Morte per esplosione della caldaia a gas: il soggetto responsabile è colui che “utilizza” il gas nell’attività che ha causato il danno (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 28 settembre 2021, n. 26236).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6290-2019 proposto da:

(OMISSIS) MICHELE, (OMISSIS) ANTONIA, (OMISSIS) MARIA, (OMISSIS) ANNA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE (OMISSIS) 55, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ENI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO (OMISSIS) (OMISSIS), 10/A, presso lo studio dell’avvocato DANIELE (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro

(OMISSIS) ANTONIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 185/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO CHE

1.- Michele (OMISSIS), Maria (OMISSIS), Antonia (OMISSIS), Anna (OMISSIS) hanno commissionato ad Antonio (OMISSIS) la realizzazione di una caldaia a gas per la loro abitazione, che quest’ultimo ha realizzato con organizzazione dà mezzi propri, acquistando lui il pezzo e poi montandolo.

Il giorno successivo al collaudo, durante le prime ore del mattino, però, la caldaia è esplosa, facendo crollare l’intera palazzina e provocando la morte del coniuge di Anna (OMISSIS), sig. Antonio (OMISSIS).

I danneggiati hanno agito nei confronti del (OMISSIS) e dell’Eni cui attribuivano responsabilità per il fatto di avere fornito il gas impiegato nel collaudo: era infatti emerso che la caldaia non era stata collaudata con gas inerti non infiammabili, come previsto dalle norme in materia, ma vi era stato immesso gas non inerte.

2.- Il Tribunale ha ritenuto sia la responsabilità del (OMISSIS), cui, per l’appunto è stato addebitato un comportamento colposo al momento del collaudo, sia la responsabilità dell’ENI, tenuta, secondo il giudice di prime cure, a controllare l’uso del gas da parte del concessionario, responsabilità, questa ultima, discendente dalla previsione dell’articolo 2050 c.c.

Il Giudice di appello ha riformato questa decisione, quanto alla responsabilità dell’ENI, affermando, che, in linea di principio non può considerarsi responsabile il produttore quando abbia consegnato il gas ad un concedente, che poi lo vende o somministra al consumatore; che, comunque dalle prove assunte non era affatto emerso che il (OMISSIS) avesse acquistato il gas dall’Eni anziché da altro produttore.

3.- Il ricorso è basato su tre motivi, che sono contrastati dall’ENI con controricorso.

Non si è costituito il (OMISSIS).

I ricorrenti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO CHE

4.- Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 330 c.p.c. oltre che omesso esame.

Sostengono i ricorrenti di avere eccepito in appello l’inammissibilità della impugnazione in quanto effettuata al domicilio scelto in primo grado, che era poi cambiato nelle more dell’appello, e questa variazione era stata comunicata ad ENI.

I ricorrenti eccepiscono, in modo apparentemente contraddittorio, un omesso esame di questa eccezione, da un lato, e l’infondatezza del suo rigetto, dall’altro.

Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

Non si dimostra infatti che la questione sia stata posta al giudice di appello: nel ricorso non si fa menzione di averla devoluta, o meglio, non si riporta l’eccezione né si indica dove è stata svolta.

Solo leggendo il controricorso si deduce che è stata proposta nel giudizio incidentale sulla sospensiva della decisione di primo grado, ed anche a voler ammettere che questa indicazione valga, ma non è cosi, a rendere sufficiente il ricorso- la cui sufficienza non è derivata da altri atti- anche ad ammetterlo, non è dimostrato che la questione è stata reiterata nel giudizio di appello.

Ad ogni modo, si tratta di questione infondata in quanto la costituzione in appello della parte cui l’atto di impugnazione è irregolarmente notificato, perché in domicilio diverso da quello eletto, sana il vizio (Cass. 19924/ 2017; Cass. 3648/ 2016), per raggiungimento dello scopo.

5.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 2050 c.c. e 2967 c.c. nonché 116 c.p.c..

La tesi dei ricorrenti è che la Corte di Appello ha errato nel considerare la responsabilità dell’ENI, meglio, nel ritenere l’ENI estraneo causalmente alla produzione del danno, e ciò anche ove fosse stato dimostrato che è stato quell’ente a vendere il gas, in quanto l’ENI non era tenuto a controllare l’uso che del gas venduto, l’acquirente, che lo ha usato per collaudare la caldaia, andava facendo.

Peraltro, secondo la sentenza impugnata, nemmeno era emerso che a vendere sia stato l’ENI e questa prova avrebbe dovuto essere fornita dal danneggiato, pur nella disciplina dell’articolo 2050 c.c. che presuppone pur sempre che il danneggiato dimostri il nesso di causalità: nella specie tra la condotta dell’Eni e l’evento.

Secondo i ricorrenti, nella ratio dell’articolo 2050 c.c. v’è di rendere responsabile, ossia di considerare potenzialmente tale, ogni soggetto che intervenga nella distribuzione del gas, il quale dunque partecipa dell’attività pericolosa che ha causato il danno.

Il motivo è infondato.

A prescindere dai rilievi circa la prova che sia stato l’ENI a vendere, oggetto del motivo successivo, il soggetto responsabile è colui che utilizza il gas nell’attività che ha causato il danno; la condotta del venditore del gas non è un antecedente del danno, posto che tra la vendita e l’utilizzo del gas interviene la condotta di un terzo, ossia il soggetto che usa il materiale per collaudare la caldaia, che è causa efficiente; se anche la questione, anziché dal punto di vista causale volesse essere considerata sotto l’aspetto delle regole cautelari da osservare, è da seguire l’orientamento di questa corte, risalente, ma convincente, secondo cui “dal momento in cui una cosa, in sé pericolosa, sia dal fabbricante consegnata ad altra persona (nella specie, all’impresa distributrice ed installatrice delle bombole di gas), questa assume un distinto potere di disposizione ed un autonomo dovere di sorveglianza; così che ogni svolgimento di attività da parte del produttore cessa e la presunzione di colpa non grava più su di lui, mentre, correlativamente, si trasferiscono, da quel momento, a carico del consegnatario gli oneri di custodia, di sorveglianza e di prudenza e, con essi, la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2050 cod. civ. con la conseguenza che, in caso di sinistro, incombe a quest’ultimo l’onere di dimostrare che l’evento dannoso si è verificato per caso fortuito ovvero per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente al costruttore” (Cass. 182 del 1982), che non è smentita dalla successiva Cass. 6385 / 1988, la quale afferma la responsabilità del produttore per fatto del dipendente, e la esclude nel caso in cui il gas sia stato affidato a personale indipendente, che svolga attività autonoma a rischio proprio.

6.- Il terzo motivo denuncia violazione sia dell’articolo 40 c.p. che nuovamente dell’articolo 2697 c.c.

Si rimprovera alla corte di merito di avere errato quanto all’onere della prova sul nesso causale: questo in astratto, in quanto il motivo è in concreto incentrato sulla rivalutazione delle prove, in particolare quelle testimoniali, con l’intento di dimostrare che era emersa la prova del coinvolgimento dell’ENI, prova smentita dal giudice di appello.

7.- Il motivo è inammissibile in quanto mira ad ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, che è attività discrezionale rimessa al giudice di merito, censurabile solo per difetto assoluto di motivazione o errore percettivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento della somma di 2800,00 euro, oltre 200,00 euro di spese generali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Roma 26 maggio 2021.

Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.