Omessa dichiarazione Iva: la spregiudicatezza della condotta va motivata per escludere la concessione del beneficio della sospensione condizionale (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 marzo 2023, n. 13090).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Rel. Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 02/05/2022 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere dott. ALDO ACETO;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa FELICETTA MARINELLI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. II sig. (OMISSIS) (OMISSIS) ricorre  per  l’annullamento  della  sentenza  del 02/05/2022 della Corte di appello di Roma che ha confermato la condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione irrogata con sentenza, da lui impugnata, del 04/11/2020 del Tribunale di Roma per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 5, d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso di presentare le dichiarazioni annuali IVA della società (OMISSIS) di cui era liquidatore, per gli anni di imposta 2011 e 2012.

1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli 43 cod. pen., e 5, d.lgs. n. 74 del 2000, e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di dolo specifico di evasione (anche) dell’amministratore di diritto interposto (cd. “testa di legno”), assume, in fatto, d’aver assunto la carica di liquidatore della società il 22/03/2012 e che tutte le operazioni che avevano generato il debito IVA non dichiarato erano state poste in essere prima dell’assunzione della carica, tant’è – aggiunge – che il Tribunale gli aveva applicato proprio per questo motivo le circostanze attenuanti generiche, ipotizzando il coinvolgimento di terzi estranei rimasti però ignoti. Di qui l’errore della Corte di appello che ha ritenuto provato il dolo in base:

a) alla carica rivestita (elemento di per sé insufficiente);

b) al notevole superamento della soglia di punibilità generato dall’enorme volume di affari societario (che riguarda, semmai, la consapevolezza dell’ammontare dell’imposta evasa, non il dolo di evasione).

La possibilità che egli ricoprisse solo formalmente il proprio ruolo comporta, inoltre, la trasformazione del dolo specifico in una sorta di colpa eventuale.

1.2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli 163 e 164 cod. proc. pen., e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, illegittimamente negato dalla corte di appello in considerazione della gravità del fatto e della spregiudicatezza mostrata nella decisione di assumere la carica di amministratore della società.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo; è inammissibile e manifestamente infondato nel resto.

3. Il primo motivo è generico e manifestamente infondato.

3.1. Il delitto di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 è reato omissivo proprio, istantaneo ed unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione (Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Costa, Rv. 251328; Sez. 3, n. 22045 del 21/04/2010, Perrone, Rv. 247636).

Si tratta, inoltre, di delitto che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, cit.), è obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa.

Autore materiale dell’omissione può essere anche il soggetto incaricato della trasmissione (art. 3, comma 3, d.P.R. n. 322 del 1998) o, in ipotesi, anche l’incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento. Si tratta di ipotesi residuali. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilità di commettere il reato, la sussistenza dell’obbligo della dichiarazione ed il fine di evasione restringono la platea dei possibili destinatari del precetto ad una cerchia ristretta e ben definita di soggetti.

3.2. Trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall’obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l’obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilità di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio).

Ne consegue che la volontà dell’omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell’unica condotta

3.3. La giurisprudenza della Corte di cassazione insegna che l’amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850; cfr., altresì, Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225).

3.4. Trattandosi, però, di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell’ente/ la sua responsabilità omissiva non deriva dall’applicazione dell’art. 40 cod. pen. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensì dalla violazione dell’obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000.

3.5. Il reato in questione, inoltre, si consuma nel momento in cui scade il termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione, momento nel quale deve sussistere il dolo specifico di evasione il quale, a sua volta, presuppone la consapevolezza dell’ammontare delle imposte evase e non dichiarate, non richiedendo affatto la norma anche la coincidenza tra il soggetto gravato dell’obbligo dichiarativo e quello che ha posto in essere le operazioni imponibili.

3.6. Non v’è dubbio che il fine di evasione qualifica la condotta sul piano penale; ove venga accertata un’imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l’indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l’offesa degli interessi erariali e giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta.

Ma tale indagine non assorbe quella relativa all’accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell’obbligo dichiarativo violato e dell’entità dell’imposta non dichiarata.

Un’operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volontà di non dichiarare al Fisco l’imposta dovuta, con l’ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 441 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall’abrogato art. 1, comma 1, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con I. 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha già affermato non essere in continuità normativa con l’art. 5, lgs. n. 74 del 2000 anche e proprio per la necessità del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374).

3.7. Il reato è illecito di modo; il dolo di evasione è volontà di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale­ tributario.

Se per il legislatore penale tributario nemmeno l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l’accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il “dolo di omissione” non solo non può essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, ma nemmeno può essere confuso con il dolo di evasione.

La volontà omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta.

3.8. II dolo di evasione esprime l’autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo.

L’inviolabilità della libertà personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona.

Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore del fatto illecito, l’ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena.

E’ proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo.

3.9. II ricorrente postula una interposizione di persona che, a suo dire, esclude il dolo di evasione anche per il fatto che le operazioni imponibili erano state poste in essere prima dell’assunzione della carica.

3.10. II rilievo è generico e manifestamente infondato.

3.11. Che il ricorrente fosse una mera “testa di legno” è argomento che non risulta affermato con chiarezza nelle sentenze di merito e che, tuttavia, non solo non prova la mancanza del dolo specifico di evasione ma, semmai, costituisce argomento di prova contrario, posto che la deliberata scelta di abdicare ai propri doveri di amministratore in favore di gestori occulti dell’impresa può essere valutata, insieme con altri elementi, quale prova della consapevolezza di accedere ad un progetto illecito fatto proprio mediante la condotta

Torna, dunque, l’argomento (mal speso) della violazione del dovere di vigilanza che, in tesi difensiva, esclude il dolo specifico: l’amministratore interposto non viola un dovere di vigilanza; egli semplicemente e puramente viola un dovere ricadente su di lui nella piena consapevolezza delle conseguenze e del fine della propria omissione antidoverosa.

3.12. Nel caso di specie, tale consapevolezza è tratta dai Giudici di merito non solo dall’ammontare delle imposte evase (argomento di per sé insufficiente), ma anche dalla totale mancanza delle scritture contabili (argomento non preso in considerazione dal ricorrente) e, ovviamente, dalla reiterazione della condotta, omessa per ben due anni consecutivi.

3.13. Manca nel ricorso qualsiasi critica ragionata a questi argomenti, il che rende generico l’atto.

4. E’ invece fondato il secondo motivo.

4.1. La Corte di appello ha negato la sospensione condizionale della pena sul rilievo del disvalore del fatto e della «spregiudicatezza dimostrata dal reo nell’assumere la carica di amministratore in forza della quale ha commesso il crimine per cui si procede».

4.2. Orbene, come correttamente osservato dal ricorrente, manca un giudizio prognostico negativo compiutamente articolato sulla possibilità che egli, incensurato e ottantenne al momento della pronuncia, possa reiterare il delitto.

4.3. Il richiamo alla gravità oggettiva del reato e alla “spregiudicatezza” nell’assumere la carica di amministratore non assolvono all’onere di dar conto delle ragioni del diniego.

4.4. Non che la gravità del fatto non possa di per sé ostare alla concessione del beneficio ma si deve trattare di una gravità tale da obnubilare qualsiasi altro positivo indice di valutazione, da esprimere, cioè, una personalità del tutto indifferente alle regole della convivenza civile, un’efferatezza nel crimine che non lascia spazio a giudizi prognostici favorevoli. Nel caso di specie, tale “gravità” del fatto si è tradotta in una condanna persino inferiore al medio edittale che non ha impedito nemmeno l’attenuazione della pena mediante l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

4.5. Per altro verso, la “spregiudicatezza” nell’accettazione della carica di amministratore è espressione che non lascia intendere il suo vero significato, perché delle due l’una: a) o si vuol sostenere che il ricorrente è in tra neo ad ambienti criminali e sempre disponibile ad essere ingaggiato quale “testa di legno” (il che potrebbe legittimare un giudizio prognostico negativo ma occorrerebbe motivare meglio sul punto); b) oppure l’aggettivazione di “spregiudicato” assume solo un giudizio morale come tale estraneo alla nomenclatura degli indici di valutazione di cui all’art. 133 cod. pen.

4.6. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla statuizione relativa alla sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23/11/2022.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023.

SENTENZA – originale -.