Nel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 6 febbraio 2020, n. 5097).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Fausto nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 15/01/2019 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Irene SCORDAMAGLIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Elisabetta CESQUI che ha concluso chiedendo l’inammissibilita del ricorso e richiesta del versamento di euro 3000,00 per la cassa delle ammende;

udito il difensore l’avv. VINCENZO (OMISSIS), per la parte civile, deposita conclusioni e nota spese alle quali si riporta.

L’Avv. ANTONELLO (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Fausto (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso del 15 gennaio 2019, di conferma della sentenza del Tribunale della stessa città del 20 aprile 2018, che l’aveva riconosciuto responsabile del delitto di diffamazione in danno di (OMISSIS) Luciano e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

2. L’atto di impugnazione è presentato, congiuntamente, dallo stesso imputato Fausto (OMISSIS), che sottoscrive in proprio il ricorso per cassazione, in quanto avvocato iscritto nell’apposito albo dei difensori abilitati al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori, e dal difensore nominato, Avvocato Antonello (OMISSIS), il quale ha espressamente dichiarato di: «far proprie solamente le parti dello scritto più tecniche e con carattere più grande ed evidente del presente ricorso per cassazione ed attinenti al solo ricorso per cassazione e non personali e di denuncia, espresse solamente dall’imputato-denunciante, collega avvocato».

In esso sono articolati quattro motivi, enunciati nei limiti indicati dall’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..

– Il primo motivo denuncia il vizio di plurime violazioni di legge sostanziale e processuale, ed in particolare degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., assumendosi che il delitto si sarebbe consumato in Francavilla al Mare e non in Ortona, atteso che nella prima località sarebbe stato redatto, stampato e spedito il ricorso per cassazione mediante il quale la diffamazione sarebbe stata realizzata; deduce altresì la violazione del diritto di difesa, essendo stato negato all’imputato di difendersi personalmente e all’uopo sollecita questa Corte a sollevare questione pregiudiziale per risolvere il ventilato contrasto con il diritto europeo.

– Il secondo motivo eccepisce plurime nullità, in ragione della mancata notifica all’imputato dell’atto di citazione a giudizio in appello e della mancata notifica dell’appello del Pubblico Ministero e della Parte civile.

– Il terzo motivo denuncia la mancata assunzione di prove decisive, non essendo rimasto provato che il reato di fosse consumato in Ortona, tanto riverberandosi sul radicamento della competenza funzionale ex art. 11 nel Tribunale di Campobasso.

– Il quarto motivo denuncia il vizio di motivazione:

1) per essere stato l’imputato condannato per il delitto di diffamazione, ancorché questo fosse integrato dagli stessi fatti, contestatigli ai sensi dell’art. 368 cod.pen., e dai quali era stato assolto perché ritenuti non costituenti il delitto di calunnia;

2) per avere egli agito nell’esercizio del diritto di critica;

3) per essere stata esclusa nei suoi confronti la causa di non punibilità ex art. 598 cod.pen.;

4) per essere stata apoditticamente negata la richiesta di più mite determinazione del trattamento sanzionatorio;

5) per non essere stato rivisto il quantum delle spese liquidate in favore della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Va preliminarmente rilevato che il ricorso è inammissibile nella parte in cui deduce argomentazioni riconducibili esclusivamente all’imputato, in quanto difensore di sé stesso.

Va, infatti, ribadito il principio di diritto secondo il quale nel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa, difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi (Sez. 6 -, n. 46021 del 19/09/2018, Antonucci Fausto, Rv. 274281; Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072).

In particolare, va ripetuta la regula iuris secondo la quale:« In tema di ricorso per cassazione, è sempre necessaria la rappresentanza tecnica da parte di difensore abilitato, anche se ricorrente è un avvocato cassazionista, dovendosi escludere l’autodifesa tecnica e la difesa personale dell’interessato (Sez. 3, n. 19964 del 29/03/2007, Stara, Rv. 236734).

Devesi, altresì, dare seguito all’orientamento interpretativo, mai messo in discussione, secondo il quale:« La normativa interna, che esclude la difesa personale della parte nel processo penale e nei procedimenti incidentali che accedono allo stesso, non si pone in contrasto con l’art. 6, paragrafo terzo, lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede la possibilità di autodifesa, in quanto il diritto all’autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia» (Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Stara, Rv. 239237).

Ciò esclude il genericamente evocato contrasto della disciplina interna con il diritto europeo.

2. Il ricorso, anche nella parte riferibile all’Avvocato (OMISSIS), è tuttavia inammissibile.

2.1. Esso, infatti, è redatto attraverso un inestricabile richiamo ad emergenze fattuali ed a questioni eterogenee, più volte ripetute, in assenza di qualsivoglia filo logico idoneo a conferire ai formulati rilievi la parvenza, formale e sostanziale, dei motivi di impugnazione.

In tale coacervo di doglianze, caratterizzato da un’assoluta, obiettiva, mancanza di chiarezza, si valorizzano, invero, fatti assolutamente non decisivi

– tra questi l’asserita consumazione del delitto di diffamazione in Francavilla al Mare, piuttosto che in Ortona, ai fini del radicamento della competenza funzionale, ai sensi dell’art. 11 cod.proc.pen. (trattandosi di località entrambe situate nel distretto di Corte di appello di L’Aquila), ovvero la mancata notifica degli appelli del Pubblico Ministero e della parte civile all’imputato (essendoci, quantomeno, carenza di interesse a far valere ogni eventuale invalidità, essendo stati i detti atti di impugnazione dichiarati inammissibili);

– eccezioni di nullità della sentenza di appello del tutto insussistenti – in primis quella riguardante la mancata notifica all’imputato personalmente dell’avviso di fissazione dell’udienza per il corrispondente giudizio, emergendo dagli atti processuali, di contro, che il detto avviso era stato notificato, a mezzo del servizio postale all’imputato (OMISSIS) presso il domicilio eletto, alla Via (OMISSIS)  x di Filetto, mediante raccomandata (n. 786(OMISSIS)) non potuta recapitare per assenza del destinatario, cui aveva fatto seguito il deposito della stessa – comunicato al destinatario tramite spedizione di ulteriore raccomandata (CAN) n. 666(OMISSIS) – presso l’ufficio postale, dal quale non era stato ritirato entro il termine;

– questioni in fatto ed in diritto acriticamente riproposte, senza alcun elemento di novità e in assenza, quindi, di un effettivo confronto con il tenore delle argomentazioni rassegnate dalla Corte di appello, che ha respinto le identiche ragioni di gravame in maniera giuridicamente corretta e logicamente ineccepibile;

– rapporti tra gli artt. 368 e 595 cod.pen.; esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 598 cod.pen.; rideterminazione del trattamento sanzionatorio; rilievi sul quantum delle spese di giudizio da rifondere alla parte civile costituita – ovvero, ancora, temi devoluti per la prima volta nel giudizio di legittimità fuori dalle ipotesi di cui all’art. 609 comma 2, cod.proc.pen. – questione relativa all’esercizio del diritto di critica -.

2.2. Si tratta di un modello di ricorso inammissibile.

La Corte di cassazione ha chiarito come sia inammissibile un ricorso che violi l’ineludibile esigenza di un ordinato inquadramento delle ragioni di censura nell’ambito dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, Hussien, Rv. 259063).

Ha, in particolare, colpito con lo stigma dell’inammissibilità, il ricorso che, nel reiterare identiche doglianze seppure con sfumature diverse e nel sottoporre al giudice della impugnazione argomenti all’evidenza ridondanti, disattende il disposto dell’art. 581 lett. c), cod.proc.pen., laddove prescrive l’enunciazione dei motivi “con indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta”.

La eccessiva frammentazione del ragionamento sotteso al ricorso, la moltiplicazione di rivoli argomentativi, la sovrapposizione indistinta di fatti e di piani di indagine se, come nel caso di specie, rendono difficoltosa l’individuazione delle questioni sottoposte al vaglio dell’organo della impugnazione, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (Sez. 6. N. 10539 del 10/02/2017, Lorusso, Rv. 269379).

2.3. Ne viene che il ricorso in esame, per come strutturato, esula dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generalizzata critica difettiva ed inadeguata, che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure (Sez. 6, n. 10250 del 11/10/2017 – dep. 06/03/2018, Valle, Rv. 272725).

3. S’impone, pertanto, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 4.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 3.200,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 4.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.