REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASA Filippo – Presidente
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) Antonio, nato a Brindisi il 13/6/19xx;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Taranto in data 2/12/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 2/12/2020, il Tribunale di sorveglianza di Taranto ha rigettato l’istanza di applicazione dell’affidamento in prova in casi particolari presso la comunità La Rinascita del Centro Storico, proposta nell’interesse di Antonio (OMISSIS), detenuto nella Casa circondariale di Taranto, con fine pena al 20/12/2024.
Secondo il Collegio, infatti, il detenuto era incorso in una precedente revoca della medesima misura, disposta nell’ottobre 2019 a causa del suo arresto per detenzione e porto illegali di una pistola, per i quali egli è tuttora agli arresti domiciliari ed è stato condannato a 4 anni di reclusione, donde il giudizio di inaffidabilità, fondato anche sulla reticenza mostrata rispetto ad atti intimidatori subiti dopo la sua dimissione dal carcere, nel maggio 2019, e sull’applicazione, ai suoi danni, di una sanzione disciplinare, riportata per una violazione del 4/3/2020.
2. Antonio (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. Luigi (OMISSIS), deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 94, d.P.R. n. 309 del 1990.
Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che il Tribunale di sorveglianza abbia erroneamente applicato l’art. 58-quater Ord. pen., che la giurisprudenza di legittimità riterrebbe, invece, non operante nei casi di affidamento in prova in casi particolari (cita, al riguardo, Sez. 1, n. 6287 del 23/10/2014, dep. 2015, Rv. 262825; Sez. 1, n. 26010 del 6/7/2020, Rv. 279527- 01; nonché Corte Cost., n. 377 del 1997).
Sotto altro profilo, la sussistenza del pericolo di recidiva non potrebbe desumersi dagli atti intimidatori di cui (OMISSIS) è stato vittima, trattandosi di condotte perpetrate ai suoi danni, a nulla rilevando la circostanza che il detenuto non abbia fornito spiegazioni sul punto, ben potendo lo stesso non averne.
Con riferimento, poi, al carico pendente per detenzione e porto illegali di pistola, in relazione a tale procedimento (OMISSIS) avrebbe ottenuto gli arresti domiciliari ex art. 89 d.P.R. n. 309 del 1990 con l’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto allegata al ricorso, ove si darebbe atto dell’esistenza della certificazione del SER.D. competente e di un articolato programma di recupero della comunità terapeutica.
3. In data 18/10/2021 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. Giova premettere che il Tribunale di sorveglianza, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, non ha fatto ricorso alla preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 2, Ord. pen., ma ha respinto la richiesta di affidamento terapeutico in ragione dell’intervenuta revoca della medesima misura conseguente all’arresto di (OMISSIS) per il grave delitto, commesso nell’ottobre 2019, di detenzione e porto illegali di una pistola, per cui egli ha riportato una condanna, non definitiva, alla pena di 4 anni di reclusione.
Inoltre, l’ordinanza ha valorizzato la circostanza che il soggetto, appena dimesso dal carcere, nel maggio 2019, abbia subito gravi atti intimidatori e che non abbia mai offerto alcuna spiegazione sulle relative ragioni, palesando un atteggiamento reticente e scarsamente collaborativo con gli organi investigativi; e ancora che, nel corso della custodia cautelare, egli abbia riportato una sanzione disciplinare per fatto commesso in data 4/3/2020, con ciò manifestando una scarsa capacità di autocontrollo.
Tale autonoma valutazione, che ha evidenziato gli elementi indicativi di una scarsa affidabilità del soggetto, si mantiene nei limiti di una fisiologica opinabilità di apprezzamento; e non appare sindacabile in sede di legittimità, essendo stata espressa con motivazione non manifestamente illogica, nemmeno in rapporto alla diversa decisione del Giudice della cautela, il quale ordinariamente dispone di una differente e meno completa piattaforma istruttoria rispetto alla magistratura di sorveglianza.
3. Suggestivo ma palesemente infondato è, infine, l’argomento secondo cui la funzione della misura richiesta è quella di risolvere il problema della dipendenza, sicché proprio la sua applicazione consentirebbe di eliminare il pericolo di recidiva.
In realtà, l’art. 94, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 prevede che il tribunale di sorveglianza accolga l’istanza solo se ritiene che il programma di recupero assicuri, anche attraverso le altre prescrizioni di cui all’art. 47, comma 5, Ord. pen., la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati, la quale, dunque, costituisce non l’esito del percorso terapeutico, ma una condizione che deve ricorrere già durante il periodo di sottoposizione alla misura alternativa.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle Ammende.
Così deciso in data 14/12/2021.
Depositato in Cancelleria, oggi 27 gennaio 2022.