Nessuna responsabilità delle Poste Italiane se l’avvocato riceve in ritardo una raccomandata (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 1 luglio 2021, n. 18713).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14959-2019 proposto da:

(OMISSIS) ROSANNA, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa da sé medesima;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE (OMISSIS) 190, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STELLARIO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 640/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. L’avv. Rosanna (OMISSIS) convenne in giudizio la s.p.a. Poste italiane, davanti al Tribunale di Cosenza, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lei subiti a causa del ritardo col quale era stata consegnata una lettera raccomandata da lei spedita.

Espose, a sostegno della domanda, che la raccomandata conteneva l’atto di costituzione di parte civile nel processo penale contro Calisto Tanzi per il c.d. crac della società Parmalat; ed aggiunse che il ritardo nella consegna le aveva causato l’impossibilità di costituirsi parte civile, con conseguente danno determinato in curo 20.195,07, pari al valore delle azioni Parmalat da lei possedute.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò la società convenuta al pagamento della somma così come richiesta, con il carico delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla s.p.a. Poste italiane e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 27 marzo 2019, ha accolto il gravame e, in totale riforma della decisione impugnata, ha rigettato la domanda dell’avv. (OMISSIS), condannandola alla restituzione delle somme ricevute ed alla rifusione della metà delle spese dei due gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che la danneggiata non aveva prodotto la sentenza di condanna irrevocabile pronunciata nel c.d. processo Parmalat, che avrebbe potuto corroborare, in via presuntiva, la richiesta risarcitoria.

La sentenza del Tribunale appariva criticabile perché non aveva tenuto in considerazione che il semplice fatto di costituirsi parte civile nel processo penale non avrebbe condotto di per sé all’accoglimento della domanda risarcitoria.

Doveva poi essere considerato che la mancata costituzione di parte civile nel processo penale non aveva impedito alla parte danneggiata di agire in sede civile, via che quest’ultima non risultava avesse voluto percorrere.

In ordine alla liquidazione delle spese, la Corte d’appello ha ritenuto di doverle in parte compensare a causa dell’inadempimento derivante dal grave ritardo col quale la raccomandata era stata consegnata.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre l’avv. Rosanna (OMISSIS) con atto affidato a quattro motivi.

4. Resiste la s.p.a. Poste italiane con controricorso.

5. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare un fatto fondamentale, e cioè l’esistenza del danno reale costituito dal valore residuo delle azioni Parmalat e dalle conseguenze della mancata costituzione di parte civile.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando l’omessa valutazione dell’istanza risarcitoria rivolta alla società Poste italiane ed il ricorso presentato al Corecom; tali documenti avrebbero dovuto condurre la Corte d’appello ad accordare almeno il danno stabilito dalle carte di qualità dei servizi postali.

Ciò in considerazione del fatto che il codice delle comunicazioni elettroniche ha stabilito la natura contrattuale del rapporto tra Poste e utenti.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione di norme di diritto, conseguente al riconoscimento, da parte della Corte d’appello, dell’esistenza di un inadempimento della società Poste italiane senza la liquidazione di alcuna somma a titolo di risarcimento.

Nella specie, il danno era costituito dalla perdita di chance derivante dall’impossibilità di costituirsi parte civile nel processo penale, in conformità ad alcune pronunce di legittimità con le quali sono stati risarciti danni derivanti da colpevole ritardo nella consegna della posta.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., insufficiente ed erronea motivazione in merito al mancato ricorso a presunzioni semplici.

Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare il risarcimento, tanto più che la proposizione dell’azione in sede civile avrebbe implicato difficoltà molto maggiori per la parte rispetto alla costituzione di parte civile in un processo penale dove c’era una pluralità di soggetti danneggiati (class action).

5. I motivi di ricorso, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, con le necessarie specificazioni. Essi sono in parte inammissibili e in parte privi di fondamento.

5.1. La censura omissiva di cui al primo motivo è infondata.

La sentenza impugnata, infatti, non ha omesso di considerare il danno asseritamente patito, ma ha semplicemente escluso che tale danno esistesse; senza contare che il danno non è un fatto che possa essere considerato o omesso, quanto invece ciò che la parte attrice avrebbe dovuto provare.

5.2. Più complessa la questione posta dal secondo motivo.

La censura, ad avviso della Corte, non è del tutto chiara; se con essa si intendono evidenziare le modifiche legislative in tema di responsabilità del gestore del servizio postale, ciò non costituisce propriamente una censura.

Quello che sembra potersi ipotizzare è che l’odierna ricorrente lamenti il mancato riconoscimento del suo diritto al risarcimento del danno come stabilito in base alla carta dei servizi postali.

Senonché la doglianza, se è posta in questi termini, risulta inammissibile per varie ragioni.

Da un lato, perché i documenti che la Corte di merito non avrebbe tenuto in considerazione sono soltanto genericamente richiamati; e poi perché né dal ricorso né dal contenuto della sentenza (che riporta anche le conclusioni delle parti) emerge che tale domanda sia stata chiaramente posta al giudice di merito.

L’avv. (OMISSIS), infatti, aveva chiesto al Tribunale il risarcimento del danno nella misura pari alla svalutazione dei titoli Parmalat (domanda accolta); ma, proposto appello dalla società Poste Italiane, non risulta che l’appellata abbia avanzato domanda, anche in forma di appello incidentale condizionato, per il risarcimento del danno come determinato dalla carta della qualità del servizio postale.

Ne consegue che il secondo motivo di appello è inammissibile.

5.3. Il terzo motivo non è fondato.

Il corretto richiamo che la ricorrente fa ad alcune pronunce di questa Corte in tema di danno da ritardo nella consegna della posta e di danno da perdita di chance non si adattano al caso di specie.

La sentenza impugnata, infatti, oltre a mettere in evidenza il fatto che il semplice atto di costituzione di parte civile non comporta di per sé l’accoglimento della domanda, ha correttamente aggiunto che nessuna preclusione sussisteva, in capo alla danneggiata, alla possibilità di promuovere l’azione in sede civile.

Quest’ultima argomentazione, in particolare, non è stata validamente contestata dalla ricorrente, perché l’affermazione (specificamente contenuta nel quarto motivo) secondo cui la costituzione di parte civile in sede penale costituiva una sorta di class action non è decisiva.

La maggiore o minore difficoltà di chiedere il risarcimento nell’una o nell’altra sede può, al massimo, costituire un inconveniente di fatto, ma non si traduce nella lesione di alcun diritto. Correttamente, quindi, la sentenza ha rigettato la domanda risarcitoria ed ha escluso l’esistenza di un diritto al risarcimento per perdita di chance.

5.4. Resta assorbito, alla luce delle precedenti argomentazioni, il quarto motivo di ricorso; il quale, sia detto ad abundantiam, si risolve anche nell’evidente sollecitazione ad un riesame del merito. 6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

6. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositata in Cancelleria il 1° luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.