allegate al ricorso) e rappresentato con l’odierno ricorso (cfr., in particolare, f. 5), che il (OMISSIS) non si limitò a ciò, ma chiese espressamente, per non inoltrare la denuncia in sede contabile (che, se pure infondata, avrebbe tenuto il sindaco per molti anni bagnomaria”, ovvero in condizioni di prostrazione e disagio, illustrate in sintesi con perifrasi cruda e volgare che appare inopportuno riportare testualmente), le dimissioni del sindaco, in tal modo strumentalizzando l’esercizio del diritto di denunciare un possibile illecito contabile alla Corte dei conti – in sé legittimo – per conseguire uno scopo diverso, non consentito, eccentrico rispetto a quelli per i quali l’esercizio del predetto diritto è riconosciuto e tutelato, ovvero le dimissioni del sindaco, costituenti vantaggio del tutto estraneo al rapporto giuridico controverso, e quindi per realizzare un profitto ingiusto.

Di qui, all’evidenza, la rilevanza penale della condotta accertata.

4.3. Di tutto ciò, la sentenza impugnata non ha tenuto conto.

5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino che emenderà il travisamento per omissione innanzi evidenziato, valutando all’esito la corretta qualificazione giuridica del fatto-reato conclusivamente accertato, e procederà, infine, a regolare tra le parti private le spese di lite.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso il 09/12/2022.

Depositato in Cancelleria in data 8 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.