Misure cautelari: il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 29 luglio 2020, n. 23164).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Rel. Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Moscato Domenico Bruno, nato a Vibo Valentia il 19/11/1959;

avverso l’ordinanza del 16/01/2020 del Tribunale di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Riccardo Amoroso;

letta la requisitoria scritta del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mariella De Masellis, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice per il riesame, ha confermato l’ordinanza del 12 dicembre 2019 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha applicato nei confronti di Moscato Domenico Bruno la misura della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo A), 110, 644, co.1, 416- bis.1 cod. pen. (capo X 3), 81,110, cod. pen. e 132 D.I.vo n. 385/1993, 416- a. bis.1 cod. pen. (capo B 4), avendo ritenuto la sussistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari per la partecipazione del ricorrente all’associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta con riferimento alla sua articolazione territoriale chiamata “Lo Bianco-Barba Locale di Vibo Valentia”, per essersi occupato di usura e abusivo esercizio del credito per conto di Barba Vincenzo e Pugliese Rosario, nonché per i delitti di usura in danno di Virdò Giuseppe e di abusivo esercizio nei confronti del pubblico di attività finanziaria, entrambi aggravati dal metodo mafioso e dal fine di agevolare la predetta associazione mafiosa.

2. Nell’atto a firma dei difensori di fiducia, Moscato Domenico Bruno chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione per non avere il Tribunale rilevato la nullità dell’ordinanza emessa dal Gip per mancanza di autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari, essendosi il Gip limitato a riportare il contenuto della richiesta del pubblico ministero, aderendo all’impianto motivazionale senza procedere ad alcun vaglio critico, ed avendo il Tribunale rigettato la relativa eccezione fornendo una motivazione illogica dell’insussistenza del vizio denunciato, anche tenuto conto del tempo decorso dalla commissione del reato e della genericità delle argomentazioni a sostegno delle ritenute esigenze cautelari.

2.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione per avere il Tribunale omesso di motivare o fornito una motivazione illogica in ordine alle ragioni del rigetto dell’eccezione di nullità dell’ordinanza del Gip per mancata trasmissione da parte del Pubblico ministero degli atti contenenti elementi favorevoli all’indagato in violazione del disposto di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen., in conformità all’orientamento di legittimità secondo cui tale nullità si traduce in un vizio motivazionale del provvedimento impositivo che, fatto valere in sede di riesame, impone al giudice di valutare se l’elemento trascurato abbia influito o meno sul convincimento del primo giudice, fatta salva la possibilità per il giudice del riesame di integrare autonomamente l’apparato argomentativo (Sez. 6, n. 42765 del 18/09/2003, Casarotto).

In particolare si osserva, richiamandosi il contenuto di una memoria allegata già prodotta davanti al Tribunale per il riesame, che Moscato Domenico Bruno è stato già condannato nel giudizio denominato “Insomnia” per i delitti di usura in danno di Baroni Giuseppe Sergio con una sentenza in cui è stata esclusa qualsiasi fattispecie associativa per la medesima vicenda oggetto del presente procedimento, emessa dal Tribunale di Vibo Valentia il 14/12/2016, confermata in appello e divenuta esecutiva a seguito del rigetto del ricorso per cassazione il 28/06/2019.

Nessuno dei documenti allegati alla predetta memoria è stato portato a conoscenza del Gip, tanto che è stato anche ignorata la circostanza del passaggio in giudicato di detta sentenza; gli allegati documenti si riferiscono alle copie delle predette due sentenze, nonché dell’ordinanza di custodia cautelare emessa per la stessa vicenda di prestiti usurari in data 12 febbraio 2015 ed ai verbali delle udienze dibattimentali del 13/04/2016 e 27/04/2016 svolte nel già citato processo “Insomnia”, da cui si evince la richiesta del p.m. di rinunciare al lungo elenco dei testi della difesa sul presupposto che l’imputazione per cui si procedeva non investiva tutti i titoli di credito in sequestro rinvenuti nel corso della perquisizione del novembre del 2014 presso la tabaccheria gestita dal ricorrente, dopo che gli altri testi a difesa già escussi avevano negato ogni tipo di usura o comunque pagamenti a titolo di interessi.

2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato accoglimento della eccepita ricorrenza del ne bis in idem sostanziale, essendo palese che i fatti per cui si procede sono gli stessi per i quali il ricorrente è stato già giudicato, essendo relativi a presunti prestiti erogati alle stesse persone già escusse nel processo “Insomnia” e che hanno escluso di essere vittime di usura.

In particolare si sostiene che la vicenda sia sempre la stessa scaturita dalle perquisizioni del 25/12/2014 e 14/02/2015 che hanno portato all’emissione della prima ordinanza di custodia cautelare del 12 febbraio 2015.

Infine, si obietta che in ogni caso anche a non volersi rilevare la predetta preclusione processuale, si sottolinea la sussistenza del vincolo della continuazione che potrebbe portare all’irrogazione di un irrisorio aumento di pena, rispetto alla pena già irrogata di anni quattro di reclusione, già in parte scontata in regime di custodia cautelare.

Da ultimo si osserva che dalla data del suo arresto (febbraio 2015) il Moscato non è stato più interessato dalle relative vicende giudiziarie.

3. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, in data 7 luglio 2020 ha fatto pervenire ex art. 83, comma 12-ter, d.l. 17 marzo 2020 n.18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020 n.27, le proprie conclusioni scritte con cui ha richiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutti i motivi di ricorso sono infondati ad esclusione di quello afferente la dedotta carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di esigenze cautelari.

Innanzitutto, con riferimento al primo motivo dedotto con riguardo alla mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi del novellato art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., si deve premettere che è onere del ricorrente indicare le specifiche parti della motivazione dalle quali possa evincersi che nell’ordinanza con cui è stata disposta la misura cautelare sia stata omessa da parte del giudicante la valutazione dei presupposti legittimanti l’applicazione della misura, così da potersi affermare che l’ordinanza costituisca una mera operazione materiale di ricopiatura della richiesta del pubblico ministero.

Nel caso di specie la genericità della doglianza è tale da esimere il Tribunale del riesame, davanti al quale la questione è stata posta, dall’analizzare ed evidenziare specificamente i passaggi del provvedimento sulla base dei quali è stato ritenuto che il Gip abbia proceduto ad un effettivo vaglio critico delle risultanze istruttorie, poste a fondamento dei presupposti richiesti per l’adozione della disposta misura della custodia in carcere.

Il ricorrente si è, infatti, limitato ad eccepire genericamente la violazione dell’obbligo di motivazione sotto il profilo della carenza di autonoma valutazione nel provvedimento cautelare rispetto alla richiesta del pubblico ministero, così da alleggerire il compito del tribunale del riesame che, con motivazione non censurabile in questa sede se non per vizi logici o per carenze strutturali, ha rilevato come da parte del gip non sia affatto mancato il vaglio dei pur ampio compendio di elementi probatori ad esso sottoposto per la verifica della sussistenza tanto dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari, avendo proceduto ad una mirata selezione di quelli apprezzati come validi a sostenere la propria decisione.

Resta evidentemente impregiudicato che la rilevata insussistenza del dedotto vizio di legge, sanzionato con la nullità rilevabile anche d’ufficio dell’ordinanza cautelare a norma dell’art. 292, comma 2 cod. proc. pen., non esclude ovviamente la possibilità che la motivazione dell’ordinanza cautelare, seppure espressione di una autonoma valutazione, presenti comunque lacune e incongruenze logiche, che pur non determinando la suddetta nullità, siano nondimeno suscettibili di essere censurate con i previsti mezzi di impugnazione, in sede di riesame cautelare e di ricorso per cassazione.

Nel caso si specie, infatti, per come si vedrà, tanto l’ordinanza del gip che quella del riesame, in questa sede impugnata, mostrano delle evidenti carenze nella motivazione dell’esigenze cautelari con specifico riferimento al requisito della necessaria attualità delle stesse in relazione al tempo trascorso dalla commissione del reato.

Prima di passare alla disamina del predetto punto critico dell’ordinanza impugnata, si devono rapidamente illustrare le ragioni della manifesta infondatezza delle altre cause di nullità e di preclusioni processuali, dedotte nei motivi di ricorso.

2. Quanto alla violazione del disposto di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. per effetto della dedotta mancata trasmissione da parte del pubblico ministero degli atti contenenti elementi favorevoli all’indagato, è lo stesso ricorrente a ricordare l’orientamento di legittimità secondo cui tale nullità “si traduce in un vizio motivazionale del provvedimento impositivo che, fatto valere in sede di riesame, impone al giudice di valutare se l’elemento trascurato abbia influito o meno sul convincimento del primo giudice, fatta salva la possibilità per il giudice del riesame di integrare autonomamente l’apparato argomentativo” (Sez. 6, n. 42765 del 18/09/2003, Casarotto).

Non vi è dubbio che il Tribunale del riesame abbia integrato detto vizio motivazionale, avendo evidenziato come le sentenze di primo e secondo grado intervenute nel processo denominato “Insonnnia” (allegate al ricorso), oltre ad essere relative a fatti diversi anche se connessi a quelli per cui si procede, abbiano attestato che le deposizioni rese dai diversi soggetti beneficiati dai prestiti erogati dal Moscato, escussi quali testi a discarico nel processo suddetto (Susanna Enrico, Amendola Domenico, Ceravolo Gino, Mercadante Paolo, Virdò Filippo, Virdò Giuseppe, Medini Ernesto, Lo Bianco Vincenzo, Franco Fortuna, Rubino Franco), in buona parte coincidenti con gli stessi soggetti indicati nel capo di imputazione sub B4) relativo all’abusivo esercizio di attività finanziaria, non siano state ritenute credibili nelle motivazioni delle anzidette sentenze emesse nei due gradi di giudizio dal Tribunale di Vibo Valentia e dalla Corte di appello di Catanzaro.

Il Tribunale ha, quindi, fatto propria la valutazione di inattendibilità di dette testimonianze per escluderne la rilevanza ai fini della conferma della decisione del Gip sulla base dell’interpretazione del contenuto delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra il ricorrente ed i predetti soggetti da lui finanziati, che avrebbero in ultima analisi contraddetto il carattere gratuito dei prestiti.

In ogni caso, assume rilievo assorbente la considerazione che la nullità prevista dall’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. è esclusa nel caso di atti che siano già a disposizione della difesa, come nel caso di specie, trattandosi di verbali di una istruttoria dibattimentale cui ha partecipato lo stesso ricorrente in veste di imputato e di sentenze pubblicate emesse nel procedimento a suo carico (vedi Sez. 2, n. 208 del 21/11/2019, Foti, Rv. 277785, secondo cui l’obbligo di trasmettere al giudice gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini non si estende a quegli atti o documenti che siano già nella disponibilità della difesa, con possibilità, quindi, per quest’ultima, di utilizzarli e produrli con la richiesta di riesame o nel corso della successiva udienza).

Pertanto, il pacifico possesso di detti elementi da parte della difesa esclude ogni rilievo alla violazione dedotta.

3. Anche il motivo sulla dedotta violazione del principio del “ne bis in idem” è manifestamente infondato.

Il ricorrente si è limitato a sostenere l’identità della vicenda storica oggetto del precedente procedimento penale solo perché le nuove imputazioni sarebbero scaturite dalle stesse intercettazioni svolte negli anni 2014/15 e dalla perquisizione eseguita il 25/11/2014 presso la tabaccheria del ricorrente in cui sono stati trovati gli assegni posti a fondamento della contestata abusiva attività finanziaria in assenza di elementi certi per ricostruire i tassi usurari.

Tuttavia, come rappresentato dallo stesso ricorrente, la vicenda storica emersa dalle suddette medesime risultanze istruttorie non solo non si era tradotta nella contestazione di altri reati nel precedente procedimento penale svoltosi a carico del Moscato Domenico Bruno esclusivamente per i fatti relativi ai rapporti finanziari posti a fondamento della imputazione di usura ai danni dell’unico debitore che aveva testimoniato contro l’imputato (ovvero, capi E, El e E2 del processo “Insomnia” per le usure consumate dal dicembre 2013 al marzo e agosto del 2014 ai danni di Baroni Giuseppe Sergio, poi definitosi con l’assoluzione per l’usura al capo E e con la condanna per i capi El e E2, previa esclusione dell’aggravante mafiosa), ma è stata anche ripresa dalla DDA di Catanzaro che ha valorizzato come nuovo elemento di prova la collaborazione di Mantella Andrea per contestare al Moscato la partecipazione ad una associazione mafiosa attraverso una diversa rivalutazione di quegli stessi elementi di prova, già emersi nel processo “Insomnia”, ma che non erano stati ritenuti sufficienti a formulare una imputazione a carico del Moscato per le condotte di partecipazione all’associazione, di esercizio abusivo del credito svolto per conto della “locale di Vibo Valentia”, oltre che per l’usura ai danni di Virdò Giuseppe.

Quindi è pacifico che i fatti per cui si procede e che sono stati posti a fondamento della disposta misura cautelare siano diversi rispetto a quelli per i quali è intervenuto il giudicato, essendo diverse le persone offese delle usure già trattate nel citato processo “Insomnia” e dovendosi fare riferimento ai fini dell’applicazione del divieto del “ne bis in idem” al raffronto tra le imputazioni dei diversi procedimenti penali, riguardando detto principio i soli fatti per i quali l’azione penale è stata effettivamente esercitata.

Nessuna preclusione per precedente giudicato può ravvisarsi ovviamente rispetto alle risultanze probatorie che sebbene identiche possono sempre essere rivalutate nei nuovi procedimenti penali che siano relativi a fatti diversi da quelli per i quali sia stata già esercitata l’azione penale, salvo che non si tratti dei medesimi fatti per i quali sia intervenuto un provvedimento di archiviazione non seguito da una formale riapertura delle indagini, questione questa evidentemente diversa non dedotta dal ricorrente e che non deve qui essere affrontata (Sez. 2, n. 5276 del 15/01/2019, Davì, Rv. 274890).

4. Devono essere, invece, ritenute fondate le censure sull’assenza di attualità delle esigenze cautelari.

La motivazione a conforto dell’attualità e concretezza dei pericula libertatis, è palesemente carente in assenza di nuovi fatti che possano dare evidenza della continuità dei legami criminali del ricorrente nel contesto di una pure pericolosissima consorteria mafiosa.

Giova osservare che anche in contesti di c.d. mafia storica quale quello sub iudice il dato temporale evidenziato dal ricorrente, quando sia apprezzabile (cinque anni), non può non incidere sul pericolo di reiterazione dei reati derivanti dall’appartenenza ad un sodalizio criminale, in assenza di elementi concreti da cui desumere la stabilità e la perduranza nel tempo del vincolo associativo, avuto riguardo al ruolo svolto nel sodalizio ed alla durata della sua pregressa partecipazione.

Si deve rammentare che in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato per il delitto di associazione di tipo mafioso, per il quale l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa dal sodalizio (Sez. 6, n. 16867, del 20/03/2018, Morabito, Rv. 272919).

Nel caso in esame risulta dagli atti allegati dal ricorrente che il Moscato è stato tratto in arresto nel febbraio del 2015 in esecuzione di una ordinanza cautelare emessa per le usure per le quali è intervenuta condanna irrevocabile nel più volte citato processo Insomnia e che i nuovi fatti di usura, ricondotti ora nel contesto associativo, sono tutti antecedenti all’esecuzione della prima predetta ordinanza, come si evince dalle intercettazioni svolte nell’anno 2014 e gennaio 2015, da cui sono stati tratti gli elementi di riscontro del contestato abusivo esercizio di attività finanziaria svolto per conto dell’associazione mafiosa.

Quindi, appare evidente la carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, che senza fornire risposta su tali emergenze ha ritenuto valida l’argomentazione generica ed indifferenziata operata per tutti gli indagati, fondata sulle caratteristiche astratte della pericolosità costante che discende dall’appartenenza ad una mafia storica per l’irrilevanza del c.d. tempo silente.

E’ necessario che sia, invece, oggetto di una verifica in concreto la ricorrenza di elementi in grado di soppesare l’attualità del pericolo di reiterazione, oltre che delle altre esigenze del pericolo di fuga e del pericolo di inquinamento probatorio, non essendo stato chiarito per quanto tempo e con quali modalità si sia sviluppata l’attività di usura del ricorrente nel contesto associativo-mafioso.

Non è possibile far valere nel caso di specie la sola presunzione generalizzata di pericolosità, di fuga e di inquinamento probatorio, senza specificare le modalità concrete della riconducibilità delle usure al contesto associativo mafioso e la durata nel tempo della sua affiliazione.

In considerazione del fatto che l’indagato non risulta essere stato investito da alcuna carica formale in seno al sodalizio, essendo stata la sua partecipazione desunta dalla continuità del suo apporto al sodalizio, si impone a fortiori che siano specificate meglio le modalità e durata di detto contributo fattuale-operativo, tenuto conto anche di quanto osservato nell’ordinanza del Gip sulla ritenuta carenza dei gravi indizi a carico di Barba Vincenzo per il reato di cui al capo B4, afferente l’abusivo esercizio del credito (ovvero il soggetto indicato dal collaboratore Mantella quale referente mafioso per conto del quale il Moscato avrebbe praticato l’usura, unitamente al Rosario Pugliese).

5. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata nei confronti di Moscato Domenico Bruno in relazione al giudizio espresso sulla sussistenza delle esigenze cautelari, che il Tribunale del riesame dovrà rivalutare tenendo conto dei criteri di valutazione delle prove e dei principi di diritto sopra delineati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.

Rigetta nel resto il ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,  disp. att. cod. proc. pen. .

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.