Minaccia per gelosia l’amico della moglie su Facebook: è stalking (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 10 novembre 2022, n. 42874).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente –

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

Dott. SESSA Renata – Consigliere –

Dott. BIFULCO Daniela – Rel. Consigliere –

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 13/07/2021 della CORTE APPELLO di TRIESTE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DANIELA BIFULCO;

udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Trieste ha confermato il provvedimento con cui il Tribunale di Udine aveva affermato la penale responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS) per il reato di cui agli artt. 612-bis c.p., comma 1, “perché, per motivi di gelosia nei confronti della coniuge (OMISSIS) (OMISSIS), con condotte reiterate molestava e minacciava (OMISSIS) (OMISSIS), conoscente di (OMISSIS) (OMISSIS), inviando a (OMISSIS) (OMISSIS), tramite social network Facebook, numerosi messaggi di testo dal contenuto minatorio e offensivo (…), in modo da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità, tenuto conto che il (OMISSIS) era stato già vittima di un’aggressione fisica da parte del (OMISSIS)”.

2. Avverso la sentenza, ricorre l’imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, articolando le censure in un unico motivo, col quale lamenta violazione di legge in relazione all’art. 612 bis c.p. con specifico riferimento alla insussistenza degli eventi di danno, nonché vizio di motivazione, data la mancata indicazione di elementi di prova circa la sussistenza del perdurante e grave stato d’ansia e il cambiamento delle abitudini di vita della p.o.

Carenza di motivazione viene inoltre eccepita in relazione alla mancata derubricazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 612 c.p. o in quella di cui all’art. 660 c.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. L’unico motivo è manifestamente infondato, in quanto generico.

Nell’articolazione del motivo di ricorso, manca un effettivo confronto con le notazioni dei Giudici d’appello relative sia alla sussistenza dell’evento di danno degli atti persecutori sia ai motivi della denegata derubricazione del reato contestato in altre fattispecie normative.

La sintetica motivazione dà conto di come il ristretto arco temporale in cui i messaggi sono stati inviati sia stato però caratterizzato da una tale intensità di condotte (oltre ottanta messaggi) che, anche alla luce delle precedenti condotte (lesioni e minacce aggravate: il dato non è oggetto di contestazione in ricorso), risulta giustificata la conclusione sull’esistenza di un fondato timore della vittima per la propria incolumità.

D’altra parte, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 – 01).

Va inoltre rilevata l’incongruenza del rilievo difensivo relativo alla non intervenuta modifica delle abitudini di vita da parte della p.o.: secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel delitto di atti persecutori, l’evento di danno può consistere tanto nell’alterazione delle proprie abitudini di vita quanto in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, non essendo necessario che tali due effetti si producano congiuntamente (“il delitto di atti persecutori è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di “danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva: Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014, U., Rv. 260083 01; v. inoltre Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021, R., Rv. 281029 – 01: “si configura il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita”).

La dimostrata esistenza dell’evento di danno degli atti persecutori giustifica, inoltre, il fatto che, implicitamente ma non equivocamente, sia stato disatteso il motivo che invocava la riqualificazione del reato ascritto in altre fattispecie normative, come quella di cui all’art. 660 c.p.

Gioverà a tal proposito ribadire che il criterio discretivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori in un caso di condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa, mediante appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell’abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all’insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tali da cagionare un grave stato d’ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno: Sez. 5, n. 15625/2021, cit.).

3. Per i motivi sopra esposti, questo Collegio dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

4. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.