Nessun reato per chi offende nella chat video o vocale di gruppo. Il reato di ingiuria è stato depenalizzato (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 31 marzo 2020, n. 10905).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente –

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –

Dott. RICCARDI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –

Dott. SESSA Renata – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SALA Federico, nato il xx/xx/xxxx a OMISSIS;

avverso la sentenza del 28/03/2019 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe RICCARDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 28/03/2019 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza del 31/10/2016, che aveva condannato Sala Federico alla pena di C 600,00 di multa per il reato di cui all’art. 595 cod. pen., per avere offeso Sala Matteo, pubblicando commenti e giudizi lesivi della sua reputazione su facebook, comunicando con video chat, con modalità accessibili ad un numero indeterminato di persone.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Sala Federico, Avv. Paolo Antonio Muzzi, deducendo due motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 595 cod. pen., per avere ritenuto sussistente il reato di diffamazione, anziché la fattispecie di ingiuria: deduce che gli insulti sono stati rivolti attraverso una chat vocale sulla piattaforma “Google Hangouts”, diversa dalle altre piattaforme chat digitali, che sono ‘leggibili’ anche da più persone; in tal caso, il destinatario dei messaggi era solo la persona offesa e la video chat aveva carattere temporaneo, sicché non verrebbe in rilievo il precedente di Sez. 5, n. 7904/2019, che riguardava una chat scritta (Whatsapp) in cui il messaggio offensivo può essere visionato anche da altri utenti; nel caso in esame, la chat aveva natura di conversazione vocale, e non rileverebbe che all’ascolto vi fossero altri utenti.

2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla valorizzazione della presenza di terzi ascoltatori: i due testi De Mattia e Trudu non hanno partecipato alla conversazione in diretta, ma hanno dichiarato di avere visto il video della chat tramite youtube, condotta per la quale l’imputato è stato assolto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. E’, invero, stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall’imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, ed alla presenza, altresì, di altre persone ‘invitate’ nella chat vocale.

Ciò posto, va rammentato che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502).

3. Ne consegue che il fatto, come accertato dalla sentenza impugnata, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell’art. 594, u.c., c.p., che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. C), d.lgs. 15.1.2016 n. 7, è stato depenalizzato.

4. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, perché il fatto, così riqualificato, non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché, qualificato il fatto ai sensi dell’art. 594, ultimo comma, c.p., lo stesso non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma il 25/02/2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.