Morte di Bohli Kayes: dei tre Carabinieri uno esce di scena mentre gli altri due rinviati ad un nuovo processo (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 8 marzo 2016, n. 9582).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI IMPERIA;

BHLI ZINA, n. il xx/xx/xxxx;

BOHLI RIHAB n. il xx/xx/xxxx;

BEN BOHLI HAYET BENT MANSOUR n. il xx/xx/xxxx;

ALBERTI SONIA

nei confronti di:

VENTURA FABIO n. il xx/xx/xxxx;

PALUMBO GIANLUCA n. il xx/xx/xxxx;

DI SIPIO FABIANO n. il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza n. 2227/2014 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di IMPERIA, del 06/03/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuseppe GRASSO;

sentite le conclusioni del PG Dott. (Illeggibile) che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

uditi i difensori avv. (incomprensibile)

FATTO E DIRITTO

1. Il G.I.P. del Tribunale di Imperia, con sentenza del 6/3/2015, all’esito dell’udienza preliminare dichiarò non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato, nei confronti di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca e per non avere commesso il fatto nei confronti di Di Sipio Fabiano, imputati del reato di cui agli artt. 113, 589, e 61 n. 9, cod. pen.

1.1. Gli imputati, militari in servizio presso la Stazione CC di Santo Stefano al Mare, erano accusati di avere per colpa procurato la morte di Bohli Kaies, sottoposto ad inadeguata contenzione e trasporto, dopo essere stato tratto in arresto.

Il GIP, quanto alla posizione del Ventura e del Palurnbo assumeva la non punibilità del fatto per le ragioni di cui, in sintesi, appresso:

a) era stato necessario procedere ad immobilizzare con la forza il Bohli, sospettato di spacciare stupefacenti, a cagione della violenta reazione intentata dal medesimo, tanto da doversi richiedere la collaborazione di un privato cittadino per immobilizzarlo;

b) non era rimasto provato che durante il brevissimo trasporto fino alla caserma l’arrestato fosse stato collocato prono, mani e piedi ammanettati, con la faccia rivolta verso lo schienale posteriore dell’autovettura di servizio e schiacciato dal peso dei due imputati, sedutiglisi sopra, piuttosto, invece, che supino, con il viso rivolto verso i due sedili anteriori e i due militari, sedutati davanti a lui, sul margine del divano;

c) le conclusioni del C.T. del P.M., secondo le quali la «la dinamica letale [era] riferibile ad un quadro di arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica», trovavano contrasto nelle risultanze istologiche, le quali indirizzavano anche per un possibile ipertono da riflesso vagale, indipendente dalle modalità della contenzione;

d) le condizioni precarie di salute dell’arrestato, cardiopatico e defedato da smodato uso di sostanze stupefacenti, indirizzavano verso la concreta evenienza di un riflesso vagale da stress, causato dalla concitazione del momento;

e) la fiera resistenza dell’uomo ben avevano giustificato le modalità energiche della contenzione;

f) nel procedere all’arresto non constava la violazione di alcuna norma prudenziale specifica o generica, né l’evento era in alcun modo prevedibile ed evitabile.

Quanto alla posizione del Sipio veniva chiarito che il predetto militare non aveva in alcun modo partecipato all’arresto (né alla prima fase, implicante la colluttazione, né alla seconda del trasporto); si era limitato a recuperare l’involucro lanciato dall’arrestato e, a bordo della propria autovettura privata, si era recato in caserma.

2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale d’Imperia propone ricorso per cassazione corredato da plurimi motivi di censura.

2.1. Con i primi tre motivi, denunzianti violazione della legge processuale, travisamento della prova e vizio motivazionale il ricorrente, in definitiva, contesta, con radicalità, la decisione per più convergenti ragioni:

a) il Giudice aveva del tutto violato la regola del giudizio enunciata nell’art. 425, cod. proc. pen., anticipando illegittimamente e con prognosi, peraltro, del tutto ipotetica, l’esito del vaglio dibattimentale, non limitandosi a valutare le fonti di prova, ma procedendo lui stesso al vaglio probatorio, giungendo a ritenere la sussistenza di una causa di giustificazione, neppure addotta dagli imputati, e financo operando una critica delle conclusioni del C.T.;

b) aveva ipotizzato possibili decorsi alternativi dei quali non vi era neppure traccia in atti; aveva valutato le prove testimoniali con piena discrezionalità e, in ogni caso, senza tenere conto che quella privilegiata (del maresciallo Lizza) era discutibile per il coinvolgimento del teste nella vicenda e per la spendita di dati afferenti la personalità della p.o. non recuperabili dall’incarto processuale, giungendo ad affermare anche la sussistenza di una cardiopatia, non riscontrata in sede autoptico;

c) aveva travisato la prova, assegnando un significato del tutto diverso alle conclusioni dell’anatomopatologo, siccome si traeva dal verbale che racchiudeva le dichiarazioni di costui;

d) la motivazione incorreva in contraddizione laddove, allo stesso tempo, descriveva la p.o. come vigorosa e violenta e defedata dalla conduzione di vita sregolata e dall’uso di stupefacenti.

2.2. Con il quarto motivo, denunziante violazione degli artt. 53, cod. pen. e 425, cod. proc. pen., il P.M. ricorrente si duole del fatto che il Giudice, nonostante la mancata allegazione, avesse d’ufficio ritenuto essere rimasta integrata la causa di giustificazione di cui all’art. 53, cod. pen.

2.3. Con il quinto motivo, denunziante violazione di legge, il ricorrente rileva che, anche a volere ammettere che nelle modalità di arresto, contenzione e trasporto non si fosse ritenuto d’individuare violazioni di specifici precetti di settore, non v’era dubbio che, fermo il valore precettivo dell’art. 13, comma 4, Cost., del quale la sentenza dubitava, gli operatori non erano esonerati dal rispetto delle norme cautelari generiche.

2.4. Con l’ultimo motivo viene criticata la decisione di reputare estraneo ai fatti il Di Sipio: a costui, infatti, secondo il ricorrente, si estendeva la penale responsabilità ai sensi dell’art. 113, cod. pen., a titolo di cooperazione colposa, avendo agito in simultaneità, secondo un <convergente modulo organizzativo connesso alla gestione del rischio> (Cass., IV, 22/9/2011, n. 39271).

3. Ricorrono per Cassazione le costituite parti civili:

1) BHLI ZINA, BOHLI RIHAB e BEN BOHLI HAYET BENT MANSOUR;

2) ALBERTI SONIA,

sia in proprio che nella qualità esercente la funzione genitoriale sui due figli minori.

I due separati ricorsi prospettano motivi di censure denunzianti violazione di legge, sostanziale e processuale, vizio motivazionale e travisamento della prova.

A fronte di una tecnica redazionale autonoma, la quale ha liberamente puntualizzato i singoli profili argomentati ritenuti di maggior pregnanza, anche con questi ricorsi, in estrema sintesi, si deduce la radicale violazione delle regole del giudizio, la sommaria, lacunosa e contraddittoria valutazione delle emergenze probatorie ed il travisamento di talune di esse emergenze.

Inoltre viene rappresentato:

a) non essere vero che si trattò di un arresto obbligatorio per violazione delle norme sugli stupefacenti, bensì, siccome risultava dal verbale, di arresto facoltativo per resistenza a p.u.;

b) l’insussistenza di una condotta di violenta resistenza, tanto da far apparire ampiamente travalicante l’art. 53, cod. pen., la condotta dei CC operanti, i quali, peraltro, neppure avevano evocato una tale causa di giustificazione.

4. Nell’interesse degli imputati venivano depositate  distinte memorie difensive; per Ventura Fabio, in data 6/11/2015; per Palumbo Gianluca, in data 17/11/2015; per Di Sipio Fabiano, in data 17/11/2015.

4.1. Il ricorso è fondato limitatamente alla posizione di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca.

Perché all’accusa che venga negato il diritto di provare in giudizio la penale responsabilità dell’imputato il Giudice dell’udienza preliminare deve trovarsi in presenza d’un impianto probatorio  che, non solo appaia inidoneo alla concreta affermazione della pretesa punitiva, ma, quel che più rileva, insuscettivo, d’immutazioni a seguito dell’istruttoria dibattimentale.

In altri termini “la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425, c.p.p., ha natura prevalentemente processuale, e non di merito; essa non è diretta ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma ha essenzialmente lo scopo di evitare che giungano alla fase del giudizio vicende in relazione alle quali emerge l’evidente infondatezza dell’accusa, allorché vi sia in atti la prova dell’innocenza dell’imputato, ovvero l’insufficienza o contraddittorietà degli elementi probatori acquisiti depongono per un giudizio prognostico circa la loro inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio … [trattasi, in definitiva di] formulare una diagnosi di sostenibilità dell’accusa, alla stregua del materiale probatorio raccolto, con specifico riferimento alla tesi che il P.M. chiede di sostenere in dibattimento.

Solo ove detta tesi si presenti insostenibile ed insuperabile in dibattimento – in ragione dell’evidente infondatezza della stessa, ovvero per l’insufficienza o contraddittorietà delle fonti di prova e per la loro inidoneità a subire concreti sviluppi nella sede dibattimentale, attraverso l’acquisizione di nuovi elementi probatori ovvero una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito – legittimamente il Giudice può emettere sentenza di proscioglimento  dell’imputato” (Cass. IV, 22/09/2011, n. 39271).

Nel caso in discorso ci si trova, appunto, in presenza di un compendio probatorio, peraltro niente affatto minimale, suscettivo di difforme valutazione da parte del giudice del dibattimento, avuto riguardo ai profili evidenziati dai ricorrenti.

Quadro che già ora, solo a costo di evidenti forzature, palesi contraddittorietà, opinabili interpretazioni e valutazioni delle conoscenze di sapere di natura tecnica, veicolate all’interno del procedimento, il GIP ha confinato nell’area and dell’inidoneità di sviluppi probatori avvaloranti l’accusa.

Quadro, ammesso che debba ritenersi insufficiente, non vi sono ragioni per presagire statico e non soggetto a sviluppi, attraverso l’istruttoria dibattimentale (escussioni testimoniali, perizia, esami di consulenti).

4.1.1 Non ignora il Collegio che una recente linea interpretativa elaborata da questa Corte di cassazione ha, tuttavia, colto il mutamento d’assetto procurato dagli interventi riformatori, concludendo che << La situazione è completamente cambiata con la riforma introdotta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (c. d. legge “Carotti”).

Invero al G.U.P., ai sensi dell’art. 425, comma 3, è odiernamente consentito disporre il proscioglimento dell’imputato “anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Alla luce della riforma oramai non è più sostenibile la tesi che l’udienza preliminare abbia finalità meramente procedurali, bensì può dirsi che essa consenta una vera e propria valutazione di merito dell’accusa, sebbene solo per finalità preliminari e cioè al fine di consentire al giudice di decidere se prosciogliere l’imputato (con una sentenza “stabile” ma non irrevocabile) ovvero rinviarlo a giudizio innanzi al giudice dibattimentale (…).

Ne consegue, alla luce di quanto esposto, che il giudice dell’udienza preliminare è odiernamente abilitato a svolgere una valutazione del “merito” dell’accusa.

Quanto ai limiti dell’esercizio di tale potere, questa Corte ha già avuto modo di precisare che “…. l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatori devono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili in giudizio, con la conseguenza che, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di non colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento…

Di tale che, il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito tale disposizione altro non è, infatti, se non la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì…. l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio e la prognosi dell’inutilità del dibattimento….” (cfr. Cass. 4^, 11335/08, Huscer; vedi anche : Cass. Sez. 6, Sentenza n. 33921 del 17/07/2012 Cc. (dep. 06/09/2012), Rv. 253127; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10849 del 12/01/2012 Cc. (dep. 20/03/2012), Rv. 252280; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43483 del 06/10/2009 Cc. (dep. 13/11/2009), Rv. 245464; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 13163 del 31/01/2008 Cc. (dep. 28/03/2008), Rv. 239597)».

Senza necessità d’invocare altro e diverso orientamento, parimenti recente, che conferma, invece, l’impostazione tradizionale (Cass., Sez. IV, n. 41860 del 18/7/2013, in Diritto & Giustizia 2013; massima in De.lure, Giuffrè), non par dubbio che, anche valorizzando l’arricchimento di potere decisorio, il giudice dell’udienza preliminare, solo al cospetto di un quadro probatorio non suscettivo d’implementazioni dibattimentali, deve pronunziare sentenza di proscioglimento nel merito, e ciò (come chiarito dalla citata sentenza n. 41860) anche nel caso in cui, come prevede espressamente l’art. 425 comma 3 c.p.p., gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio: tale disposizione è la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio.

4.2. Non si può, peraltro, far finta d’ignorare che nel caso al vaglio la violazione della regola del giudizio, perpetrata attraverso plurime e rilevanti ulteriori violazioni di legge e vizi motivazionali in questa sede rilevabili, si staglia macroscopica a riguardo della posizione degli imputati Ventura e Palumbo.

Il Giudice, invero, svalutate le altre fonti di prova, privilegia la sola fonte costituita dal comandante la Stazione, non solo, all’evidenza, bisognosa di una oculata verifica di attendibilità, ma, addirittura, importata solo parzialmente in sentenza; si avventura in disconferme delle risultanze della CTU, attraverso l’enfatizzazione di rilievi teorici operati dall’anatomopatologo; omette di prendere in effettiva rassegna le norme di cautela specificamente regolanti l’arresto e la contenzione forzata e apoditticamente afferma, ignorando la vigenza, comunque delle regole cautelari comuni e la precettività dell’art. 13, comma 4, Cost., il rispetto delle regole precauzionali; senza tener in alcun conto il precetto dell’art. 425, cod. proc. pen. e le regole della congruenza logica si avventura a congetturare la non concludenza degli approfondimenti istruttori dibattimentali; afferma la sussistenza certa di patologia cardiaca della p.o., allo stato non riscontrata.

5. Al contrario, come si è anticipato, la sentenza impugnata si sottrae alle critiche quanto alla posizione dell’imputato Di Sipio Fabiano.

Deve riaffermarsi, in generale, che «ai fini del riconoscimento della cooperazione nel delitto colposo, oltre a non esser necessaria la conoscenza dell’identità delle altre persone cui risale la cooperazione, deve ritenersi non necessaria neppure la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza, da parte dell’agente, che dello svolgimento di una determinata attività (…) un soggetto interviene nell’ambito di un’opera complessivamente organizzata, essendo a conoscenza che la sistemazione di detta opera è riservata anche all’altrui responsabilità (v. Cass., Sez. 4, n. 26020/2009, cit.).

Proprio con riguardo a tali aspetti, questa corte ha già in precedenza avuto modo di sottolineare come l’elemento di coesione tra le diverse condotte di cooperazione chieda d’essere rinvenuto nel dato d’indole psicologica costituito dalla consapevolezza di cooperare con altri, senza peraltro che tale consapevolezza debba estendersi sino a cogliere il carattere colposo dell’altrui condotta. (…)

Occorre (…) che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza.

In tali situazioni, l’intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio, giustifica la penale rilevanza di condotte che, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano e si compenetrano con altre condotte tipiche. In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui.

Si genera così un legame e un’integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto.

Tale pretesa ‘d’interazione prudente’ individua il canone per definire il fondamento e i limiti della colpa di cooperazione.

La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell’idea di cooperazione colposa (v. Cass., Sez. 4, n. 1428/2011, Rv. 252940)» (Cass., Sez. 4, n, 43083 del 3/10/2013, rv. 257197).

Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti non hanno evidenziato alcuna specifica emergenza sulla base della quale possa imputarsi al Di Sipio, la consapevolezza spinta fino ad ipotizzare le modalità gestione del rischio e, comunque, la possibilità di una fattiva interazione in grado di scongiurare l’evento.

Per converso emerge dagli atti che il predetto militare restò totalmente estraneo all’intervento coattivo, tanto che gli altri due imputati dovettero rivolgersi ad un passante per potere essere materialmente aiutati nel contenere la p.o.; si occupò di andare a recuperare l’involucro lanciato lontano dall’arrestato, non prese parte all’opera di contenzione in loco (la p.o. venne ammanettata mani e piedi), né al trasporto dell’arrestato che, secondo il capo d’imputazione, a cagione delle sue improvvide modalità, aveva procurato lo schiacciamento della cassa toracica della p.o. e, indi, l’arresto cardiaco e la morte della medesima.

In definitiva, proprio nel rispetto della regola di giudizio di cui all’art. 425, cod. proc. pen., in presenza di un quadro probatorio del tutto insufficiente a sostenere l’accusa in giudizio, non emergono elementi che possano far prevedere un epilogo dibattimentale sfavorevole all’imputato in discorso.

6. Ciò posto, la sentenza gravata deve essere annullata nei soli confronti di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca e gli atti rinviati per nuovo esame al competente Tribunale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Imperia.

Rigetta il ricorso nei confronti di Di Sipio Fabiano.

Così deciso in Roma il 26/11/2015.

Depositato in Cancelleria il giorno 8 marzo 2016.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

_____//

E’ notizia dell’altro ieri

Sanremo – Assolti “perché il fatto non costituisce reato”.

Si chiude così, dopo quasi sette anni, il caso della morte di Kaies Bohli, il pusher tunisino di 32 anni deceduto all’ospedale di Sanremo dopo l’arresto: i due carabinieri che lo avevano effettuato Fabio Ventura, 37 anni, e Gianluca Palumbo, non sono colpevoli di omicidio colposo. L’episodio risale al 5 giugno 2013. Bohli era stato fermato nel parcheggio del supermercato Lidl di Riva Ligure mentre stava spacciando eroina.

I carabinieri della stazione di Santo Stefano al Mare lo stavano sorvegliando da tempo, e quel giorno, in borghese , si erano appostati per coglierlo in flagrante. Il tunisino, però, aveva reagito all’arresto, cercando di scappare. C’era riuscito una prima volta poi, inseguito, era caduto nel tentativo di saltare un guardrail.

I carabinieri avevano cercato di immobilizzarlo, lui si era difeso con calci, pugni, morsi. Alla fine era stato ammanettato e caricato sull’auto di pattuglia. A bordo, però, si era sentito male, aveva perso conoscenza. Portato al Pronto soccorso dell’ospedale di Sanremo, era morto dopo circa un’ora.

L’autopsia, eseguita dal medico legale Francesco Traditi, aveva stabilito che Kaies Bohli era deceduto per “asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica”, diretta conseguenza dell’immobilizzazione da parte dei carabinieri. Ventura e Palumbo, che avevano bloccato il pusher a terra, erano stati subito indagati per omicidio colposo, assieme a un terzo carabiniere, Fabiano Di Sipio, che aveva partecipato all’operazione.

Nel marzo 2015, Di Sipio era stato prosciolto dall’accusa di omicidio colposo, mentre per Palumbo e Ventura il giudice aveva disposto il “non luogo a procedere”.

Una decisione contro la quale il pm Cavallone era ricorso in Cassazione; la Suprema Corte, a novembre 2015, aveva accolto l’istanza solo per quanto riguarda le posizioni di Palumbo e Ventura (respingendola invece per il terzo militare), rimandando quindi gli atti al Tribunale perché venisse fissata una nuova udienza preliminare. Palumbo e Ventura erano stati rinviati a giudizio, il processo a loro carico si era aperto il 21 febbraio di due anni fa.

La svolta nel novembre 2019, quando il medico legale Lorenzo Varetto, aveva escluso la responsabilità dei due carabinieri. Stabilendo che il tunisino non era morto per asfissia, ma per un attacco cardiaco. Un’aritmia improvvisa causata da una serie di fattori, emotivi e fisici. «Il decesso non è direttamente collegabile all’azione dei militari». Fino all’assoluzione.

Il pm Fornace, nel chiedere l’assoluzione, ha anche confrontato il caso di Bohli con quello di Federico Aldrovandi, morto a Ferrara nel 2005, per cui furono condannati i poliziotti che lo avevano immobilizzato. «Quella volta ci fu un’azione gratuitamente violenta, al confine con la preterintenzionalità», aveva spiegato.

La formula “perché il fatto non costituisce reato”, con mancanza dell’elemento soggettivo, lascia alle parti civili, la moglie, con i due figli minori, e la madre, spazio per un appello in sede civile al fine di ottenere un risarcimento.