Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica la durata del rapporto non è soggetta alla disciplina delle clausole vessatorie (Corte di Cassazione, sez. VI Civile -3, sentenza 3 settembre 2015, n. 17579).

Con atto di citazione del 2010 la s.a.s. Alpina Games II di Alberini G. & C ha convenuto davanti al Tribunale di Trento la s.n.c. Teos di Matteo Pelanda & C, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per inadempimento del contratto concluso il 13.2,2006, con il quale la convenuta si era impegnata a mantenere installate in esclusiva nel suo locale bar apparecchiature da gioco noleggiate da essa attrice per la durata di cinque anni, mentre aveva disattivato le macchine nel 2009, prima della scadenza contrattuale convenuta, installandovi macchinari di imprese diverse.

La convenuta ha resistito, eccependo – per quanto rileva in questa sede – l’inefficacia di varie clausole del contratto, perché vessatorie ai sensi dell’art. 1341 cod. civ., trattandosi di condizioni generali predisposte dall’attrice e contenenti limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni e limitazioni nei rapporti contrattuali con i terzi.

Assumeva la convenuta che il contratto, predisposto a stampa in un documento denominato “Bolla di consegna”, le era stato fatto sottoscrivere solo all’atto della consegna dei macchinari, tanto che essa aveva anche eccepito l’annullabilità del contratto per dolo.

Con sentenza n. 956/2011 il Tribunale ha respinto la domanda attrice, ritenendo inefficaci perché vessatorie le clausole relative alla durata quinquennale del rapporto ed al divieto di installare macchinari della concorrenza, in quanto la dichiarazione di approvazione specifica delle clausole onerose era stata anch’essa predisposta a stampa e richiamava le clausole da approvare, indicandole con il solo numero e in blocco, unitamente a clausole non vessatorie.

La Alpina Games ha proposto appello, addebitando al Tribunale di avere accolto un’eccezione di vessatorietà non proposta da Teos, quale quella attinente alla durata quinquennale del rapporto, e comunque relativa a clausola non inclusa dall’art. 1341 cod. civ. fra quelle particolarmente onerose. Ha dichiarato di rinunciare ad avvalersi della clausola relativa al divieto di non concorrenza ed ha insistito nella domanda di risarcimento dei danni per il recesso anticipato dal rapporto.

L’appellata ha resistito, insistendo sull’annullabilità del contratto per dolo.

Con sentenza 12 marzo — 3 maggio 2013 n. 142 la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado.

Ha ritenuto che l’eccezione di inefficacia della clausola relativa alla durata quinquennale del contratto (n. 6 del contratto) – pur se non menzionata nelle conclusioni formulate dalla convenuta in primo grado, che eccepivano l’inefficacia delle sole clausole n. 7 e 8 – è da ritenere proposta, perché desumibile dalla narrativa contenuta nella comparsa di risposta di Teos; ha accolto l’eccezione medesima, sul rilievo che l’appellante non ha dimostrato che la clausola abbia costituito oggetto di libera pattuizione fra le parti, perché sottoscritta solo all’atto della consegna della mercé, su modulo prestampato sulla bolla di consegna, ed ha ritenuto che la clausola sia da includere fra quelle contenenti limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni; restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi e tacita proroga o rinnovazione del contratto; che sia quindi inefficace per le stesse ragioni di cui alla sentenza di primo grado: cioè perché la dichiarazione di approvazione specifica era stata anch’essa predisposta a stampa e si riferiva a clausole indicate con il solo numero e cumulativamente con altre clausole non vessatorie.

Alpina Games propone due motivi di ricorso per cassazione, a cui resiste Teos con controricorso.

Motivi della decisione

1.- È logicamente preliminare l’esame del secondo motivo, che – denunciando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – addebita alla Corte di appello di avere accolto un’eccezione in realtà non proposta dalla controparte, cioè quella avente ad oggetto la pretesa vessatorietà della clausola relativa alla durata quinquennale del rapporto di noleggio.

1.1.- Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha ritenuto che, dal contesto complessivo dell’atto di appello, l’eccezione risulti proposta.

Trattasi di interpretazione della domanda giudiziale, che costituisce operazione riservata al giudice del merito, la cui valutazione, risolvendosi in un accertamento in fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia correttamente motivato (Cass. civ. Sez. 3, 26 giugno 2007 n. 14751; Idem, 6 maggio 2015 n. 9011).

La ricorrente non ha dimostrato illogicità od incongruenze della motivazione sul punto, motivazione che risulta oggettivamente adeguata.

2.- Con il primo motivo — premesso di avere rinunciato ad avvalersi della clausola contrattuale relativa all’obbligo di non concorrenza – la ricorrente denuncia violazione degli art. 1341, 1372 e 1373 cod. civ. (e di altre non attinenti al tema oggetto di controversia), nel capo in cui la sentenza impugnata ha dichiarato inefficace perché particolarmente onerosa ai sensi dell’art. 1371, 2 comma, cod. civ., anche la clausola che ha stabilito in cinque anni la durata del contratto, senza possibilità di recesso anticipato, sebbene tale clausola non sia compresa fra quelle che necessitano di specifica approvazione scritta ai sensi dell’art. 1341 2 comma cod. civ., né sia particolarmente onerosa.

3.- Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha erroneamente assimilato la clausola n. 6 del contratto intercorso fra le parti — secondo cui “Il presente contratto è valido cinque anni dalla data odierna” — fra le clausole che pongono a carico della parte aderente “limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto”, mentre essa non rientra in alcuna di tali fattispecie.

Le condizioni generali di contratto predisposte mediante moduli o formulali che, in relazione a rapporti ad esecuzione continuata o periodica, predispongano anche il termine di durata del rapporto non rientrano, di per sé sole, fra le clausole particolarmente onerose.

Esse non equivalgono alla tacita proroga o rinnovazione del contratto, poiché attengono alla durata inizialmente stabilita; non all’obbligo di prorogarne la scadenza. E nella specie Teos ha esercitato il recesso, e rivendica la sua libertà di recedere, prima ancora della scadenza del termine iniziale di cinque anni.

Neppure si tratta di clausola limitativa della facoltà di opporre eccezioni, poiché la pattuizione di un termine appartiene alla disciplina normale dei contratti di durata e non viene a porre oneri peculiari ed inconsueti sul contraente aderente.

Ma soprattutto, si possono considerare onerose le clausole che, nelle condizioni generali di contratto, vietino di opporre eccezioni che, nell’ambito di un contratto individuale, potrebbero essere indiscutibilmente proposte.

Tale non è il divieto di recedere prima del termine stabilito dalle parti, divieto che vale anche per i contratti individuali, quale inadempimento di una specifica pattuizione.

Vale a dire, sono clausole limitative della possibilità di opporre eccezioni, ai sensi dell’art. 1341, 2 comma, cod. civ., quelle che impediscano di eccepire atti o fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa che, secondo la disciplina conforme alla natura logico-giuridico-economica del rapporto di cui trattasi, la legge consentirebbe di esercitare (quali il divieto di eccepire i vizi della cosa nella compravendita; il divieto di opporre eccezioni prima di avere adempiuto alla prestazione – c.d. clausola solve et repete – e simili).

La clausola con cui le parti stabiliscano la durata del rapporto, in un contratto ad esecuzione continuata o periodica, è del tutto normale e conforme alla natura del rapporto. Sempre che il termine, ovviamente, sia stato validamente pattuito.

Nella specie, la clausola in oggetto è stata sottoscritta da Teos all’atto della consegna della merce, sulla parte posteriore della bolla di consegna, che recava a stampa – sotto il titolo “Accordo commerciale” – le clausole che avrebbero dovuto regolare il rapporto, e la sottoscrizione è stata apposta separatamente e in aggiunta a quella riguardante la prima facciata del documento, contenente la “bolla di consegna”.

È pur vero che il prospettare alla parte aderente le condizioni generali di contratto solo contestualmente alla consegna, in un documento designato come bolla di consegna e che quindi appare a tutt’altro destinato, è circostanza che potrebbe – di per sé sola – creare ambiguità.

Resta il fatto che la resistente non ha proposto, nelle competenti sedi di merito, domande od eccezioni dirette a dimostrare l’inefficacia dell’accordo ai sensi del primo comma dell’art. 1341 cod. civ.; che la modalità descritta non è infrequente, nella prassi commerciale e che, soprattutto, nella specie il documento conteneva l’Accordo commerciale su altra facciata della bolla di consegna, che è stata separatamente sottoscritta, come si è detto. Sicché la resistente non può legittimamente eccepire di non essere stata in condizione di acquisirne conoscenza.

4.- In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è cassata, limitatamente al capo in cui ha ritenuto vessatoria la clausola relativa alla fissazione del termine quinquennale di durata del contratto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra indicati.

5.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Non ricorrono gli estremi di cui all’art. 13, 1 comma quater, del d.p.r. n. 115 del 2002 per la condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.