Nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera, é tenuto al risarcimento dei danni (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 2 dicembre 2022, n. 35520).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n.7885/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) CLAUDIO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA (OMISSIS) 78, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) FEDERICO, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) ANTONINO

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) EDOARDO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (OMISSIS) (OMISSIS), 30, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) PAOLO che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) MASSIMILIANO, (OMISSIS) ENRICO

-controricorrente e ricorrente incidentale-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 255/2016 depositata il 07/03/2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/11/2022 dal Consigliere dr. MAURO MOCCI.

FATTI DI CAUSA

Claudio (OMISSIS), titolare dell’omonima impresa edile, conveniva Edoardo (OMISSIS) avanti il Tribunale di Chiavari, esponendo di aver ottenuto da controparte – nel 2001 – un primo appalto per la ristrutturazione di un immobile di Cogorno. Portate a termine tali opere (per le quali era stato integralmente pagato), il (OMISSIS) gli aveva conferito altro incarico, per l’esecuzione di ulteriori lavori sullo stesso immobile, alla cui conclusione lo stesso (OMISSIS) aveva presentato il conteggio finale, rimanendo creditore di € 248.790,68.

Il committente aveva accettato l’opera, trasferendosi ivi con la famiglia nell’ottobre 2003, ma solo nel maggio 2005 – a seguito dei continui solleciti per il pagamento del dovuto – aveva denunciato vizi e difetti dell’opera tardivamente.

Pertanto, l’attore domandava la condanna avversaria al pagamento dell’importo di cui sopra o di una somma diversa.

Ritualmente costituitosi, Edoardo (OMISSIS) sosteneva di aver pagato l’importo di € 90.000, eccepiva l’esistenza di vizi e difetti e concludeva per la declaratoria di risoluzione del contratto di appalto, ex art. 1453 c.c.

In esito all’istruzione probatoria, con sentenza del 5 novembre 2011, il Tribunale respingeva le domande attrici, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore.

La predetta decisione era gravata dal (OMISSIS), con sei motivi di impugnazione.

L’appellato resisteva, svolgendo a sua volta due motivi di appello incidentale, il secondo dei quali condizionato.

Con sentenza n. 255 del 7 marzo 2016 la Corte d’appello di Genova confermava la pronunzia di primo grado.

Sosteneva all’uopo che non vi sarebbe stato alcun errore nella determinazione del corrispettivo riferito dal C.T.U. all’epoca dell’affidamento dei lavori anziché al momento della consegna, che il prezziario utilizzato sarebbe stato proprio quello richiesto dal (OMISSIS), che l’integrazione della consulenza sarebbe stata esaustiva e che l’accordata domanda di risoluzione avrebbe fatto capo all’art. 1453 c.c., regolando in tal modo anche i termini di prescrizione della stessa.

Quanto all’appello incidentale, reputava inammissibile la domanda di risarcimento del danno, per intervenuta decadenza.

Claudio (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di otto motivi.

Ha depositato controricorso il (OMISSIS), svolgendo un motivo di ricorso incidentale.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento di quello incidentale.

In prossimità dell’udienza pubblica, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente principale assume la violazione degli artt. 2697 e 2726 c.c.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente stravolto i principi in tema di onere della prova, pretendendo che, nel caso di pagamento parziale, onerato della prova del fatto estintivo dovesse essere l’attore.

Il motivo è fondato.

1.1) La Corte d’appello ha affermato: “all’udienza fissata per il tentativo di conciliazione delle parti il (OMISSIS) rilevò di avere corrisposto la somma di € 90.000 al (OMISSIS) con denaro della società specificando di avere pagato euro 60.000 con assegni ed euro 30.000 in contanti.

Il (OMISSIS), personalmente presente, non contestò il pagamento dei lavori per cui è causa mediante denaro della società (OMISSIS) s.r.l., ma si limitò a negare di avere percepito somme di denaro in contanti.

La giurisprudenza sul punto afferma che “Quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee ad estinguere il debito per il quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore – attore, che pretende di imputare il pagamento ad estinzione di altro credito, provare le condizioni necessarie per la dedotta, diversa, imputazione, ai sensi dell’art. 1193 cod. civ.” (Cass. n. 17102 del 2006)”.

In tal modo, la Corte distrettuale non si è avveduta, da un lato, che le affermazioni del (OMISSIS) erano state riferite in un contesto (quello del tentativo di conciliazione) di per sé non sufficiente a determinare l’inversione dell’onere della prova e che, dall’altro, avendo l’appellante negato quanto meno di aver percepito somme in contanti, in mancanza di ulteriori elementi, la dimostrazione dell’esatto adempimento era sostanzialmente insussistente.

1.2) In ogni caso, il principio – per cui, nell’ipotesi di pagamento mediante una somma di denaro idonea all’estinzione del debito, spetta al creditore, che sostenga una diversa imputazione, allegare e provare l’esistenza del debito diverso, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta differente imputazione – non si applica allorché il debitore eccepisca l’estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell’emissione di un assegno che, per sua natura, ingenera una presunzione circa l’esistenza di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, il cui superamento grava sul debitore medesimo, che deve dimostrare il collegamento tra il debito azionato e quello cartolare, con conseguente estinzione del primo per effetto della dazione dell’assegno (Sez. 6-2, n. 15708 del 4 giugno 2021; Sez. 6-1, n. 26275 del 6 novembre 2017).

1.3) E’ stato altresì affermato che, in tema di appalto, il pagamento dell’opera non può, in difetto dei necessari chiarimenti circa la misura dei singoli titoli di credito ed il loro incasso effettivo da parte del creditore, ritenersi comprovato sulla base dell’affermata produzione di una serie di assegni emessi dal committente in favore dell’appaltatore, trattandosi di circostanza che, nella sua assoluta genericità, risulta del tutto inidonea tanto ad assurgere a prova di qualsivoglia pagamento, quanto, e a “fortiori”, ad innestare sull’appaltatore l’onere di provare una diversa imputazione dei titoli stessi (Sez. 2, n. 21908 del 30 agosto 2019).

2) Attraverso la seconda censura, proposta anch’essa ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il (OMISSIS) deduce la errata applicazione dell’art. 1453 c.c., nonché l’omessa applicazione dell’art. 1668 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., lamentando che i giudici di secondo grado, una volta accertato che l’opera era stata consegnata, accettata ed utilizzata dal convenuto, avrebbero dovuto applicare la disciplina dell’appalto ed, al fine di accogliere la risoluzione, dichiarare che il manufatto era inidoneo allo scopo, inadatto alla destinazione sua propria ed a fornire una normale utilità.

Il motivo è immeritevole di accoglimento.

2.1) Come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, la C.T.U. a suo tempo disposta era stata ammessa anche per determinare “l’entità dei lavori necessari per il completamento dell’opera appaltata dal sig. (OMISSIS) al Sig. (OMISSIS) con il secondo contratto di appalto”, senza che l’attore muovesse contestazioni.

In esito all’elaborato tecnico, “il Tribunale riconosceva la fondatezza della domanda di risoluzione del contratto, ex art. 1453 c.c., in forza del mancato completamento dei lavori sopra evidenziati”.

2.2) Alla stregua del suddetto presupposto, la decisione della Corte d’Appello appare del tutto conforme ai principi enunciati da questa Corte, per i quali, in tema di contratto d’appalto, le disposizioni specifiche previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c., applicabili nel caso di opera completa ma affetta da vizi o difformità, integrano e non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, applicabili, questi ultimi, quando non ricorrono i presupposti delle norme speciali.

Rimangono perciò applicabili i principi riguardanti la responsabilità dell’appaltatore secondo gli artt. 1453 e 1455 c.c. nel caso in cui l’opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o l’appaltatore abbia realizzato l’opera con ritardo o, pur avendo eseguito l’opera, si rifiuti di consegnarla (Sez. 1, n. 4511 del 14 febbraio 2019; Sez. 3, n. 9198 del 13 aprile 2018; Sez. 2, n. 1186 del 22 gennaio 2015).

3) Con il terzo mezzo di impugnazione, il ricorrente denuncia omessa applicazione dell’art. 1455 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado ritenuto di risolvere il contratto, sulla base del mancato completamento di alcune opere del tutto marginali e, dunque, senza chiarire il livello di rilevanza di tale inadempimento rispetto al complessivo oggetto dell’appalto.

Il motivo è infondato.

3.1) L’obbligo del giudice di merito di accertare il presupposto dell’importanza dell’inadempimento, richiesto dall’art. 1455 cod. civ., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato, anche in difetto di un’espressa indagine diretta all’individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull’equilibrio contrattuale (Sez. 2, n. 17328 del 17 agosto 2011; Sez. 3, n. 1227 del 23 gennaio 2006).

Nel caso di specie, la valutazione della non scarsa rilevanza dell’inadempimento attribuito al (OMISSIS) emerge implicitamente dall’entità delle opere ritenute non realizzate dall’appaltatore (pari ad € 113.534,28, in base alla consulenza tecnica), rispetto al valore pacifico dell’appalto.

Si tratta di un apprezzamento che costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (Sez. 6-2, n. 12182 del 22 giugno 2020).

4) La quarta lagnanza è volta a denunciare errata applicazione dell’art. 1453 c.c e violazione dell’art. 1668 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.

La Corte di merito avrebbe dovuto, in ogni caso, accogliere la domanda attrice e condannare il convenuto al pagamento delle opere, accertate come eseguite e valutate dal C.T.U., e dal committente utilizzate ed incorporate nell’immobile di sua proprietà.

Il motivo è inammissibile.

4.1) La risoluzione del contratto pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1458 cod. civ., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Sez. 3, n. 2075 del 29 gennaio 2013).

Nel caso di specie, la relativa domanda risulta formulata inammissibilmente per la prima volta nella presente sede di legittimità.

5) La quinta censura attiene alla omessa applicazione dell’art. 1667 c.c. ed all’erronea applicazione dell’art. 1453 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.

La sentenza di secondo grado avrebbe accolto una domanda di riduzione del prezzo mai proposta o comunque una domanda di risarcimento del danno, però condizionata alla sussistenza di danni non eliminabili attraverso la sistemazione delle difformità o la riduzione del prezzo e soprattutto preclusa dall’intervenuta decadenza ex art. 1667 c.c., pronunziata dalla stessa Corte d’appello.

14) Il motivo è infondato.

Una volta applicata la disciplina di cui all’art. 1453 c.c., correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che il termine di prescrizione dell’azione corrispondesse a quello ordinario e non al regime di decadenza e prescrizione breve di cui all’art. 1667 co d. civ. (Sez. 2, n. 13431 dell’8 giugno 2007).

6) Il sesto rilievo riguarda l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. costituito dalla circostanza della ricomprensione, o no, delle opere di completamento del valore di € 113.534,28 in quelle di cui il (OMISSIS) aveva chiesto il pagamento.

7) Con la settima doglianza, il ricorrente stigmatizza la violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché la sentenza impugnata, in relazione alle opere direttamente eseguite dal committente, avrebbe trascurato di considerare che tali opere non sarebbero mai state appaltate al (OMISSIS) e che avrebbero dovuto essere effettuati da ditte terze.

8) L’ultimo motivo è volto a contestare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per essere la motivazione della sentenza impugnata carente sul punto dell’accertamento – nell’ambito delle opere appaltate al ricorrente – dei lavori non eseguiti.

9) I suddetti motivi devono essere scrutinati congiuntamente per identità di materia trattata, giacché il ricorrente censura –sotto tre profili diversi – la circostanza che i giudici di merito gli avrebbero addebitato l’importo delle opere di completamento dell’immobile, pari ad € 113.534,28, senza che facessero parte degli accordi contrattuali e senza che ne fosse stato precisato il contenuto.

Le predette censure sono infondate.

9.1) Per un verso, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U, n. 20867 del 30 settembre 2020; Sez. 5, n. 16016 del 9 giugno 2021).

9.2) Per altro verso, la sentenza impugnata ha osservato: “Per quanto riguarda la doglianza concernente la detrazione del corrispettivo spettante all’appaltatore dell’importo di € 113.534,28 per opere lasciate incompiute dal (OMISSIS), la Corte osserva che tale cifra è relativa ad opere realizzate dal committente e che erano state in precedenza appaltate al (OMISSIS), che non le aveva però realizzate”.

Il giudice di secondo grado ha tratto tale convinzione dalla CTU disposta dal Tribunale, aggiungendo che l’allora appellante sia sulla formulazione del quesito, sia sulle conclusioni dell’elaborato peritale, non aveva mosso contestazione alcuna.

Si tratta dunque di un accertamento di fatto, rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Va in proposito ricordato che, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi – che però non ricorre nella specie, come poc’anzi visto – in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Sez. 5, n. 11917 del 6 maggio 2021).

9.3) D’altronde, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. Un, n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).

Non è dunque sufficiente la carenza di motivazione su un punto specifico della vicenda (impugnabile piuttosto, ricorrendone le condizioni, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.), ma occorre che anche graficamente l’elaborato si presenti privo di apprezzabile congruenza logica.

10) Con l’unico motivo di ricorso incidentale, il (OMISSIS) lamenta omessa applicazione dell’art. 1453 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver i secondi giudici negato il risarcimento dei danni per i vizi e difetti sofferti a causa dell’opera.

In realtà, sostiene il ricorrente incidentale, con l’accoglimento della domanda ex art. 1453 c.c., la Corte d’appello avrebbe dovuto svincolare la domanda risarcitoria dalla normativa speciale sull’appalto.

Il motivo è fondato.

10.1) Nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 cod. civ., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata eseguita, ma presenti vizi, difformità o difetti (Sez. 2, n. 13983 del 24 novembre 2011).

Pertanto, alla stregua di tale principio, diventa applicabile, per il diritto al risarcimento dei danni fondato sulla generale responsabilità dell’appaltatore per inadempimento, il termine di prescrizione in generale previsto per l’esercizio di questo diritto, piuttosto che il termine di due anni risultante dall’art. 1667 c.c., mentre non sussiste alcun termine di decadenza (Sez. 3, n. 8103 del 6 aprile 2006).

In definitiva, vanno accolti il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale; la sentenza è cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà altresì in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo, il terzo, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo e dichiara inammissibile il quarto, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 3 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.