Minaccia i congiunti del debitore per ottenere l’adempimento della pretesa: condannato per estorsione (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 4 novembre 2020, n. 30792).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BELTRANI Sergio – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE di CAMPOBASSO

nel procedimento a carico di:

CENNAMO GREGORIO nato a CRISPANO il 21/10/1978;

avverso l’ordinanza emessa in data del 24/03/2020 dal TRIBUNALE di CAMPOBASSO – sez. riesame.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

udite le conclusioni del sostituto Procuratore Generale DOMENICO SECCIA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per l’indagato, l’avv. VITTORIO GIAQUINTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso presentato dal pubblico ministero.

RITENUTO IN FATTO

Il P.M. presso il Tribunale di Larino ricorre contro il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Tribunale di Campobasso, in funzione di giudice del riesame ed appello in materia cautelare, ha annullato l’ordinanza con la quale il GIP del Tribunale di Larino in data 2 marzo 2020 aveva applicato a CENNAMO GREGORIO la misura coercitiva degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 629 cod. pen., ritenendo che i fatti accertati integrassero il reato di cui all’art. 393 cod. pen., che non consente quoad poenam l’applicazione di misure coercitive.

All’odierna udienza camerale è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Il PM lamenta violazione degli artt. 629 e 393 cod. pen., rilevando, sulla base degli atti d’indagine riepilogati, che i fatti accertati integrerebbero il reato di estorsione in origine contestato e ritenuto.

2. Il Tribunale ha valorizzato a fondamento della sua decisione l’astratta tutelabilità della pretesa azionata dall’indagato nei confronti della p.o. (osservando che la somma di denaro “pretesa” dall’OTTAVIANO gli era effettivamente e regolarmente dovuta dal PATELLA), a nulla asseritamente rilevando l’intervento di terzi estranei ad essa (l’odierno ricorrente ed i coindagati), in tal senso ritenendo di risolvere il contrasto di giurisprudenza in proposito enucleato.

2.1. Il predetto contrasto (risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, all’udienza 16/07/2020, con le seguenti affermazioni di principio: “Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie.

Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio; il concorso del terzo è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa e ulteriore finalità) non era, peraltro, nel caso di specie rilevante.

2.1.1. Invero, da un lato, doveva imporsi il rilievo che alcune delle condotte di violenza e/o minaccia contestate avevano riguardato terzi congiunti del debitore PATELLA (in particolare, la convivente ed il padre) certamente estranei al rapporto obbligatorio arbitrariamente azionato dai coimputati.

Questa Corte, premesso che la sussistenza del requisito della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione del reo è diretta va verificata preliminarmente (poiché commette il reato di cui all’art. 393 cod. pen. “chiunque” possa ricorrere al giudice al fine di esercitare un preteso diritto), è ormai ferma nel ritenere che l’agente non potrebbe azionare in giudizio la sua pretesa chiamando in causa, in garanzia, e senza titolo alcuno, i terzi oggetto di violenza o minaccia; sarebbe, pertanto, configurabile, il delitto di estorsione nei casi in cui l’agente abbia esercitato la pretesa con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente inter partes, dal quale scaturisce la pretesa azionata, per costringere il debitore ad adempiere (Sez. 2, n. 33870 del 06/05/2014, Cacciola, Rv. 260344: fattispecie in cui il creditore ed i coimputati avevano rivolto nei confronti del debitore gravi minacce in danno del figlio e della moglie; Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Gatto, Rv. 272017), poiché essa non sarebbe tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell’ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale (Sez. 2, n. 16658 del 16/01/2014, D’Errico, Rv. 259555 e Sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, Innmordino, Rv. 264967, entrambe in fattispecie nelle quali era stata usata violenza in danno del padre del debitore, per costringerlo ad adempiere il debito del figlio).

2.1.2. Dall’altro, il Tribunale non ha considerato che la seconda parte delle condotte di violenza o minaccia in contestazione mirava ad ottenere dalla p.o. il ritiro della denuncia nelle more presentata, pretesa senz’altro esulante dall’ambito di quelle in astratto ragionevolmente azionabili ex art. 393 cod. pen.

3. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Campobasso che si atterrà ai seguenti principi di diritto: «è sempre configurabile il reato di estorsione nei casi in cui la violenza o la minaccia finalizzata ad ottenere l’adempimento di un debito effettivamente esistente sia posta in essere in danno di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio»; «esula dall’ambito dei diritti arbitrariamente azionabili con violenza o minaccia ex art. 393 cod. pen. la pretesa di ottenere che la p.o. ritiri una denuncia».

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Campobasso competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, c.p.p.

Così deciso in Roma, udienza camerale 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.