Nel caso di pendenza di giudizio arbitrale e giudizio penale mediante costituzione di parte civile, il giudizio continua ugualmente davanti all’arbitro (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 7 agosto 2023, n. 23964).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. PICARO Vincenzo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1245/2019 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma Viale (OMISSIS) n. 4, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) per procura in calce al ricorso,

-Ricorrenti-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma Piazza (OMISSIS) n. 12, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), per procura allegata al controricorso,

-Controricorrenti-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1807/2018 depositata il 25/06/2018.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7/07/2023 dal Consigliere dott. VINCENZO PICARO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Per quanto ancora rileva , con atto di citazione del 2010 (omissis) (omissis), (omissis) e (omissis) e (omissis) (omissis), quali eredi di (omissis) (omissis), convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Bassano del Grappa (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), chiedendo di accertare che, in base all’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 58260, risultava costituita a favore delle particelle 899 ed 898 del foglio 62 del catasto terreni del Comune di (omissis), di proprietà di (omissis) (omissis) e poi dei suoi eredi ed a carico della particella 389 dei convenuti, un diritto incondizionato di passaggio con ogni mezzo su una fascia di terreno della larghezza di cinque metri per il tratto più breve della lunghezza di 20 metri per poter accedere ai fondi dominanti attraverso la particella 475 alla strada statale della (omissis); chiedevano ancora di ordinare ai convenuti di rimuovere ogni barriera dagli stessi collocata sulla particella 389 che impedisse agli attori l’esercizio del passaggio, autorizzando in difetto gli attori a provvedervi direttamente con spese a carico dei convenuti.

Si costituivano tardivamente in primo grado (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), che inizialmente sostenevano che le servitù di passaggio erano due, una già esistente che collegava la strada della (omissis) alla particella 306, che le parti erano disposte ad allargare fino a sei metri, e l’altra costituita con l’atto pubblico (omissis) del 23.3.1989 a favore delle particelle 898 e 899 ed a carico della particella 389 su una fascia di terreno larga cinque metri per il tratto più breve della lunghezza di mt. 20, servitù quest’ultima che aveva dato luogo a contrasti, in quanto gli attori pretendevano di esercitarla sull’intera particella 389 per raggiungere le loro proprietà, facendo sostare le loro macchine agricole su un sito destinato al passaggio.

Nella memoria istruttoria di primo grado, invece, i convenuti sostenevano che la servitù di passaggio oggetto di causa, secondo buon senso, doveva ritenersi costituita a favore delle particelle 898 e 899 ed a carico della particella 389 su un sito, già individuato, della larghezza di cinque metri e lungo circa 20 metri fino a via (omissis), che si dipartiva dal portone del garage non più utilizzato dagli attori e del quale sotto il manto erboso era ancora visibile il tracciato, composto da detriti edili (mattoni e pietre) collocati da (omissis) (omissis), per cui o gli attori concordavano con tale loro indicazione, nel qual caso poteva essere redatto un verbale di conciliazione, o si rendeva necessaria una costosa istruttoria per chiarire tramite CTU e prova testimoniale il tracciato della servitù.

Espletata CTU dal geom. (omissis), il Tribunale di Bassano del Grappa, con la sentenza n. 263/2016 del 13.5.2015/22.11.2016, accertava la costituzione di tale ultima servitù di passaggio sulla base dell’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, individuandola nel tracciato risultante dalla CTU (omissis) depositata il 14.10.2013, autorizzava gli attori a rimuovere a proprie spese quali proprietari del fondo dominante la pianta insistente sulla particella 982, all’angolo con la particella 882, ed all’interno della superficie destinata a servitù di passaggio, condannava invece i convenuti alla rimozione a proprie spese della baracca in legno e lamiera insistente sulla particella 982 e di qualsiasi altra barriera, o impedimento mobile ricadente sulla superficie destinata a passaggio, poneva le spese di CTU per 1/3 a carico degli attori e per 2/3 a carico dei convenuti e condannava questi ultimi al pagamento delle spese processuali.

Proponevano appello (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) e resistevano gli originari attori.

Con la sentenza n. 1807/2018 del 28.5/25.6.2018 la Corte d’Appello di Venezia respingeva l’appello e condannava gli appellanti in solido al pagamento delle spese processuali di secondo grado.

Avverso tale sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato il 24.12.2018, (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), affidandosi a quattro motivi, ed hanno resistito con controricorso notificato il 2.2.2019 (omissis) (omissis), (omissis) e (omissis) e (omissis) (omissis).

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Col primo motivo i ricorrenti, riproponendo pedissequamente il primo motivo di appello, lamentano in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. l’erronea interpretazione dell’art. 111 comma 6° della Costituzione, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 comma 2 n.4) c.p.c.

Premesso che i vizi di motivazione sono sindacabili dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per totale mancanza, o mera apparenza della motivazione quale minimo requisito costituzionale ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. e 132 comma 2 n. 4) c.p.c., o per omessa considerazione di un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. e non per violazione degli articoli 360 comma primo n. 3) c.p.c. e 111 comma 6° della Costituzione, né per insufficienza, o contraddittorietà della motivazione, il primo motivo è inammissibile, in quanto fa riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado e non si confronta con le motivazioni esaurientemente addotte nella sentenza impugnata dalla Corte d’Appello di Venezia sul primo motivo di appello, che non sono riportate, difettando quindi il requisito dell’autosufficienza.

Nel contesto del motivo poi i ricorrenti, senza alcun aggancio alle violazioni di legge lamentate, sostengono che la sentenza di primo grado avrebbe accertato i confini tra le proprietà delle parti senza che le stesse avessero avanzato domanda giudiziale in tal senso.

In realtà, i giudici di merito si sono limitati a prendere atto che in sede di accesso sui luoghi del CTU geom. (omissis) per l’individuazione del tracciato della servitù il suddetto ausiliario, i consulenti tecnici di parte e le parti stesse avevano riconosciuto che i confini reali delle particelle non coincidevano con quelli delle mappe catastali e che il CTU aveva quindi provveduto con l’assenso delle parti a segnare il tracciato previsto in larghezza e lunghezza dall’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989 tenendo conto dei confini reali e non delle mappe catastali aventi un valore solo sussidiario, senza addivenire ad alcun accertamento con efficacia di giudicato sull’ubicazione dei confini, per la quale le parti avrebbero potuto avanzare separata domanda giudiziale, e rinviando al richiamato tracciato del CTU solo per la specificazione dell’ubicazione esatta della servitù convenzionalmente costituita.

Col secondo motivo i ricorrenti, riproponendo pedissequamente il secondo motivo di appello, lamentano la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. per violazione dell’art. 189 c.p.c., dell’art. 3 della L. n. 241/1990, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 7 della L. n. 212/2000, in quanto non sarebbe stata offerta nella sentenza di primo grado alcuna motivazione in ordine alla sua eccezione di mutatio libelli per avere gli attori incluso per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni la particella 905 nella servitù di passaggio a titolo di usucapione e per avere richiamato pedissequamente alcuni brani della CTU del geom. (omissis), e sostengono che la sentenza di secondo grado non avrebbe posto rimedio a tale difetto di motivazione.

Il secondo motivo è inammissibile, in quanto è volto a censurare la sentenza di primo grado e non la sentenza di appello qui impugnata, né si confronta con le motivazioni esaurientemente addotte dalla Corte d’Appello di Venezia sul secondo motivo di appello, che non sono riportate, difettando quindi il requisito dell’autosufficienza.

Peraltro la Corte d’Appello di Venezia ha evidenziato (vedi pagina 11) l’irrilevanza dell’eccezione di mutatio libelli sollevata dai convenuti in primo grado, in quanto la particella 905 del foglio 62 del catasto terreni del Comune di (omissis), secondo quanto risultante dalla CTU del geom. (omissis) circa il reale confine delle particelle delle parti, condiviso anche dai consulenti tecnici di parte, non ricade affatto sul percorso della servitù di passaggio con ogni mezzo della larghezza di metri cinque della particella 389 che è stata costituita dall ’ atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 58260, nel punto in cui la lunghezza di tale particella è più breve (20 metri).

Come poi già chiarito dalla Corte d’Appello (vedi pagina 11 capoverso), ma ignorato dai ricorrenti, la sentenza di primo grado, basatasi sulla lettera del citato atto notarile e sull’assenza di contestazioni al tracciato individuato in loco dal CTU geom. (omissis), si é limitata a fare rinvio alla CTU (omissis) del 14.10.2013, al quale era stato dato specifico incarico dal Giudice istruttore per individuare in loco con l’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 58260, l’ubicazione del tracciato della servitù di passaggio convenzionalmente costituita, e non si vede come a fronte di tale legittima motivazione per relationem ad un atto dell’ausiliario del Giudice possa anche solo parlarsi di plagio.

Col terzo motivo i ricorrenti, riproponendo pedissequamente il terzo motivo di appello, lamentano in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione ed errata interpretazione dell’art. 112 c.p.c.

Deducono i ricorrenti che il primo Giudice, pur riconoscendo la preesistenza in loco della pianta della quale gli attori chiedevano la rimozione rispetto alla servitù di passaggio oggetto di causa, anziché rigettare la domanda di rimozione, ha autorizzato gli attori stessi a rimuovere tale pianta posta all’angolo della servitù a proprie spese ai sensi dell’art. 1069 cod. civ., benché non vi fosse una richiesta in tal senso degli attori, e lamentano che la sentenza di primo grado avrebbe altresì costituito una servitù di passaggio nuova e diversa da quella, convenzionalmente creata, della quale era stato chiesto il mero accertamento, incorrendo così in una ultrapetizione, e che la sentenza di secondo grado sarebbe incorsa nello stesso errore confermando la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa.

Anche il terzo motivo è inammissibile, in quanto è volto a censurare la sentenza di primo grado e non si confronta con le motivazioni esaurientemente addotte dalla Corte d’Appello di Venezia sul terzo motivo di appello, che non sono riportate, difettando quindi il requisito dell’autosufficienza.

In particolare, la Corte d ’ Appello di Venezia in risposta al terzo motivo di appello ha spiegato:

– che il primo Giudice, a fronte della domanda degli attori di accertamento dell’intralcio frapposto dalla preesistente pianta posta all’angolo con la servitù di passaggio e di condanna dei convenuti alla sua rimozione, ha accolto la domanda di accertamento, ma implicitamente respinto la domanda di condanna dei convenuti alla rimozione applicando l’art. 1069 comma 2° cod. civ.,

– che pone le opere da eseguire sul fondo servente per poter esercitare la servitù a carico del proprietario del fondo dominante;

– che il primo Giudice si è limitato ad autorizzare gli attori a provvedere a proprie spese alla rimozione di tale pianta, come previsto da quella disposizione;

– che, in ordine alla domanda di rimozione della baracca in legno e lamiera, trattandosi di opera sopravvenuta alla servitù di passaggio realizzata dai proprietari del fondo servente e costituente anch’essa un intralcio alla servitù convenzionale, la domanda di condanna alla rimozione da parte dei convenuti (rientrante in quella di rimozione degli ostacoli all’esercizio della servitù in questione) è invece stata accolta ai sensi dell’art. 1067 comma 2° cod. civ.;

– che i ricorrenti non hanno rivolto le loro censure contro tale articolata motivazione, che ha spiegato che per la pianta vi è stata una pronuncia di mero accertamento più ridotta di quella di condanna alla rimozione che era stata richiesta dagli attori, e non un’ultrapetizione.

Neppure può ravvisarsi un’ultrapetizione per quanto riguarda il tracciato della servitù di passaggio, che è stato materializzato sul posto dal CTU geom. (omissis), in conformità a quanto indicato nell’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 5826, che espressamente prevedeva che la striscia della larghezza di metri cinque destinata a passaggio con ogni mezzo sulla particella n. 389 del foglio 62 del NCT del Comune di (omissis) fosse ubicata nel punto in cui la lunghezza di tale particella era più breve (20 metri), per consentire di arrivare dalle particelle 899 e 898 degli attori attraverso la particella 475 alla strada statale della (omissis), e quindi non nel diverso punto tardivamente indicato nella memoria istruttoria di primo grado dai convenuti attuali ricorrenti, ossia in corrispondenza di un sottofondo non visibile di detriti edilizi che dall’ingresso di un’autorimessa già di (omissis) (omissis) da tempo non più utilizzata arrivava in soli 20 metri circa direttamente alla via (omissis) senza passare sulla particella 475.

Col quarto motivo i ricorrenti lamentano in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione ed errata interpretazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1362 cod. civ. da parte del Tribunale di Bassano del Grappa, che non avrebbe ricostruito la comune intenzione delle parti adagiandosi su un’interpretazione letterale dell’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 5826, e non avrebbe ammesso le prove testimoniali articolate dagli attuali ricorrenti nella memoria istruttoria e riproposte nei fogli di precisazione delle conclusioni allegati al verbale di udienza, errore condiviso dalla sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che l’ha confermata.

Come i precedenti, pure il quarto motivo è inammissibile, perché punta a censurare la sentenza di primo grado e non si confronta con le motivazioni esaurientemente addotte dalla Corte d’Appello di Venezia, che non sono riportate, difettando quindi il requisito dell’autosufficienza.

La Corte d’Appello di Venezia, infatti, alle pagine 10 e 11 della sentenza impugnata ha spiegato che l’individuazione dei confini reali era necessaria per verificare l’esatto andamento della servitù convenzionale, visto che la stessa individuava il fondo servente, cioè il fondo all’interno del quale doveva ricadere, e che tale individuazione è avvenuta da parte del CTU d’intesa coi CTP sulla base dello stato dei luoghi, senza che gli originari convenuti sollevassero contestazioni sul tracciato individuato dal CTU secondo le precise indicazioni e nell’ambito delle particelle indicate nell’atto del notaio (omissis) (omissis) del 23.3.1989, rep. n. 5826; che gli stessi convenuti dopo il deposito della CTU hanno chiesto il rinvio per la precisazione delle conclusioni, implicitamente rinunciando all’ammissione della prova testimoniale che avevano articolato nella memoria istruttoria, e nel foglio delle conclusioni, dopo avere provocato il rinvio per tale incombente, hanno richiamato le richieste di prova testimoniale della memoria istruttoria senza indicare la ragione di tale ripensamento.

Va aggiunto che in tale memoria gli attuali ricorrenti avevano per la prima volta tardivamente ipotizzato un diverso percorso della servitù di passaggio sulla particella n. 389 del foglio 62 del NCT del Comune di (omissis), che in realtà arrivava direttamente alla via (omissis) in soli 20 metri dall’asserito box auto in disuso delle particelle degli attori senza attraversare la particella 475, come espressamente indicato nell’atto del notaio (omissis) del 23.3.1989, che invece richiedeva che la striscia della larghezza di cinque metri destinata a passaggio sulla particella 389 fosse ubicata nel punto in cui quest’ultima aveva la minor lunghezza di metri 20, per cui trattandosi di accertare l’ubicazione della servitù convenzionalmente costituita per atto pubblico non si potevano certo assumere prove testimoniali articolate su un diverso percorso tardivamente allegato non previsto dal titolo convenzionale, né si poteva invocare il principio del soddisfacimento del fondo dominante col minor aggravio per quello servente stabilito dall’art. 1065 cod. civ., essendo chiaramente indicato il percorso della servitù in questione nell’atto di costituzione ed essendo stato esso tracciato sul posto dal CTU incaricato con l’assenso dei CTP.

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1- quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per spese vive ed € 3.500,00 per compensi, oltre IVA, C.A. e rimborso spese generali del 15%.

Dà atto che sussistono i presupposti per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.7.2023.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.