Omicidio Chiara Poggi: la difesa chiede la revisione del processo. La Cassazione rigetta (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 14 maggio 2021, n. 13057).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Rel. Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

STASI ALBERTO nato a MILANO il 06/07/1983;

averso l’ordinanza del 02/10/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

lette le conclusioni del PG, Dott. Simone Perelli che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Brescia dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza della Corte di Assise di appello di Milano del 17/12/2014 proposta da Stasi Alberto.

La la richiesta era asseritamente fondata su prove nuove e dirimenti nonché su due accertamenti tecnici.

In particolare:

– con riferimento alla presenza sul dispenser del sapone utilizzato dall’aggressore di Chiara Poggi per lavarsi le mani dopo il delitto, sul quale erano state rinvenute solo due impronte dell’anulare destro di Alberto Stasi, la consulenza tecnica a firma del dr. Oscar Ghizzoni dimostrava che, sul dispenser, erano presenti numerose impronte papillari, delle quali solo due erano attribuibili allo Stasi, e che il dispenser non era stato lavato dall’aggressore, come invece la sentenza aveva ritenuto, con l’ulteriore conseguenza che la presenza delle impronte non aveva valore indiziante, atteso che Stasi frequentava giornalmente l’abitazione della Poggi;

la presenza di “alcune microcrosticine” riferita in una nota tecnica del RIS dimostrava ulteriormente che il dispenser non era stato lavato dall’aggressore mentre una fotografia dei Carabinieri di Pavia evidenziava la presenza di quattro formazioni pilifere sul lavandino, smentendo che l ‘aggressore lo avesse lavato per eliminare ogni traccia.

In definitiva, mancando la prova che il lavandino e il dispenser fossero stati lavati dall ‘aggressore dopo il delitto prima di lasciare l’abitazione, non era possibile escludere che lo stesso si fosse rimesso sulla strada di casa in bicicletta senza passare dal bagno.

– un’altra prova nuova era costituita dalle riprese video e dalle sperimentazioni svolte nel corso di una trasmissione televisiva, andata in onda il 16/12/2019: si dimostrava che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza di condanna, la teste Manuela Travain era in grado di vedere le persiane della cucina poste al piano terreno dell’abitazione di Via Pascoli;

– il consulente tecnico della stessa trasmissione, ing. Roberto Porta, inoltre, aveva determinato con esattezza il momento in cui la testimone Travain sarebbe passata, la mattina dell’omicidio, davanti alla casa della famiglia Poggi, calcolando, inoltre, il tempo necessario a Stasi per rientrare nella propria abitazione ed accendere il computer.

Tali dati dimostravano che, poiché nel momento del passaggio della teste Travain davanti all’abitazione dei Poggi la portafinestra della finestra era ancora chiusa, per poi essere successivamente aperta da Chiara Poggi, che quindi in quel momento era ancora viva, la bicicletta che si trovava davanti all’abitazione non poteva essere di Stasi che, alle 9’35, si trovava nella propria camera e aveva acceso il computer.

La richiesta di revisione sottolineava che le prove residue a carico di Stasi erano generiche, ambigue ed opinabili.

1.2. Dopo avere ripercorso la motivazione delle sentenze emesse nei confronti di Stasi con riferimento agli indizi utilizzati nei suoi confronti, e avere ricordato i principi generali in materia di revisione, la Corte sottolineava che i temi probatori attinti dalle prove nuove esposte nella richiesta di revisione erano state oggetto di amplissima discussione ed approfondimento nel corso del giudizio.

Le prime tre prove erano attinenti al dispenser del sapone, su cui erano state rinvenute due impronte papillari dell’anulare di Stasi, ritenute dimostrative del fatto che egli si fosse lavato le mani dopo il delitto e avesse accuratamente lavato dispenser e lavandino, salvo lasciare le proprie impronte nella fase in cui aveva riposto il primo sul secondo dopo averlo lavato.

Il fatto che, sull’oggetto, fosse stato rinvenuto anche il DNA della vittima era stato oggetto di approfondimenti e memorie.

La Corte territoriale osservava che fin dal 2007 era emersa la circostanza che, sul dispenser, erano presenti altri contatti papillari e colature di sapone: ciò riferiva la relazione del RIS del 15/11/2007, che aveva descritto le restanti impressioni papillari come frammentarie e scarsamente definite e quindi non utili per la comparazione.

Anche la presenza di “microcrosticine” di sapone sul dispenser era nota e di essa riferivano le relazioni. La fotografia del reperto prodotta dal richiedente era già presente nel fascicolo integrativo relativo agli accertamenti dattiloscopici depositato il 29/11/2007.

Tutte le operazioni di prelievo, esaltazione, analisi delle impronte erano state effettuate nel contraddittorio delle parti, con la partecipazione dei consulenti tecnici della difesa di Stasi.

In sostanza, i giudici che erano pervenuti alla condanna, nella piena consapevolezza degli elementi evidenziati nella richiesta di revisione, avevano ritenuto che la prova del fatto che Stasi si fosse lavato le mani dopo il delitto e avesse lavato dispenser e lavandino si ricavasse dalla nitidezza della sua impronta, dal fatto che l’impronta era dell’anulare e si trovava in un punto dell’oggetto che tocca chi lo afferra (per lavarlo) e non chi lo usa per far uscire il sapone liquido, con conseguente valutazione di irrilevanza delle tracce delle impronte sottostanti.

La richiesta di revisione, poi, erroneamente sosteneva che una terza impronta papillare presente sul dispenser fosse utile per il confronti e non appartenesse a Stasi: al contrario, lo stesso consulente Ghizzoni aveva escluso che il frammento contenesse i 16 punti utili per stabilire una identità dattiloscopica nei termini di legge e, quindi, non si poteva affermare che tale impronta non appartenesse a Stasi.

La Corte argomentava sulla mancanza, di capacità dimostrativa della pretesa prova nuova a ribaltare il giudizio di colpevolezza: in effetti, la difesa voleva dimostrare che l’assassino, pur entrato nel bagno (dato pacifico, alla luce delle impronte rinvenute), non si era lavato le mani (era la ricostruzione accolta dal Giudice di primo grado e confermata da quello di appello nella prima fase del giudizio, conclusosi con la sentenza di annullamento di questa Corte); ma se tale ricostruzione era esatta, l’assassino non avrebbe lasciato nessuna impronta sul dispenser: quindi non rilevava l’attribuibilità dell’impronta non identificata.

Inoltre, la consulenza tecnica Ghizzoni non poteva essere qualificata come prova nuova in quanto si limitava ad evidenziare dati fattuali già noti e a desumere da tali fatti il mancato lavaggio di lavandino e dispenser da parte dell’aggressore, quindi un fatto diverso desunto dai giudici che avevano pronunciato la condanna, senza tenere conto che gli elementi evidenziati erano già stati valutati, almeno implicitamente, e senza ancorare la deduzione del fatto diverso a nuove leggi scientifiche o a nuove metodologie rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica.

La presenza di capelli nel lavandino era anch’essa circostanza nota ed era sempre stata indicata dalla difesa dell’imputato come contrastante con la ricostruzione del lavaggio del lavandino (oltre che del dispenser) da parte dell’aggressore.

Il giudice del rinvio aveva ritenuto tale argomento implicitamente superato dalla provata necessità dell’assassino di lavarsi: non si trattava, quindi, di prova nuova, né tale elemento era in astratto idoneo a superare il fatto ritenuto provato dalla Corte di Assise di appello.

La Corte rimarcava, infine, la contraddittorietà dell’argomentazione di Stasi secondo cui era inverosimile che l’assassino, sporco di sangue e non lavatosi, si fosse rimesso sulla strada di casa con la bicicletta: argomentazione che rafforzava la conclusione cui era giunta la Corte in sede di rinvio, secondo cui l’assassino, sicuramente entrato nel bagno, si era lavato.

1.3. La quarta e la quinta prova nuova miravano a validare la fondatezza dell’alibi di Stasi che, nel momento del delitto, si sarebbe trovato davanti al computer nella sua abitazione.

Quanto alla possibilità per la teste Travain di vedere, nel momento del passaggio con l’autovettura davanti all’abitazione dei Poggi, che la portafinestra della cucina era chiusa, la Corte osservava che il tema era stato trattato nel processo e che la circostanza che la parte bassa del cancello dell’abitazione non fosse chiusa (rendendo, quindi, possibile vedere astrattamente anche quella portafinestra) era nota ai giudici, tanto da essere menzionata nella sentenza della Cassazione che aveva reso irrevocabile la condanna.

Il filmato che documentava che la parte bassa del cancello non era chiusa, quindi, non costituiva prova nuova. Inoltre, l’esperimento ripreso nel filmato era stato effettuato in condizioni mutate rispetto a quelle esistenti al momento del fatto e, comunque, colui che lo conduceva non era persona ignara di ciò che doveva guardare passando davanti all’abitazione; al contrario, la testimone aveva sempre riferito di una visione fugace cui aveva prestato scarsa attenzione, tanto da fornire informazioni errate che erano state smentite dall’altra testimone.

1.4. La perizia dell’ing. Porta, diretta a determinare il momento preciso in cui la testimone era passata davanti all’abitazione, non costituiva, inoltre, prova nuova: in effetti, già nella perizia depositata al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vigevano, il perito aveva fornito ampie argomentazioni relative all’analisi dei tabulati telefonici, escludendo la possibilità di ottenere risultati assolutamente certi e ribadendo (anche con riferimento alla posizione di Stasi nel momento in cui aveva effettuato la chiamata telefonica al 118) che si trattava di valutazioni probabilistiche, in ciò concordando con il consulente della parte civile.

Nella consulenza redatta a sostegno della richiesta di revisione, l’ing. Porta utilizzava i medesimi dati già disponibili e le medesime tecniche per determinare il momento in cui la testimone era transitata davanti all’abitazione: la prova veniva presentata come “nuova” perché la consulenza rispondeva ad un quesito che il Giudice dell’udienza preliminare non aveva posto ma, comunque, era frutto di ipotesi basate sul “modello di tragitto”, sia in ordine alla velocità tenuta dal mezzo, sia in ordine ai punti di aggancio; tale essendo la sua natura, la consulenza si risolveva, secondo la Corte territoriale, in una ipotesi ricostruttiva alternativa su materiale già vagliato dai giudici e, in particolare, una confutazione della consulenza tecnica Reale. Nessuna metodologia scientifica nuova era stata utilizzata dal consulente tecnico.

1.5. Non costituiva una novità nemmeno il calcolo del tempo necessario a Stasi per percorrere il tragitto dal cancello della sua abitazione alla sua stanza ove era collocato il computer, determinato in 1,45 – 2 minuti: tale intervallo era già stato considerato, seppure non calcolato con esattezza, poiché il perito, durante l’esperimento, non era potuto entrare nell’abitazione di Stasi.

Si trattava, quindi, di un dato che non era in grado di minare il giudizio di compatibilità con la finestra temporale di 23 minuti (dalle 9’12, ora in cui era stato disattivato l’allarme di casa Poggi, alle 9’35, ora in cui il computer di Stasi era stato acceso) durante il quale l’imputato era sfornito di alibi.

In definitiva, i nuovi elementi dedotti non erano idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato dovesse essere prosciolto.

1.6. In chiusura, la Corte richiamava i motivi di ricorso che la Cassazione aveva valutato, evidenziando che numerosi elementi indiziari non erano stati toccati dalla richiesta di revisione e che le prove nuove tali non erano, ovvero erano inammissibili e manifestamente infondate quanto alla loro valenza ai fini della revisione.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Alberto Stasi, deducendo violazione degli artt. 631 e 634 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.

Il ricorrente richiama il principio per cui la declaratoria di inammissibilità prevista dall’art. 634 cod. proc. pen. non può portare ad un’anticipazione del giudizio di merito e non può tradursi in un’approfondita valutazione probatoria dei fatti, che deve essere riservata al giudizio di merito svolto nel contraddittorio.

La Corte territoriale, oltre ad avere permesso alla parte civile di depositare due dettagliate memorie di merito, contro il dettato normativo, aveva emesso un’ordinanza inosservante dei limiti posti dalla norma, spingendosi a confutare l’affidabilità dei nuovi elementi di prova.

In particolare, l’ordinanza valutava il merito della consulenza tecnica Ghizzoni, confondendo i criteri di attribuibilità di un’impronta digitale con quelli di esclusione e di compatibilità. In realtà, il dato di novità era costituito dall’esistenza di plurimi contatti papillari e di colature e di croste di sapone che escludevano il lavaggio del dispenser.

Nell’affermare che il consulente Ghizzoni non aveva utilizzato nuove metodologie, la Corte non aveva compreso che, se l’aggressore non si era lavato le mani, sul dispenser non si sarebbe rinvenuto sangue della vittima, mentre sarebbe stato normale rinvenire plurime sovrapposte impronte, anche di Stasi.

La consulenza dell’ing. Porta era stata travisata: mentre nel 2009 era stato chiesto al perito di determinare la posizione esatta di un utente sul territorio sulla base del mero aggancio di cella, nel 2019 era stato chiesto, conoscendo il tragitto della teste Travain, di determinare un intervallo temporale certo durante il quale la testimone era transitata in un punto preciso; per giungere a questo risultato, l’ing. Porta aveva tenuto conto della tolleranza di copertura delle celle.

Ancora: la Corte aveva dato per certo che i capelli rimasti nel lavandino fossero di Chiara Poggi, ma si trattava di dato mai accertato; inoltre, la Corte si era espressa nel merito sulla resistenza dei capelli appoggiati sulla superficie del lavandino all’opera di pulizia dello stesso, senza tenere presente che tale pulizia era stata definita “accurata”, tanto da assicurare l’assenza di sangue nel sifone.

Inoltre la Corte affermava che, benché fosse smentito da prove evidenti, l’assassino si era sicuramente lavato perché sporco di sangue; in questo modo si riteneva provato il fatto da provare.

Nessun contraddittorio era stato permesso sull’affermazione che le condizioni di luce e del luogo erano diverse con riferimento al filmato realizzato nell’ambito di una trasmissione televisiva.

Ancora, la Corte non aveva tenuto conto del dato nuovo dimostrato dal filmato: le persiane della cucina erano senza dubbio visibili ad un soggetto che transitasse in auto davanti all’abitazione dei Poggi.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla nozione di “prova nuova” che la Corte aveva confuso con quella di “tema di prova”.

Il requisito della novità non doveva essere valutato con riferimento al tema di prova, ma agli elementi dimostrativi addotti come noviter reperti ovvero noviter producti.

Quanto al lavaggio del lavandino da parte dell’assassino, la difesa di Stasi lo aveva sempre negato, ma sulla base di elementi diversi dalla fotografia che riprendeva i capelli presenti, che non era mai stata valutata e che, quindi, costituiva prova nuova.

Quanto alle impronte digitali, la considerazione dell’ordinanza secondo cui il tema era stato approfondito nel corso del processo non permetteva di escludere la novità delle prove, che erano nuove in quanto, pur esistenti in atti non erano state utilizzate ovvero erano state rese possibili solo dal reperimento delle fotografie digitali, prima indisponibili alla difesa e mai versate in atti dai RIS; lo stesso doveva dirsi quanto al tema dell’alibi di Stasi.

In contrasto con l’insegnamento della Corte EDU e della Cassazione, la ordinanza aveva escluso la novità della prova desumendone la valutazione implicita dalla semplice presenza in atti.

Ma la richiesta di revisione sosteneva che si trattava di elementi mai presi in esame da alcun giudice al fine di dimostrare il mancato lavaggio del dispenser: in realtà, i giudici avevano sempre dato per scontata la presenza esclusiva di una o due impronte nitide di Stasi sul dispenser, mai valutando l’esistenza di altre impronte, nemmeno implicitamente.

La Corte territoriale, inoltre, aveva escluso la novità della prova in ragione del fatto da provare: contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza, il filmato della trasmissione televisiva non era diretto a dimostrare che la parte bassa del cancello fosse aperta, ma a documentare che la Travain, sebbene in movimento e per pochi secondi, poteva avere notato la portafinestra della cucina chiusa la mattina del 13 agosto; per giungere a questo risultato si era ricorsi ad un esperimento che, nel processo, non era mai stato fatto.

Il filmato costituiva, quindi, prova nuova anche perché realizzato con tecniche innovative (telecamere 3D) che consentivano una inedita percezione realistica della realtà.

Con riferimento alla prova scientifica, l’ordinanza confondeva la necessità della novità del metodo scientifico con la novità dell’accertamento o dell’oggetto dell’accertamento. I quesiti posti ai due tecnici Ghizzoni e Porta erano nuovi; la C.T. Ghizzoni era stata resa possibile solo grazie alla natura digitale della fotografia che era stata acquisita dalla difesa di Stasi solo nel 2017: la medesima indagine peritale non avrebbe potuto essere effettuata sulle fotografie cartacee in bianco e nero presenti nel fascicolo processuale.

Quindi, il C.T. Ghizzoni aveva utilizzato elementi fattuali prima non conosciuti.

Analogamente solo il formato digitale della foto del particolare del lavandino aveva permesso di rilevare la presenza di quattro lunghi capelli sulla superficie interna.

Anche la consulenza dell’ing. Porta introduceva dati del tutto nuovi che fornivano a Stasi un alibi certo e sicuro: l’analisi scientifica dei tabulati dell’apparecchio cellulare della teste Travain era stata fatta per la prima volta e mai, in precedenza, era stato determinato l’orario esatto del suo passaggio.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata valutazione delle prove nuove in relazione alle prove acquisite.

La Corte aveva valutato come irrilevanti le prove nuove relative al dispenser, pur dando atto che le stesse avrebbero potuto dimostrare che l’assassino non si era lavato: eppure, le impronte di Stasi sul dispenser avevano costituito uno degli elementi indiziari ritenuti gravi e precisi su cui si era fondata la sentenza di condanna. Inoltre, la ricostruzione differente avrebbe inciso anche sugli altri elementi di prova.

Il fatto che alcuni elementi di prova non fossero stati toccati dalla richiesta di revisione non permetteva di escludere che il giudice della revisione potesse ritenere sussistente un ragionevole dubbio sulla colpevolezza alla luce del venir meno degli elementi oggetto della richiesta di revisione.

Inoltre, la Corte aveva errato nel far riferimento ai passaggi motivazionali delle precedenti pronunce perché, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la valutazione deve essere correlata alle prove già valutate.

3. Il Procuratore generale, Simone Perelli, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Secondo il Procuratore generale, il primo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto manifestamente infondati, atteso che la Corte territoriale non aveva affatto violato i limiti imposti dal vaglio di mera ammissibilità della richiesta di revisione, né aveva proceduto ad una anticipazione del giudizio.

Correttamente il giudice aveva escluso la novità delle prove fornite nella richiesta, in quanto aventi ad oggetto evidenze note ai giudici di merito e già oggetto di valutazione nel giudizio concluso.

Il secondo motivo di ricorso, secondo il Procuratore generale, è inammissibile per difetto di specificità e per manifesta infondatezza: il ricorrente non si era confrontato con la motivazione dell’ordinanza che dimostrava che gli elementi forniti nella richiesta erano già conosciuti ed erano stati ritenuti irrilevanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. La richiesta di revisione è stata presentata ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.: la norma regola l’ipotesi in cui, dopo la condanna, sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che l’imputato deve essere prosciolto ai sensi dell’art. 631 cod. proc. pen.

La Corte ha ritenuto inammissibile la richiesta ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen.: tale pronuncia era consentita se la Corte avesse ritenuto non ricorrere l’ipotesi appena richiamata ovvero se avesse valutato la richiesta come manifestamente infondata.

Con riferimento alla nozione di “prova nuova”, la Corte territoriale ha richiamato il principio, affermato ripetutamente anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, in base al quale per “prove nuove” rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen., ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, Sentenza n. 624 del 26/09/2001 Ud. (dep. 09/01/2002 ) Rv. 220443 – 01).

L’ordinanza richiama anche l’insegnamento di legittimità in ordine alla possibilità di valutare come “prova nuova” anche accertamenti o pareri tecnici: una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti può costituire “prova nuova”, ai sensi dell’art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute, idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (Sez. 6, Sentenza n. 13930 del 14/02/2017 Cc. (dep. 22/03/2017) Rv. 269460 – 01).

2. Alla luce di questi principi la Corte ha esaminato prima separatamente, poi complessivamente le “prove nuove” evidenziate nella richiesta di revisione. Con riferimento alla consulenza tecnica Ghizzoni, relativa alle tracce papillari sul dispenser, la Corte ha ritenuto che la stessa non costituisse prova nuova in quanto dimostrava ciò che era già emerso nel processo ed era conosciuto dai giudici: che, cioè, oltre alle due impronte riferibili certamente a Stasi, posizionate in un punto dell’oggetto indicativo del fatto che egli lo avesse afferrato e non lo avesse utilizzato per far uscire il sapone liquido, esistevano altre impronte papillari non riconoscibili nonché “microcrosticine” presenti sulla superficie del dispenser (tali ultime sono oggetto della seconda prova nuova indicata nella richiesta di revisione).

Quindi, ‘non solo i dati erano già conosciuti, ma la consulenza tecnica non smentiva in alcun modo quanto evidenziato dalla polizia giudiziaria e dai periti. Il ricorrente ammette che ciò è esatto, ma contesta che tali elementi fossero stati esplicitamente o implicitamente valutati dai giudici al fine di valutare se il dispenser fosse stato o meno lavato dall’assassino dopo essersi lavato le mani che (come accertato nel giudizio di rinvio) erano sicuramente sporche del sangue della vittima.

3. Analoga contestazione riguarda la terza prova nuova, costituita dalla fotografia DSC03064 dei Carabinieri di Pavia scattata il 13/8/2007 che riprendeva il lavandino e dimostrava la presenza di quattro capelli.

Secondo la conclusione dei giudici del rinvio, confermata dalla Corte di Cassazione, l’assassino, dopo essersi lavato le mani, aveva lavato sia il dispenser sia il lavandino che, infatti, non presentava alcuna traccia di sangue, nemmeno nel sifone.

Secondo la richiesta di revisione, così come le impronte e le “microcrosticine” presenti sul dispenser smentivano che l’oggetto fosse stato lavato, i capelli rimasti sulla superficie del lavandino dimostravano che nemmeno il lavandino era stato lavato.

Il ricorrente ribadisce la natura di “prova nuova” della fotografia: quella fotografia non era mai stata valutata, nemmeno implicitamente e nessuna sentenza di merito faceva riferimento alla fotografia o alla presenza di capelli all’interno del lavandino.

Tuttavia, il ricorrente non contesta l’affermazione dell’ordinanza secondo cui “la presenza di capelli nel lavandino è stata sempre indicata dalla difesa Stasi come elemento contrastante con il preteso lavaggio del lavandino in tutta la fase di rinvio”: e ciò conferma che tale presenza, come ritiene la Corte, era stata valutata implicitamente dai giudici, che non avevano ritenuto decisiva la presenza di quei capelli per ritenere non avvenuto il lavaggio del lavandino, dimostrato dall’assenza del sangue della vittima.

4. La valutazione implicita da parte dei giudici del rinvio è stata ritenuta, comunque, anche per le circostanze evidenziate nelle prime due prove nuove (che, come si è visto, non sono, in realtà, nuove).

Del resto, ciò è perfettamente coerente con il lungo iter processuale che ha portato alla condanna irrevocabile di Stasi e che aveva visto due sentenze di assoluzione, prima dell’annullamento con rinvio disposto da questa Corte: come risulta dall’ampia esposizione di tale iter contenuto nell’ordinanza impugnata, il quesito in ordine alla circostanza che l’assassino – che sicuramente era entrato nel bagno, come dimostravano le impronte delle scarpe sporche di sangue – si fosse o meno lavato e, subito dopo, avesse o meno lavato il lavandino e il dispenser era già stato affrontato approfonditamente dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vigevano (che aveva disposto perizia) (cfr. pagg. 12 e 13 ordinanza); anche la Corte di assise di appello di Milano, con la sentenza del 6 dicembre 2011, era pervenuta alla conclusione che il dispenser non era stato lavato da alcuno (pag. 16 ordinanza); era stata la Corte di cassazione, con la sentenza n. 44234 del 2013, a censurare la valutazione operata dalla Corte territoriale anche su tale circostanza (pag. 19 ord.), fino a giungere alla diversa valutazione del giudice del rinvio. In sostanza, da una parte la convinzione dei giudici del rinvio dell’avvenuta pulitura del dispenser dopo che l’assassino si era lavato le mani derivava anche da ragionamenti di tipo logico discendenti da nuove emergenze probatorie (si era raggiunta la certezza che l’assassino aveva – le mani sporche di sangue e, di conseguenza, era ritenuta illogica la ricostruzione secondo cui egli, pur entrato nel bagno, si fosse limitato a verificare allo specchio se era macchiato di sangue nella parte superiore, senza lavarsi le mani), dall’altra era stata valorizzata la posizione delle impronte di Stasi sul dispenser e il dito coinvolto – l’anulare della mano destra – per dedurre che le impronte fossero state lasciate dopo il lavaggio delle mani, del lavandino e del dispenser stesso; il tutto nella consapevolezza che sull’oggetto fosse presente il DNA di Chiara Poggi e che, quindi, il lavaggio non aveva reso l’oggetto totalmente immune da tracce.

Non si può, quindi, ritenere che i giudici non avessero presenti le condizioni del dispenser così come evidenziato prima dai rilievi e dalla perizia disposta dal G.U.P., poi dalla consulenza del dr. Ghizzoni.

5. D’altro canto, il ricorrente sembra implicitamente dedurre un travisamento delle prove da parte dei giudici: essi avrebbero erroneamente ritenuto, contrariamente alle circostanze di fatto già evidenziate, che sul dispener fossero presenti soltanto due impronte digitali, vale a dire le due attribuibili con certezza ad Alberto Stasi (pagg. 11 e ss. ricorso); fermo restando che le frasi tratte dalle varie sentenze riportate nel ricorso possono essere interpretate come riferite alle uniche due impronte riconoscibili, che interessavano perché posizionate in un punto dell’oggetto assai significativo, occorre ricordare che nella nozione di nuove prove rilevanti a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, non rientrano quelle esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente per effetto di travisamento, potendo, in tal caso, essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione (Sez. 3, Sentenza n. 34970 del 03/11/2020 Cc. (dep. 09/12/2020) Rv. 280046 – 01).

Se, quindi, la sentenza della Corte di assise di appello di Milano del 2014 viene letta come se avesse espressamente travisato le prove presenti agli atti in ordine alla condizione del dispenser e alla presenza su di esso di altre impronte non riconoscibili e di “microcrosticine”, avendo la stessa affermato che, al contrario, nessun’altra traccia o impronta era presente, si deduce un travisamento della prova (la perizia redatta su incarico del G.U.P. e i rilievi tecnici svolti in precedenza), che avrebbe dovuto essere denunciato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.; se lo era stato, la decisione della Corte di Cassazione che lo negava sarebbe ostativa alla revisione sul punto.

6. La quarta e la quinta prova nuova attengono all’alibi di Stasi.

Le sentenze di merito avevano ritenuto che l’omicidio fosse stato commesso tra le 9’12 e le 9’35, rispettivamente orario in cui era stato disattivato l’allarme di casa Poggi e momento in cui Stasi aveva acceso il suo computer; avevano ritenuto che in quell’arco temporale (per il quale Stasi non aveva un alibi) fosse possibile per l’imputato commettere il delitto e tornare alla propria abitazione con la bicicletta.

Secondo il ricorrente, se la teste Travain era transitata davanti a casa Poggi tra le 9’27 e le 9’28 (circostanza oggetto della quinta prova) e se avesse potuto osservare la portafinestra della cucina dal cancello dell’abitazione (che, nella parte bassa, non era chiusa) (oggetto della quarta prova), sarebbe stato impossibile addebitare l’omicidio a Stasi: infatti, a quell’ora, la portafinestra della cucina era ancora chiusa e, quindi, la Poggi era ancora viva (è pacifico che fosse stata lei ad aprirla); quindi l’omicidio era stato commesso successivamente a quell’orario; di conseguenza, era impossibile, tenuto conto del tempo necessario a Stasi per ritornare alla sua abitazione e di quello indispensabile per giungere alla sua camera ed accendere il computer, che a commetterlo fosse stato Stasi, con l’ulteriore conseguenza che la bicicletta che le testimoni avevano visto appoggiata fuori dall’abitazione dei Poggi non poteva essere quella dell’imputato.

La Corte territoriale evidenzia, riportando il quarto motivo di ricorso per cassazione proposto dalla difesa di Stasi avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano in sede di rinvio, che la tematica era già stata esposta: il motivo di ricorso, infatti, affermava che la teste Travain era passata davanti a casa Poggi alle ore 9’30 “come dalle risultanze dei tabulati telefonici” e, ancora, che la teste, dalla sua visuale (in macchina e in movimento) poteva notare le condizioni della portafinestra della cucina in quanto, “dalle foto prodotte dalla difesa … emerge … che, sebbene parzialmente, l’avvistamento dell’apertura delle persiane era possibile”.

Risulta evidente che le due prove nuove sono strettamente dipendenti l’una dall’altra: in particolare, i giudici che hanno pronunciato e confermato la condanna di Stasi, ritenendo che la teste Travain non potesse avere notato, mentre passava con la sua autovettura davanti all’abitazione dei Poggi, se la portafinestra della cucina fosse aperta o chiusa, hanno reso irrilevante il dato dell’orario del passaggio ai fini della conferma o smentita dell’alibi di Stasi, così potendo “utilizzare” l’intero arco temporale dalle 9’12 alle 9’35 per “inserirvi” l’omicidio da parte di Stasi, il suo ritorno all’abitazione con la bicicletta e l’accensione del computer, sia pure precisando (sulla base della perizia svolta in sede di rinvio) che il tempo necessario all’assassino per compiere il delitto ed uscire dall’abitazione della Poggi erano inferiori a quanto ritenuto in precedenza.

Di conseguenza, la rilevanza della quarta prova (individuazione dell’ora in cui la Travain era transitata davanti a casa Poggi) sussisteva soltanto se la quinta prova (possibilità per la Travain di vedere la portafinestra della cucina mentre transitava davanti all’abitazione) era ammissibile: in effetti, tenuto conto del tempo “incomprimibile” necessario per il ritorno di Stasi alla propria abitazione e per l’accensione del computer (6/7 minuti più 2 minuti necessari per giungere alla stanza ed accedere l’apparecchio), se fosse stata fornita la prova che la Travain aveva visto la portafinestra della cucina chiusa, il suo passaggio dalle 9’27 alle 9’30 avrebbe confermato inevitabilmente l’alibi di Stasi, pur riducendo il tempo necessario all’assassino per compiere il delitto ed uscire dall’abitazione.

7. La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, ha ritenuto che il filmato dell’ “esperimento” eseguito nell’ambito della trasmissione televisiva Le Iene non costituisse “prova nuova” e, comunque, che le circostanze di fatto dallo stesso rappresentate – cioè la possibilità astratta di vedere la portafinestra della cucina dalla parte bassa del cancello dell’abitazione per chi transitava davanti all’immobile in autovettura – fossero già state valutate dai giudici.

Non si trattava di prova nuova perché, già nel processo di rinvio e poi, davanti alla Corte di Cassazione, la difesa di Stasi aveva prodotto fotografie che dimostravano la medesima circostanza (la visibilità della portafinestra attraverso la parte bassa del cancello); inoltre la Corte di Cassazione – e prima di essa, la Corte di assise di appello in sede di rinvio – aveva preso atto di tale circostanza e aveva, tuttavia, ritenuto l’impossibilità per il conducente di un’autovettura in movimento di “notare con esattezza (si noti il verbo utilizzato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25799 del 2016: non di “vedere” la portafinestra attraverso il cancello, ma di “notarla”, quindi facendo riferimento alla concreta possibilità per il conducente dell’autovettura di spostare lo sguardo verso il cancello, di guardare attraverso lo stesso e di prendere nota che la portafinestra era aperta o chiusa) le condizioni della portafinestra della cucina, dalla parte bassa del cancello non chiusa”.

Su questa valutazione – in parte implicita, in parte esplicita – l’ordinanza oggi impugnata si diffonde, osservando che dagli atti era emersa la “fugacità” della visione dell’abitazione dei Poggi da parte della teste Travain, caratteristica che lo stesso Giudice dell’udienza preliminare aveva sottolineato (evidenziando, quindi, che, su questo aspetto, avevano concordato il primo giudice che aveva assolto Stasi e l’ultimo giudice che aveva reso definitiva la sua condanna).

8. La difesa ribadisce nel primo motivo che il novum della prova consisterebbe nella “dimostrazione plastica, tangibile dal Giudicante, che le persiane della cucina erano senza dubbio visibili ad un soggetto che transitasse in auto davanti a casa Poggi” e che, comunque, il filmato era prova nuova in quanto dimostrativo di un esperimento in movimento e non di una visione frontale del cancello, come quella offerta dalle fotografie prodotte nel corso del giudizio (secondo motivo).

Si tratta di argomentazioni infondate e, comunque, adeguatamente contrastate dall’ordinanza impugnata. Il filmato – per stessa ammissione del ricorrente – dimostra esattamente quanto mostravano le fotografie: il conducente dell’autovettura che si trovava nella condizione della testimone Travain poteva astrattamente vedere la portafinestra della cucina; l’unico “arricchimento” del dato fornito dal filmato, come sottolinea l’ordinanza, è il lasso di tempo in cui questa astratta visione era possibile: due secondi.

Il filmato, quindi, non fornisce alcuna prova nuova sul fatto che la testimone Travain avesse effettivamente visto la portafinestra della cucina, girando la testa mentre guidava, e tanto meno che ella avesse effettivamente notato che la portafinestra della cucina era chiusa (non sempre ciò che gli occhi vedono viene conosciuto ed elaborato dalla persona).

Per usare le stesse parole del ricorrente, i giudici avevano preso atto che la persiane della portafinestra erano visibili alla testimone, ma avevano ritenuto che ella non potesse averle notate.

9. Come si è anticipato, la quarta prova nuova (il parere tecnico dell’ing. Porta relativo all’arco temporale in cui era avvenuto il passaggio della testimone Travain davanti all’abitazione dei Poggi) perde di rilevanza in caso di inammissibilità della quinta prova di cui si è già detto: l’ora del passaggio diviene ininfluente in quanto la Travain non è stata ritenuta in grado di fornire certezza sul fatto che, nel momento in cui passava con la sua autovettura davanti alla casa dei Poggi, le persiane della portafinestra della cucina fossero chiuse; quindi non può affermarsi – come hanno fatto i Giudici della condanna di Stasi – che il delitto fosse avvenuto dopo il passaggio dell’autovettura della Travain, cioè in un momento incompatibile con il rientro di Stasi nella sua abitazione e con l’accensione del computer alle 9’35.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 19 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria, il giorno 14 maggio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.