LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
dott. Enrico MANZON Presidente
dott. Giovanni LA ROCCA Consigliere
dott. Lunella CARADONNA Consigliere
dott. Tania HMELAK Consigliere
dott. Francesco FEDERICI Consigliere rel.
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso n. 7053-2020, proposto da:
(omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis)”, (omissis) in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in (omissis)
Ricorrente
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, cf (omissis) in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 5060/24/2018 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 21.11.2018;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 30 maggio 2023 dal Consigliere dott. Francesco Federici,
Rilevato che
Alla associazione ricorrente furono notificati gli avvisi d’accertamento con cui, relativamente all’anno d’imposta 2010, l’Agenzia delle entrate rideterminò gli imponibili ai fini Ires, Irap ed Iva, determinò le omesse ritenute a titolo di sostituto d’imposta, e, con ulteriore atto di contestazione, applicò le sanzioni.
Gli atti impositivi erano seguiti alla verifica e al processo verbale di constatazione, con cui era stata contestata la natura associativa non commerciale dell’ente, prevista dall’art. 148 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 -con conseguente esclusione delle agevolazioni fiscali e ricalcolo degli elementi attivi e passivi-.
L’ente impugnò gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como, che con sentenza 124/05/2016 rigettò il ricorso. L’appello introdotto dalla soccombente fu rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 5060/24/2018, ora al vaglio della Corte.
Il giudice regionale, al pari di quello provinciale, ha riconosciuto l’indebita collocazione dell’associazione tra gli enti non commerciali, volta a beneficiare del trattamento fiscale agevolato previsto dalla disciplina dettata dalla l. n. 398 del 1991 e dalla l. n. 289 del 2002.
A tal fine ha rilevato che dagli esiti dell’accertamento era emerso che l’attività svolta non risultava conforme alle disposizioni di legge, elencando dettagliatamente le carenze e le irregolarità della struttura, della posizione degli associati, della natura dell’attività concretamente svolta dall’associazione, della regolarità della tenuta delle scritture contabili, che nel complesso evidenziavano inequivoci aspetti di natura commerciale.
L’ente ha censurato la sentenza con un unico motivo, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso, sostenendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
Nell’adunanza camerale del 30 maggio 2023 la causa è stata discussa e decisa.
La ricorrente ha depositato ritualmente memoria illustrativa, a sostegno della tempestività del proprio ricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché 36 e 61 del d.lgs. 22 dicembre 1992, n. 546 e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per l’apparenza della motivazione della sentenza e la sua conseguente nullità.
La ricorrente si duole del mancato esame dei motivi critici, sviluppati con l’atto d’appello avverso la pronuncia di primo grado, cui il giudice regionale non ha dato risposta, semplicemente disattendendo le ragioni dell’impugnazione.
Premessa la tempestività del ricorso, il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758).
In sede di gravame deve escludersi l’apparenza della decisione motivata per relationem, quando il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima in modo sintetico le ragioni della conferma delle statuizioni impugnate, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto.
Altrettanto dicasi quando il rinvio alla motivazione della sentenza impugnata sia operato, assicurando il controllo del procedimento logico seguito nella pronuncia, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata.
È invece riconosciuta l’apparenza quando nella sentenza il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado, senza che in alcun modo emerga che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105).
La motivazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, 20921).
È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).
L’apparenza della motivazione, incidendo sul contenuto della sentenza, la inficia, determinandone la nullità.
Nel caso di specie nessuna delle ipotesi generalmente riconducibili al vizio processuale invocato trovano riscontro nella decisione della commissione regionale lombarda.
Il giudice d’appello ha dettagliatamente riportato le ragioni addotte da ciascuna delle parti nei rispettivi atti difensivi, ha evidenziato che con l’atto d’impugnazione le questioni sono state oggetto di ulteriori approfondimenti, in diritto e nel merito. Passando quindi alla decisione, ha rilevato che l’ “ordinamento dell’Associazione” non fosse conforme alle regole evincibili dall’art. 148, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986, e, chiarendo le conclusioni anticipate, ha dettagliatamente spiegato le violazioni ed irregolarità rilevate: nessun associato o iscritto al libro soci risultava iscritto alla Libertas, federazione cui la ricorrente era formalmente iscritta; di contro gli unici tre nominativi indicati dalla ricorrente non erano presenti nel libro soci; non vi era traccia di partecipazione a gare e incontri sportivi, risultando altre le attività prevalenti; l’attività esercitata era riconducibile a quella tipica commerciale, di offerta ai frequentatori di prestazioni a pagamento; risultava irregolare anche la tenuta delle scritture contabili, né i maggiori costi esposti avevano riscontri; risultava corretto anche l’ammontare delle sanzioni.
La Commissione regionale ha dunque identificato, con esposizione concisa ma analitica, gli elementi da cui era evincibile l’attività prevalentemente commerciale dell’ente, e comunque l’assenza dei requisiti richiesti dalla disciplina positiva per fruire del regime fiscale agevolato.
Condivisibile o meno che sia dal punto di vista degli interessi difensivi della ricorrente, essa è corredata da una motivazione chiara, analitica, sufficiente, che esula pertanto da critiche riconducibili al vizio della apparente motivazione.
In realtà la difesa dell’ente tenta di sollecitare un riesame delle questioni, in fatto e in diritto, senza avvedersi che tale esame è riservato al giudice di merito e inibito in sede di legittimità.
Il ricorso va dunque rigettato.
All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese processuali, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate, che si liquidano in € 5.600,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 30 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2023.