Misura cautelare. La Cassazione interviene sulla questione del “pericolo di recidivanza” (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 1 aprile 2020, n. 11137).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AMATO DOMENICO, nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza emessa il 24.10.2019 dal Tribunale del riesame di Catanzaro;

visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;

udita nell’udienza camerale del 6.3.2020 la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;

udito il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Pietro Gaeta, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

udito l’avv. Francesco Calabrese, in sostituzione dell’avv. Alessandro Guerriero, difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 24 ottobre 2019 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al capo 1) e ha confermato con riferimento ai capi nn. 3, 4, 5, 7, 8, 10, 11 e 12 la misura cautelare degli arresti domiciliari, applicata ad AMATO Domenico con provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari il 2 ottobre 2019.

All’indagato sono stati contestati provvisoriamente i delitti di associazione per delinquere, dedita alla commissione di reati di estorsione e truffa (capo 1), di estorsione, di tentata estorsione, di violenza e di truffa.

Contro l’anzidetta ordinanza il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle contestazioni di tentata estorsione e rapina (capi 4, 7, 10 e 12) che andrebbero sussunte nel paradigma normativo di cui all’art. 640 c.p., essendo emersa dagli atti la volontà dell’indagato di raggirare il malcapitato, inducendolo in errore al fine di conseguire un ingiusto profitto.

Difatti, la persona offesa dal reato di cui al capo 4) avrebbe richiesto ed ottenuto una quietanza di pagamento, che mal si concilierebbe con il ricorso a modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate.

Del resto, se non si trattasse di truffa, non sarebbe spiegabile la contestazione di minaccia di cui al capo 5).

Analoghe considerazioni varrebbero anche in relazione ai residui capi di imputazione;

2) violazione dell’art. 274 c.p.p. e vizi della motivazione, per essere la motivazione offerta priva dell’affermazione secondo cui possono presentarsi prossime occasioni favorevoli alla reiterazione, non potendosi ragionevolmente supportare tale conclusione soltanto sulla molteplicità degli episodi contestati.

Inoltre, il Tribunale del riesame non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all’attualità delle esigenze cautelari, tenuto conto del tempo trascorso tra l’ultimo episodio (risalente al primo settembre 2017) e la data di applicazione della misura, ossia ottobre 2019; periodo nel corso del quale l’indagato non avrebbe commesso alcun ulteriore episodio delittuoso.

Siffatto onere motivazionale si imponeva tanto più in ragione dell’annullamento dell’ordinanza genetica con riguardo all’ipotesi associativa.

All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 127 c.p.p., si è preso atto della regolarità degli avvisi di rito; all’esito le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è in parte fondato.

1.1 Il primo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la qualificazione dei reati di cui ai capi 4, 7, 10 e 12 come estorsione anziché come truffa, è privo di specificità.

Deve rilevarsi, nei limiti consentiti dall’oggetto del motivo e, quindi, del devolutum, come innanzi precisato, che il Tribunale del riesame ha diffusamente argomentato sugli elementi costitutivi del reato di estorsione, avendo rimarcato che dalle dichiarazioni delle persone offese — che erano pienamente credibili, avendo riferito “chiaramente e genuinamente, senza alcuna contraddizione” – si evinceva che le predette erano state indotte a pagare in quanto minacciate e non perché raggirate.

Così argomentando, il Tribunale del riesame, sulla base di una coerente analisi critica degli elementi indizianti, ha escluso che ricorresse la truffa, facendo corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte (Sez. 2, n. 35346 del 30/06/2010, Rv. 248402; Sez. 2, n. 36906 del 27/9/2011, Rv. 251149), secondo cui integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la prospettazione di un male futuro per la vittima in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, poiché in tal caso la vittima è posta nell’ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.

Ricorre, invece, il reato di truffa se è prospettato un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente dal soggetto agente, in modo che la vittima non sia coartata nna si determini alla prestazione perché tratta in errore.

1.2 Il secondo motivo è fondato.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto che il pericolo di reiterazione del reato fosse attuale e concreto, in ragione della molteplicità degli episodi contestati.

Al riguardo deve ricordarsi che questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Rv. 277242) è ormai ferma nel ritenere che, in tema di misure cautelari, il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientatale; analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti.

In altri termini, il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, n. 44946 del 13/9/2016, Draghici, Rv. 267965; Sez. 2, n. 47891 del 7/9/2016, Vicini, Rv. 268366; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684), poiché la valutazione di attualità cautelare si risolve nella verifica di una congrua e coerente motivazione sulla “attuale”, permanente sussistenza dell’esigenza di disporre o tenere ferma la misura cautelare per il pericolo di reiterazione del reato.

Dalla valutazione prognostica del giudice della cautela resta dunque estranea la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Lucà, Rv. 268977), che, invece, deve effettuare un’analisi accurata della fattispecie concreta, della quale deve darsi atto, appunto, compiutamente in motivazione, in misura tanto più ampia quanto più tra i fatti commessi e il momento di verifica cautelare sia trascorso un considerevole lasso di tempo.

Siffatto orientamento supera quello minoritario, secondo cui, dopo l’introduzione legislativa di un espresso parametro normativo di attualità, non sarebbe più sufficiente, ai fini di apprezzare le esigenze cautelari, ritenere, in termini di certezza o di alta probabilità, che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma sarebbe altresì necessario, anzitutto, prevedere, negli stessi termini di certezza o di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti (in tal senso, tra le altre, Sez. 6, n. 24476 del 4/5/2016, Tramannoni, Rv. 266999).

Si è osservato, infatti, che appare abbastanza apodittico il riferimento dell’orientamento minoritario all’irrealizzabile prognosi che il giudice individui occasioni “specifiche” di futura commissione del reato (con una valutazione che, in questi termini, rimane di per sé esclusa dalle facoltà tecniche e professionali del giudice); “e di tale apoditticità costituiscono prova le stesse decisioni concrete, assunte dalle sentenze espressione di tale indirizzo, spesso votate all’analisi della sufficienza motivazionale complessiva, nei termini ricostruiti dal Collegio, piuttosto che alla ricerca, nella motivazione di merito impugnata, del canone di giudizio astrattamente pronunciato” (così Sez. 5, n. 11250/2018 cit.).

Deve dunque ribadirsi che la novella legislativa del 2015, attraverso l’espressa indicazione normativa del requisito dell’attualità, ha rafforzato l’obbligo della motivazione sulle esigenze cautelari, tanto più forte quanto più aumenta la frattura temporale tra i fatti e l’applicazione della misura (cfr. Sez. 2, n. 18744 del 14/4/2016, Foti, Rv. 266946 e Sez. 5, n. 49038 del 2017).

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata si appalesa viziata.

Pur non essendo corretto – per quanto innanzi argomentato – il riferimento del ricorrente alla necessità per il giudice di individuare una specifica occasione per delinquere, deve nondimeno rilevarsi che la motivazione del provvedimento impugnato non resiste ai rilievi difensivi relativi al requisito dell’attualità del pericolo di recidivanza.

Il Tribunale del riesame, al fine della valutazione dell’attualità, si è limitato a prendere in considerazione solo i quattro episodi contestati, che ha ritenuto espressione di una personalità “dedita alla commissione di reati predatori e contro il patrimonio”, senza valutare, però, la frattura temporale tra i fatti, commessi tra il 15 settembre 2016 e il primo settembre 2017, e il momento applicativo della misura, ossia ottobre 2019.

Avendo omesso ogni riferimento al tempo trascorso dai fatti, il Collegio di merito non ha effettuato una verifica accurata dell’attuale sussistenza delle esigenze cautelari; verifica che, per quanto innanzi detto, si imponeva in maniera rafforzata, essendo trascorsi più di due anni dall’ultimo episodio, ascritto all’indagato.

Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro, perché valuti nuovamente la sussistenza delle esigenze cautelari alla luce dei rilievi suindicati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata in punto di sussistenza delle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.

Così deciso in Roma, udienza camerale del 6 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.