REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –
Dott. ANNALISA DI PAOLOANTONIO – Consigliere –
Dott. IRENE TRICOMI – Consigliere –
Dott. ROBERTO BELLÉ – Rel. Consigliere –
Dott. ILEANA FEDELE – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3172/2017 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliato in Roma, Via (omissis) 33, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, UFFICIO TERRITORIALE DI (OMISSIS), ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE (OMISSIS) DI (OMISSIS) (OMISSIS);
-intimati-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 149/2016 depositata il 20/07/2016, NRG 161/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/05/2023 dal Consigliere dott. ROBERTO BELLÉ.
RILEVATO CHE
1. il processo riguarda due cause introdotte separatamente in primo e grado, poi riunite e trattate congiuntamente presso il Tribunale di Padova e quindi presso la Corte d’Appello di Venezia;
la prima causa aveva ad oggetto la corretta ricostruzione giuridica del rapporto di pubblico impiego intercorso tra (omissis) (omissis) e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (di seguito, MIUR), in ragione di divergenze nella ricostruzione dei servizi resi ed in particolare rispetto al la qualificazione in termini di aspettativa per motivi di famiglia di vari periodi per i quali il (omissis) assumeva di avere diritto all’aspettativa ai sensi dell’art. 32, co. 2, L. 49/1987, quale cooperante presso organizzazioni non governative, con ogni conseguenza anche ai fini del trattamento di quiescenza;
l’altra causa invece riguardava l’accertamento della non debenza di importi che la Direzione Territoriale dell’Economia e delle Finanze aveva rivendicato in restituzione con due note di addebito, in ragione del disconoscimento del servizio svolto in qualità di cooperante e degli effetti che da ciò derivavano sul rapporto di lavoro con il MIUR;
2. il Tribunale aveva ritenuto improcedibili le domande di accertamento negativo del debito restitutorio in quanto proposte contro il MIUR, mentre le note di addebito risalivano al Ministero dell’Economia e delle Finanze;
in altra parte, e con riferimento ai profili di rilievo pensionistico, il Tribunale riteneva il difetto di giurisdizione per riguardare la pretesa profili di pertinenza della Corte dei Conti;
3. la Corte d’Appello di Venezia riteneva errata la pronuncia di improcedibilità, in quanto la domanda di accertamento dell’infondatezza della pretesa restitutoria riguardava somme erogate dal MIUR, in capo al quale pertanto, sebbene le note di addebito fossero state formate dal Ministero dell’Economia, doveva ritenersi sussistente la legittimazione a contraddire;
analogamente, la Corte di merito superava la questione di giurisdizione, sul presupposto che non vi fossero domande di rideterminazione del trattamento pensionistico, ma solo di verifica, ad ogni fine, del corretto assetto della carriera del ricorrente;
la Corte territoriale, procedendo quindi alla disamina nel merito delle pretese azionate, le rigettava;
3.1 la sentenza di secondo grado muoveva dalla premessa secondo cui lo stesso appellante aveva riconosciuto che l’attività da lui svolta all’estero non rientrava nelle ipotesi di cui all’art. 17 L. 49/1987 (invio in missione all’estero), né poteva esservi l’equiparazione del servizio svolto nei paesi in via di sviluppo con quello svolto presso le rispettive amministrazioni di appartenenza, perché tale equiparazione, ai sensi dell’art. 23 L. 49/1987, valeva solo per le ipotesi di comando da parte di una P.A. (lettera a dell’art. 17 cit.), sicché la qualifica del (omissis) come “esperto”, evincibile da un nota del Ministero degli Affari Esteri del 16.9.2005, consentiva semmai di riportare il servizio svolto all’estero nell’ipotesi di cui all’art. 17 lett. b), riguardante personale “a contratto”, per la quale non vigeva la regola di equiparazione;
3.2 la Corte territoriale riteneva poi che l’attività svolta dal (omissis) come cooperante di organizzazioni non governative, ai sensi dell’art. 32 L. 49/1987, non dava diritto all’equiparazione “a tutti gli effetti” del servizio così svolto, in quanto il diritto al riconoscimento del servizio sancito dall’art. 32, co. 2-quater « ai sensi dell’art. 20», riguardando lavoro da ritenere autonomo, non consentiva se non di attribuire i diritti derivanti dai commi secondo e terzo di quest’ultima norma e dunque l’ottenimento di un attestato finale utile nei concorsi presso la P.A., mentre l’equiparazione «ad ogni effetto giuridico ….. in particolare per l’anzianità di servizio, per la progressione della carriera, per il trattamento di quiescenza e previdenza e per l’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio», poteva esservi solo rispetto ad «analoghe attività professionali di ruolo prestate nell’ambito nazionale», laddove il lavoro svolto dal (omissis) di agronomo capoprogetto sicuramente non poteva essere ritenuta analoga all’attività di docente di scuola di secondo grado;
3.3 infine, la Corte d’Appello evidenziava come il ricorrente non avesse comunque fornito elementi per dimostrare che le attività da lui svolte all’estero fossero riportabili all’ipotesi di cui all’art. 32 cit., in quanto i periodi che risultavano documentati in tal senso erano estranei e diversi rispetto a quelli riferiti ad aspettativa per motivi di famiglia nel decreto di ricostruzione della carriera di cui egli si doleva, dovendosi dunque escludere che fossero stati imputati in quest’ultimo senso periodi in cui il ricorrente aveva svolto attività ai sensi dell’art. 32;
4. (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo, mentre le controparti sono rimaste intimate;
il ricorrente ha anche depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
1. il motivo di ricorso è rubricato come violazione ed erronea applicazione delle norme di diritto con riferimento all’applicazione: A) dell’art. 32, co. 2, L. 49/1987 e B) degli artt. 17, 20, 21 e 23 L. 49/1987 vigenti ratione temporis;
1.1 dopo avere riepilogato i fatti e la disciplina coinvolta e ciò anche al fine di illustrare lo scopo, a fini retributivi e previdenziali, dell’azione dispiegata, il motivo incentra una prima censura sull’essersi ritenuta inapplicabile l’equiparazione ai sensi dell’art. 20, co. 4, L. 49/1987, sebbene essa riguardasse non solo i servizi esteri svolti in “missione” (art. 17 L. 49), ma anche quelli svolti presso le organizzazioni non governative (art. 32, co. 2-quater L. 49), con l’effetto, a parte le attestazioni efficaci a fini di concorsi presso la P.A., di far sì che le attività di servizio prestate siano «riconosciute ad ogni effetto giuridico equivalenti per intero ad analoghe attività professionali di ruolo prestate nell’ambito nazionale, in particolare per l’anzianità di servizio, per la progressione della carriera, per il trattamento di quiescenza e previdenza e per l’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio» (art. 20, co., 4, L. 49/1997, cui fa rinvio l’art. 32, co. 2-quater cit. , poi riproposto in modo analogo dall’art. 28, co. 5, L. 125/2014);
secondo il ricorrente, in sostanza, le attività da lui svolte nella cooperazione sarebbero state da ritenere “analoghe” a quelle svolte presso la P.A. interna, ai sensi e per gli effetti della appena citata normativa;
il ricorrente, presso il MIUR, svolgeva attività di docente di scuola di secondo grado, mentre la cooperazione, si dice nella sentenza impugnata, coinvolgeva il (omissis) come agronomo capoprogetto;
nel motivo di ricorso si fa riferimento al fatto che i titoli richiesti fosso i medesimi per le due professioni e si evidenzia come l’attività svolta nella cooperazione in altro non consiste se non nell’ «”insegnare” (o trasferire conoscenze ed abilità) a popolazioni di paesi più poveri per risollevarne lo stato»;
la tesi è ardita, in quanto svolgere l’insegnamento ad alunni in classe e introdurre popolazioni ad un progetto di agronomia sono cose totalmente differenti, non bastando certo ad impostare l’analogia richiesta dalla legge né la comunanza di titoli, né il fatto – su cui fa parimenti leva il motivo – che vi sia comunque il trasferimento di conoscenze ed abilità, trattandosi di profilo ipoteticamente comune ma di portata assolutamente generica;
l’analogia di attività, necessaria per consentire il riconoscimento dei servizi, consiste in una sovrapponibilità complessiva delle prestazioni rese e non si vede come una docenza scolastica sia da questo punto di vista paragonabile all’impostazione o all’attuazione di un progetto agronomico; oltretutto, eventuali ulteriori approfondimenti non trovano nel ricorso per cassazione decisivi spunti circostanziali diversi da quelli di cui si è detto sicché mancano elementi sufficienti ad inficiare il ragionamento svolto, sostanzialmente in termini analoghi a quanto anche qui argomentato, dalla Corte d’Appello;
1.2 altro profilo del motivo (pag. 13, punto IV “Prima Parte”) pone l’accento sull’attività svolta dal ricorrente quale “esperto” ai sensi dell’art. 17 L. 49/1987 ed evidenzia come dovesse trovare applicazione l’art. 22 della stessa legge e dunque la collocazione in aspettativa per attività di cooperazione;
sul punto, come si evince dal richiamo nel motivo proprio alla nota del Ministero Affari Esteri 16.9.2005, la Corte d’Appello, come si è detto nello storico di lite, ritenne che l’ “equiparazione” dei servizi non potesse esservi, perché l’art. 23 la consentiva solo rispetto ai casi di comando (art. 17 lett. a) e non a quelli della missione in veste di “esperto” (art. 17 lett. b);
il motivo di ricorso ritiene che viceversa si dovesse applicare l’art. 22 della L. 49/1987 secondo cui «gli enti pubblici, previo nulla osta delle amministrazioni vigilanti, compresi le strutture del Servizio sanitario nazionale, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e gli istituti zooprofilattici sperimentali, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, possono collocare in aspettativa, per un periodo non superiore all’incarico, personale dipendente, da essi autorizzato all’espletamento di compiti di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo»;
l’applicazione di tale ipotesi presupporrebbe che il MIUR avesse deciso quel collocamento in aspettativa ed avesse esso stesso autorizzato l’espletamento di compiti di cooperazione; la sentenza impugnata non dà atto di una tale decisione del MIUR, che dovrebbe essere comprovata dal ricorrente, né a tal fine è sufficiente l’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui «l’intesa c’era ed era stata comunicata dal Ministero degli Affari Esteri alla scuola», trattandosi di affermazione fattuale estremamente sintetica e comunque apodittica, non supportata dall’indicazione degli elementi da cui si sarebbe dovuto trarre, fin dalle fase di merito, la prova di quanto affermato e soprattutto del fatto che il MIUR avesse autorizzato, come era sua facoltà e non obbligo, la cooperazione e poi anche l’aspettativa per tali fini;
elementi fattuali necessari per comprovare che, in contrario con quanto indicato nella ricostruzione della carriera, non vi fosse stata aspettativa per motivi di famiglia, che tra l’altro si fatica a ritenere che il MIUR si sia mosso ad indicare sua sponte;
1.3 altro punto affrontato nel motivo di ricorso riguarda l’incarico di cooperazione in Kenya dal 19.6.2007 al 11.7.2007 (punto IV, “Seconda parte”, pag. 15, del ricorso per cassazione) che si assume fosse incarico diretto ai sensi dell’art. 17 L. 49/1987, sicché spetterebbe di diritto il trattamento equiparativo, per effetto dell’art. 23 L. 49/1987;
di tale specifico profilo non vi è traccia nella sentenza impugnata, che anzi esordisce, nell’affrontare il merito, dicendo che lo stesso ricorrente non avrebbe riportato la sua attività all’estero alle fattispecie di cui all’art. 17 L. 49/1987;
né il ricorrente precisa come, dove e quando vi fosse stata quella specifica allegazione fattuale;
vale dunque il principio per cui «qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito» (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
2. il ricorso va dunque integralmente disatteso, ma nulla è a disporsi sulle spese in quanto le parti pubbliche sono rimaste intimate;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023.