Omicidio di Roberta Ragusa: la Suprema Corte motiva la colpevolezza di Antonio Logli confermando i vent’anni di carcere (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 29 novembre 2019, n. 48673).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LOGLI ANTONIO nato a PISA il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 14/05/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Monica BONI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Luigi BIRRITTERI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore del ricorrente;

udito i difensori delle parti civile:

– avv. Roberto Ciniglio, in difesa di Alpini Giovanna; Alpini Sonia; Ragusa Calogero; Napolitano Maria Catena e Ragusa Maria che chiede l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso come da conclusioni che deposita unitamente a nota spese;

udito l’avv. Nicodemo Gentile per ” Associazione Penelope Italia” chiede la conferma della sentenza con rifusione delle spese da anticiparsi a carico dell’Erario – rassegna conclusioni e nota spese e allega decreto di ammissione al gratuito patrocinio emesso dal Tribunale di Pisa il 19.9.16;

– avv. Enrico Maria Gallinaro per le pp.cc. Ragusa Annamaria e Ragusa Antonino chiede dichiararsi il ricorso inammissibile come da conclusioni che deposita unitamente a nota spese;

uditi per il ricorrente:

– I’ avv. Saverio Sergiampietri che espone le doglianze mosse alla sentenza ed insiste per l’accoglimento di tutti i motivi di ricorso;

– I’avv. Roberto Cavani espone le argomentazioni difensive ed insiste per l’annullamento della sentenza di secondo grado con ogni conseguente statuizione.

Ritenuto in fatto

1. Antonio Logli, dopo che l’iniziale sentenza di proscioglimento, emessa dal G.u.p. del Tribunale di Pisa in data 6 marzo 2015, era stata annullata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 16607 del 17 marzo 2016 (all.1), con pronuncia emessa in data 21 dicembre 2016 all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Pisa, veniva condannato alla pena di anni venti di reclusione, in quanto ritenuto responsabile dei delitti, unificati per continuazione, di omicidio aggravato e di distruzione di cadavere, commessi in danno della moglie Roberta Ragusa, nonchè al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione dalle medesime affrontate.

1.1 Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte di Assise di appello di Firenze con sentenza pronunciata in data 14 maggio 2018, partendo dalla considerazione del contenuto rescindente della sentenza di annullamento con rinvio dell’iniziale verdetto di proscioglimento dell’imputato, ha riesaminato il compendio probatorio ed è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado, di cui ha condiviso la decisione e, salvo minime divergenze, anche il percorso ricostruttivo degli eventi.

1.2 Da entrambe le sintoniche sentenze di merito emerge che il procedimento traeva origine dalla denuncia, sporta dall’imputato il 14 gennaio 2012 alle ore 13.32, della scomparsa della moglie Roberta Ragusa dall’abitazione familiare a seguito del rappresentato suo allontanamento, verosimilmente in orario compreso tra le ore 0,00 e le ore 6,45 di quello stesso giorno, constatato all’atto del proprio risveglio quella mattina e dal Logli ascritto allo stato di confusione mentale e di perdita di memoria, prodotto da un incidente domestico accaduto il 10 gennaio 2012, nel corso del quale la consorte aveva sbattuto la testa allorchè era stata investita dallo stesso marito, caduto da una scala.

Nelle dichiarazioni successivamente rese agli inquirenti questi aveva negato contrasti con la moglie e che costei o egli stesso avessero intrattenuto relazioni extraconiugali; in ordine ai propri movimenti compiuti la sera antecedente la scomparsa della moglie aveva riferito che verso le ore 23.00 si era recato presso gli uffici dell’autoscuola e che la stessa era rimasta a casa, ove l’aveva rinvenuta al rientro, quindi si era recato in soffitta per fare delle riparazioni e si era coricato, lasciandola intenta a seguire i programmi televisivi.

Le indagini avevano però fatto emergere una diversa realtà della vita di coppia, la cui unione era segnata da una profonda crisi per la stabile relazione extraconiugale che l’imputato aveva intrattenuto con Sara Calzolaio, collaboratrice dell’autoscuola ed amica della stessa Ragusa, che ne era stata consapevole e non aveva accettato tale situazione: la Calzolaio, infatti, di sua iniziativa aveva rassegnato ai Carabinieri la circostanza e di avere ricevuto dal Logli, al quale era legata da otto anni, istruzioni affinchè distruggesse i telefoni e le schede telefoniche che erano soliti utilizzare per comunicare tra loro.

Anche l’imputato aveva finito per ammettere la relazione, giustificando l’iniziale reticenza coll’intento di preservare l’amante dal coinvolgimento nelle indagini, mentre in realtà, secondo i giudici di entrambi i gradi, egli aveva reso dichiarazioni volte a stornare i sospetti dalla propria persona.

Dalle deposizioni del medico di famiglia e di alcune amiche della scomparsa si era appreso del disagio da questa vissuto in quel periodo per l’avvertito senso di esclusione dalla famiglia Logli e per la volontà di separarsi dal marito qualora non avesse interrotto la relazione con l’amante, intenzione ostacolata dall’indisponibilità di un alloggio ove trasferirsi e dalla consapevolezza che l’abitazione familiare, di proprietà del suocero, sarebbe rimasta al marito.

Anche in merito alla caduta occorsa il 10 gennaio, la Ragusa aveva loro confidato i sospetti che l’accaduto non fosse stato casuale, ma provocato volutamente dal Logli, tanto che nel proprio diario aveva annotato che egli aveva tentato di ucciderla.

Erano emersi come anomali i comportamenti tenuti dal Logli dopo la scomparsa della moglie per essersi posto alla sua ricerca soltanto alle 10.30 dopo averne constatato l’assenza da casa già alle ore 06.45 ed averne denunciato in via ufficiale la sparizione alle 13.22;

per non avere partecipato, né lui, né il padre alle ricerche, delegate ai Carabinieri, e non avere inteso divulgare notizie o fotografie relative alla scomparsa, atteggiamento che aveva destato stupore tra gli amici e coloro che erano impegnati a perlustrare la zona;

per essere stato notato dalla collaboratrice domestica, Margherita Latona, intento il 16 gennaio a raschiare con un oggetto metallico e poi a lavare il pavimento del vialetto d’ingresso carrabile, comportamento che aveva suscitato il convincimento della donna, poi comunicato al proprio marito, che egli stesse eliminando delle tracce compromettenti dal luogo nel quale insolitamente aveva parcheggiato la propria autovettura la notte del 13 gennaio con la parte anteriore rivolta verso l’esterno e quella posteriore a breve distanza dal portone di casa, e per essersi mostrato restio a credere ad un possibile ritorno della moglie e sulla possibilità che costei corrispondesse lo stipendio alla domestica;

per avere impedito, mediante l’espediente del preteso guasto alla propria autovettura, che il veicolo ed il giubbotto prelevato dalla casa la mattina dopo la scomparsa della moglie e mai più ritrovato, fossero sottoposti ad immediati controlli da parte dalle forze dell’ordine; per essersi recato senza alcun apparente motivo, mai spiegato nemmeno in seguito, la mattina del 14 gennaio 2012 tra le 7.31 e le ore 7.50, sebbene quel giorno in ferie, presso la sede della ditta Geste, dove lavorava, prima ancora di divulgare la notizia della scomparsa della moglie;

per avere avanzato richiesta di fruire di un’aspettativa “il più lunga possibile”, secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche e non spiegato nelle ragioni effettive nemmeno alla Calzolaio, dopo soli tre giorni dalla sparizione della moglie, istanza ritenuta incongrua in quel momento in cui non era per nulla certo il definitivo allontanamento della donna e giustificabile con la consapevolezza che ella non avrebbe più fatto ritorno.

Inoltre, da numerose testimonianze era emerso che la mattina del 14 gennaio il 1 Logli aveva presentato un graffio sulla fronte, assente sino al giorno precedente e non notato nemmeno dalla Calzolaio, per la cui presenza egli aveva fornito giustificazioni diverse, avendo asserito alla collaboratrice domestica Latona di avere sbattuto contro uno spigolo ed ai Carabinieri di San Giuliano Terme di essersi graffiato con i rami di una pianta d’ulivo.

Dai tabulati relativi al traffico telefonico delle utenze in uso all’imputato ed alla Calzolaio era emerso che nella notte fra il 13 e 14 gennaio 2012 essi avevano comunicato tre volte, ossia dalle 23.08 sino alle ore 23.53; dalle 23.56 alle 0.16; dalle 0.17 per soli ventotto secondi e si era accertato che le utenze erano state posizionate in zona corrispondente alle abitazioni dei due utilizzatori; la Calzolaio aveva riferito che la mattina seguente alle 7.30 il Logli l’aveva informata che la moglie non era in casa e le aveva chiesto di spegnere il telefono e di fare uso dell’altro cellulare, salvo poi ripetere l’annuncio verso le ore 11.00 alla presenza dell’amico Meini, il quale aveva riportato l’impressione che la donna ne fosse stata già a conoscenza per la brevità e fugacità della comunicazione.

In seguito il Logli già dalla sera del 15 gennaio alle 22.00 aveva intimato all’amante di disfarsi dei cellulari e di cancellare anche i messaggi di posta elettronica, istruzioni impartite prima ancora di sapere che la scomparsa della moglie potesse ritenersi definitiva.

Tramite ulteriori testimonianze si erano apprese notizie sui movimenti compiuti dall’imputato e dalla Ragusa nella notte tra il 13 ed il 14 gennaio; il teste Loris Gozi, vicino di casa della coppia, aveva riferito che quella notte verso le ore 0.30, nel fare rientro alla propria abitazione dopo avere prelevato la moglie dal luogo di lavoro, aveva notato su via Gigli, parcheggiata sul lato destro, una Ford Escort scura con i fari spenti all’interno della quale vi era un soggetto in atteggiamento di attesa, il quale aveva tentato di nascondere il viso con la mano, ma che aveva riconosciuto nel Logli, cosa che l’aveva stupito per la stranezza della situazione e che alle successive ore 1.00-01.30, nel portare fuori il cane, aveva notato un veicolo Citroen di piccola cilindrata quasi nella stessa posizione in cui si era trovata poco prima la Ford Escort, aveva quindi visto le sagome di un uomo somigliante al Logli e di una donna, non riconosciuta, aveva percepito che l’uomo con atteggiamento aggressivo stesse cercando di caricare in auto la donna, che, spaventata, aveva opposto resistenza e gridato, chiedendo aiuto e tentando di scappare, ma l’uomo l’aveva afferrata e fatta entrare nel veicolo a forza, facendole battere la testa contro il telaio per poi abbandonare il luogo a forte velocità.

Le grida della donna erano state avvertite anche dalla moglie e dalla cognata, che si erano trovate in casa a distanza di circa 150 mt. dal luogo della lite e la mattina del giorno successivo il Logli si era presentato presso la sua abitazione a chiedere se potesse cercare all’interno della sua proprietà l’eventuale presenza della moglie, di cui aveva mostrato una foto incorniciata, perché asseritamente allontanatasi da casa nel corso della notte precedente, verifica che aveva dato esito negativo e l’imputato si era ripresentato nuovamente anche nel pomeriggio dello stesso giorno, secondo gli inquirenti per verificare se il Gozi avesse visto ed appreso qualcosa di compromettente.

La testimonianza del Gozi era ritenuta attendibile e convergente con quella resa dalla moglie Anita Gombi e dalla suocera Rustichelli, oltre che riscontrata: dagli accertamenti sul traffico telefonico generato dalla utenza della Gombi, indicativo della sua presenza la sera del 13 gennaio presso il luogo di lavoro; dalla chiamata al marito per essere prelevata alle ore 0.18 e dell’uscita a fine turno alle 0.30 con la piena compatibilità del transito sulla via Gigli tra le ore 0.30 e le ore 0.45; dalle tracce della presenza della Ragusa, percepite dai cani molecolari che avevano fiutato dei suoi indumenti, nella zona dei campi retrostanti la proprietà Logli in un percorso che, dopo aver superato la recinzione fin sopra la ferrovia, aveva raggiunto via Gigli per poi tornare indietro.

Inoltre, a carico dell’imputato erano posti altri due elementi indiziari, apprezzati come dal significato univoco e concordante nell’indicarlo quale responsabile della sparizione della moglie.

Si tratta dell’esperimento effettuato con il collaboratore Manuel Ruggeri la notte del 25 gennaio 2013 per verificare se fosse possibile vedere all’interno di un veicolo parcheggiato in strada al buio dopo che una trasmissione televisiva aveva diffuso la notizia dell’esistenza di un teste che lo aveva visto litigare con una donna sulla via Ulisse Dini, così erroneamente individuata, nel corso della quale prova, svolta, invece, nella via Gigli nelle stesse condizioni in cui era stato descritto dai testi, si era chiesto, ed era stato intercettato nel farlo, come potessero dire una simile bugia, esprimendosi al plurale, perché consapevole della presenza di più soggetti che lo avevano incontrato e mostrando conoscenza di informazioni non divulgate dalla stampa o dalla trasmissione televisiva ed in possesso soltanto dei testi, degli investigatori e da chi si era trovato quella notte in quel luogo.

Ed ancora nel corso di una intervista televisiva egli aveva affermato che, abbandonando la casa, la moglie poteva avere scavalcato la recinzione a mezzanotte, per poi accorgersi dell’errore compiuto per avere riferito agli inquirenti di essersi trovato a quell’ora a casa a dormire e di averne scoperto l’assenza soltanto l’indomani mattina.

Dalla considerazione congiunta dei superiori elementi la Corte di Assise di appello ha dedotto la seguente ricostruzione degli eventi: la vittima, preparatasi per il riposo notturno, tanto da avere indossato un pigiama di colore rosa chiaro e delle ciabatte, secondo la descrizione resa dalla figlia Alessia, già messa in allarme dall’episodio della caduta dalle scale provocata dal marito, dopo avere sorpreso il marito al telefono con l’amante ed impaurita per la possibile reazione aggressiva di questi, una volta vistosi scoperto, si era data alla fuga per i campi vicini all’abitazione nel timore per la propria incolumità.

Il Logli, dopo l’ultima telefonata con l’amante, si era posizionato a bordo della propria auto Ford Escort sulla via Gigli, ove era stato visto dalla coppia Gozi-Gombi, verosimilmente in attesa di vedere comparire su quella via la moglie, fuggita per la campagna; accortosi di essere stato riconosciuto, nonostante il tentativo di nascondere il volto con la mano, aveva cambiato auto e prelevato la Citroen C3 in uso alla moglie, lasciando la Ford sul vialetto, anziché nel cortile, come notato dalla teste Latona.

Aveva quindi intercettato la moglie, proveniente dai campi, in via Gigli, l’aveva costretta a salire in auto e quindi l’aveva condotta in luogo ignoto per sopprimerla senza che in seguito si fossero più avute sue notizie, presentandosi il giorno seguente con un evidente graffio sul volto, riportato durante la lite osservata dai testimoni, per denunciarne la scomparsa dopo avere fatto sparire il giubbotto marrone indossato quella notte.

Anche nel giudizio della Corte distrettuale nessuna ipotesi alternativa presenta un minimo di consistenza e di plausibilità, posto che: nessun proposito suicidiairio era emerso e la sua realizzazione avrebbe condotto al rinvenimento del cadavere; l’amnesia improvvisa era stata sostenuta soltanto dall’imputato mentre sino a quella sera la Ragusa aveva mostrato lucidità e consapevolezza anche nel corso della visita condotta dal suo medico; l’allontanamento volontario non era plausibile fosse stato intrapreso, indossando di notte a basse temperature invernali un solo pigiama e ciabatte, ma senza condurre con sé denaro, telefono, una vettura e senza disporre di un luogo ove rifugiarsi, senza mai dare segni dell’esistenza in vita nei sei anni successivi nemmeno nei confronti dei figli, cui era molto legata e verso i quali prodigava premurose cure.

Quanto al movente, è stato individuato nel logoramento del rapporto coniugale e nell’intento dell’imputato di sbarazzarsi della moglie per proseguire liberamente la relazione con la Calzolaio senza dover affrontare gli aspetti patrimoniali di separazione e divorzio, che avrebbero comportato delle perdite economiche, essendo la comune attività intestata alla Ragusa.

Il mancato ritrovamento del corpo senza vita di Roberta Ragusa è stato ritenuto non ostativo alla ricostruzione della vicenda in chiave omicidiaria, per l’unica spiegazione ritenuta plausibile lo addebita a causa violenta, ascrivile ad opera di terzi, avvenuta in prossimità della sua scomparsa.

2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso l’imputato per il tramite dei suoi difensori, avv.ti Roberto Cavani e Saverio Sergiampietri, i quali ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della responsabilità penale per il delitto di omicidio.

A fronte del mancato ritrovamento del cadavere di Roberta Ragusa, entrambe le sentenze assumono essere avvenuto l’omicidio la stessa sera della sua scomparsa nell’affermata inesistenza di valide spiegazioni alternative, quali il suicidio, l’allontanamento volontario, o l’allontanamento autonomo per perdita di coscienza magari seguita da violenza da parte di terzi.

Tale conclusione è frutto dell’omessa valutazione di elementi di prova contraria specificamente segnalati dall’atto di appello. L’ipotesi dell’allontanamento volontario era avvalorata dalle deposizioni di:

a) Adriana Alpini, secondo la quale due mesi prima della sua scomparsa la nipote Roberta Ragusa le aveva confidato di essere stanca di doversi occupare di tutto e che avrebbe voluto lasciare i figli al padre perché si accorgessero di quanto lei faceva (per recarsi a riposare in un luogo caldo come la Sicilia, le aveva dato 500 euro);

b) Sara Calzolaio, secondo la quale la Ragusa aveva accumulato in alcune buste del vestiario usato, era solita portare a casa il denaro incassato dall’autoscuola e la sera precedente la scomparsa le aveva detto “tutto può ancora succedere” in conseguenza della visita medica cui si era sottoposta dopo la caduta;

c) Simona Zacchi, per la quale la Ragusa era solita ricevere somme di denaro dalla zia Adriana Alpini, cui aveva proposto di darle la quota residua dei suoi risparmi dopo avere anche beneficiato le cugine Sonia e Giovanna.

Inoltre, l’esclusione di una relazione extraconiugale intrattenuta dalla Ragusa è stata operata per l’assenza di tracce di telefonate sospette relative alla sua utenza senza sia stata verificata la possibilità di una seconda utenza, tenuta segreta e dedicata a tale scopo, mentre due testi hanno riferito delle voci circolanti in paese circa il suo legame con un amante ed il teste Filippo Campisi, erroneamente ritenuto inattendibile, nonostante avesse fornito spiegazioni esaurienti circa i movimenti compiuti quella sera e le ragioni della mancata immediata rivelazione, ha riferito di aver visto una donna uscire dall’autoscuola Futura del Logli ed entrare all’interno di un’autovettura indossante una vestaglia e sotto un pigiama, circostanze riferite anche alla di lui moglie.

L’ipotesi alternativa dell’allontanamento volontario per perdita di coscienza è stata esclusa in base ad una pretesa massima di comune esperienza e non alla precisa e completa valutazione delle risultanze probatorie.

La Corte distrettuale, travisando l’effettivo contenuto delle dichiarazioni della teste Occhinegro, sostiene che costei non avesse “riscontrato traccia di alterazione”, ma tanto non offre certezze sulle effettive condizioni di salute della Ragusa, tanto più che il sanitario non ha escluso che a distanza di tempo dall’evento traumatico non si potessero presentare effetti collaterali, la cui probabilità non può negarsi con assoluta certezza, così come non può negarsi che, uscita di casa in preda ad uno stato di perdita di coscienza, sia stata avvicinata da un malintenzionato che l’abbia uccisa, nascondendone e/o distruggendone poi il cadavere, magari anche molto lontano da casa, come avvenuto in un caso criminoso nel 2000, in cui tale Florian Sulzenbacher di San Candido, era stato condannato e ristretto in carcere per l’omicidio di una donna, che, trascorsa la serata con lui, era stata poi uccisa da altro uomo incontrato successivamente e che aveva abbandonato il suo corpo in un luogo molto lontano.

b) Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha erroneamente attribuito decisiva rilevanza dal punto di vista probatorio al comportamento dell’imputato in violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen..

La sentenza d’appello in base ad un’impostazione erronea, secondo la quale il reo è punito per quello che è e non per quello che fa, ha dichiarato la responsabilità penale del ricorrente senza prove della sua condotta illecita, ma ha interpretato in modo opinabile le sue reazioni di fronte alla scomparsa della moglie, come se queste ultime potessero rappresentare validi indizi.

La mancata sottoposizione ad interrogatorio costituisce lecita linea difensiva e le pretese incongruenze comportamentali sono descritte in modo non rispondente alla realtà, in quanto: l’indicazione di essersi coricato a mezzanotte è stata fornita in via indicativa e non precisa; non risponde al vero che immediatamente dopo la scomparsa della moglie egli avesse iniziato la convivenza con la Calzolaio; la reticenza sulla relazione extraconiugale con la Calzolaio nel verbale del 16 gennaio 2013 è stata ininfluente sulle ricerche in corso, mentre l’invito alla Calzolaio a disfarsi del telefono utilizzato per le loro conversazioni le è stato rivolto il 15 gennaio e non immediatamente dopo la scomparsa della moglie e l’individuazione delle utenze è avvenuto quasi nell’immediato da parte dei Carabinieri.

c) Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella ricostruzione dell’incidente domestico della caduta dalle scale, frutto di travisamento della prova.

Sebbene sia certo che i coniugi Logli-Ragusa nella tarda mattinata del 10 gennaio 2012 erano caduti insieme dalla scala retrattile che conduce alla soffitta, la percezione di grave pericolo per la propria incolumità da parte della Ragusa non è supportata da risultanze oggettive, ma da un’interpretazione personale del suo pensiero, compiuta da alcuni testi.

Benedetta Partini, al contrario, ha riferito che la Ragusa le aveva narrato l’episodio, che l’aveva fatta molto arrabbiare per il pericolo corso di battere la testa contro due mobili presenti nell’ingresso ed aveva aggiunto in modo sarcastico che il marito aveva provato ad ammazzarla, sicchè il sarcasmo rivela che la stessa Ragusa non aveva creduto all’ipotesi del tentato omicidio.

Anche quanto riferito a Monica Casini e Sara Calzolaio e da queste testimoniato avvalora il convincimento della Ragusa che il marito non l’avesse fatta cadere apposta e lo stesso figlio Daniele Logli ha riferito che, rientrato in casa poco dopo l’incidente, aveva sentito la madre lamentarsi per le modalità della caduta e contestare al padre di essersi aggrappato a lei nel cadere insieme.

Inoltre, ella non si era recata al pronto soccorso per farsi visitare e non aveva confidato l’episodio alla cugina Sonia Alpini diversamente da quanto accaduto quando aveva ritenuto di avere sorpreso il marito al telefono con l’amante, mentre la caduta aveva esposto a pericolo anche il Logli stesso precipitato da altezza maggiore con maggior rischio per la propria incolumità.

d) Manifesta mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al giudizio di attendibilità dei testi Gozi e Gonnbi e travisamento delle risultanze probatorie. -Le modalità d’individuazione del Gozi quale soggetto a conoscenza di fatti rilevanti sulla sparizione della Ragusa non sono state accertate con chiarezza ed è stato smentito che ciò sia avvenuto a seguito delle dichiarazioni dei testi Spinetti e Quagliano, non indicati nella prima nota del 10 ottobre 2012, ed i cui nomi erano stati fatti in realtà dallo stesso Gozi.

Anche le dichiarazioni rese dallo Spinetti non collimano con quelle del Gozi circa la duplicità di avvistamenti, il litigio tra il Logli ed una donna e la complessiva descrizione dei fatti -Il Gozi e la moglie Gombi hanno modificato continuamente la loro versione dell’accaduto e si sono contraddetti a vicenda a riprova della continua pianificazione tra loro delle dichiarazioni da rendere e modificate in “coppia”, profili illogicamente svalutati in sentenza.

Le spiegazioni fornite per l’iniziale reticenza, legate all’atteggiamento culturale dell’etnia “sinti” ed al timore di essere coinvolto nelle indagini, non tengono conto del fatto che il Gozi era stato già condannato per furto ed era ad uso a frequentare le aule di giustizia e quindi non danno conto delle indiscusse contraddizioni nel narrato dei due testi e del fatto che i due coniugi avevano rivelato a madre del Gozi e cognata quanto a loro conoscenza soltanto dopo le prime convocazioni da parte degli inquirenti ed il clamore del caso.

Quanto alle tracce olfattive percepite da un solo cane molecolare, secondo la testimonianza del Meini, le stesse descrivono un percorso che dall’abitazione dei Logli conduceva nei campi retrostanti sin sopra la ferrovia e da lì fino a via Gigli nel tratto compreso tra il passaggio a livello e la via Ulisse Dini, quindi dalla via Gigli di nuovo sino alla proprietà Logli, il che significa che il cane non aveva perso la traccia ma che l’aveva seguito sino al ritorno al punto di partenza e che la presenza sulla via Gigli è in un punto con direzione opposta a quella che avrebbe dovuto seguirsi secondo il racconto del Gozi sulla posizione delle due persone che aveva visto litigare.

Inoltre, due ore dopo questa prima attività di ricerca altra squadra con cani molecolari non aveva percepito tracce il che pone dei dubbi sull’effettività di quelle percepite inizialmente da altro animale, che comunque non era destinato alla ricerca di singola persona, il che non offre certezze sulla presenza della Ragusa in via Gigli passando per i campi dai quali avrebbe poi fatto rientro a casa.

L’orario dell’avvistamento del Logli a bordo di una vettura in sosta sulla via Gigli è incerto e frutto di travisamento; la sentenza erra nell’ancorare l’orario alla chiamata telefonica effettuata dalla Gombi alla cognata alle ore 0.18, perché diretta all’utenza cellulare di Cristina Grandini, moglie di Claudio Gozi, fratello di Loris, ma abitante a chilometri di distanza dall’alloggio del Gozi stesso; non viene superata l’obiezione difensiva circa la divergenza nelle dichiarazioni dei due testi sul punto di partenza del Gozi quando si era recato a prelevare la moglie dal luogo del lavoro, per il Gozi da casa propria, per la moglie dalla casa del di lui fratello situata a Nodica.

Dalla diversità di percorso discende anche un diverso orario di transito della coppia dalla via Gigli ed il dubbio che quella sera il Gozi non sia andato effettivamente a prelevare la moglie, ben avendo averlo fatto la cognata Grandini come accaduto in altre occasioni, ipotesi avvalorata dal fatto che la Gombi non aveva chiamato il marito alla utenza cellulare di questi, probabilmente perché consapevole della sua indisponibilità. Non ha ottenuto risposta congrua l’obiezione circa il celato possesso da parte del Gozi di quell’utenza, il che induce a dubitare ulteriormente della sua attendibilità.

E’ manifestamente illogica la ritenuta compatibilità tra gli orari dei due avvistamenti effettuati dal Gozi e dai coniugi Latona-Boni, i quali, secondo i tempi riferiti e le telefonate effettuate quella notte, dovevano essere transitati innanzi all’abitazione dei Logli con ogni probabilità alle ore 0.35 mentre il Gozi aveva effettuato il percorso da via Gigli non prima dell’una di notte, come riferito nel verbale di s.i.t. del 10 ottobre 2012 prima di abbandonare l’atteggiamento reticente; l’avvistamento effettuato dalla Latona alle ore 0.35 conferma l’alibi del ricorrente, ossia che a quell’ora egli era a casa e che da quel luogo non si era mai allontanato, assunto smentito soltanto dall’avvistamento del Gozi.

E’ stato oggetto di travisamento anche la prova relativa alle visite effettuate dal Logli presso l’abitazione del Gozi, cosa che è stata collocata alle ore 10.00 dalla teste Rustichelli ed alle ore 11.00-11.30 dal Gozi.

L’effettuazione della visita al Gozi alle ore 10.00, ritenuta possibile in sentenza per l’esistenza di un lasso temporale di dodici minuti senza telefonate effettuate sull’utenza del ricorrente, non tiene conto che alle ore 9.59 dall’utenza fissa di casa Logli era stata effettuata una chiamata all’utenza della zia della Ragusa, Adriana Alpini a riprova del fatto che egli era presso l’abitazione, mentre la plausibilità della visita alle ore 11.30 è affermata in termini laconici e travisanti poiché il teste Meini ha collocato il rientro a casa Logli con il ricorrente alle ore 11.33 e vi si era trattenuto con più persone facendo loro vedere la sveglia telefonica impostata sul telefono cellulare della moglie ed il teste Condello ha errato nel collocare alle ore 11.30 la sua presenza a casa Logli e la sua testimonianza non assume valore per collocare la visita dell’imputato dal Gozi.

E’ stato travisato anche il dato del riconoscimento, effettuato dal Gozi in incidente probatorio, della fotografia esibitagli dal Logli durante la visita della mattinata, che non è veritiero se l’immagine era stata stampata e non incorniciata dopo essere stata estrapolata dalla memoria del computer di casa Logli da parte del figlio Daniele, una volta rientrato da scuola.

In sentenza si riconosce l’errore mnemonico commesso dal Gozi, che in realtà ha deposto il falso sul punto, ma lo si giustifica per la similitudine delle fotografie inserite nell’album acquisito agli atti con una congettura, mentre anche la Rustichelli riconosce la stessa foto con certezza senza che la stessa le venga mostrata incorrendo stranamente nel medesimo errore, che tale non è se non la falsità deliberata delle loro dichiarazioni per non avere gli stessi visto nessuna fotografia e non essere avvenuta nessuna visita del Logli.

Ulteriore errore motivazionale si ravvisa nella congettura sul prelievo e sull’esibizione di una foto incorniciata prelevata da casa in tutta fretta, cosa del tutto superflua se il Gozi conosceva già la Ragusa per avere effettuato una pratica nel 2010 presso la autoscuola Futura.

Altra contraddizione, non considerata in sentenza, riguarda il fatto che per la Rustichelli il Logli si sarebbe presentato con un altro uomo, per il Gozi da solo.

E’ stata omessa la motivazione in ordine alla contestazione difensiva sull’inattendibilità delle dichiarazioni del Gozi sulla visione di macchie di sangue il giorno 16 gennaio 2012, particolare riferito due settimane dopo l’incidente probatorio e collocate nel corso del sopralluogo effettuato con la p.g. in un punto distante circa 30 mt. dal luogo di presunta sosta della Citroen e della descritta lite tra un uomo ed una donna, vista la notte del 14 gennaio. Tale dettaglio in realtà si ritorce contro il dichiarante.

E’ illogica la motivazione laddove la Corte di appello qualifica come indizio primario il c.d. esperimento del 25 gennaio 2013, poiché l’attribuzione a due testimoni della affermazione circa la presenza del ricorrente la notte della scomparsa della Ragusa sulla via Gigli non trova riscontro probatorio nemmeno nella conversazione intercettata con la Calzolaio del 5 febbraio 2013 ed il riferimento al plurale può essere riferito in via generica agli organi di informazione e/o ai giornalisti ed anche le trasmissioni televisive dei giorni precedenti avevano citato di più soggetti che avevano descritto quanto accaduto nella via Dini ed in altra strada limitrofa, circostanza evidenziata anche nella relazione RONI del 5 febbraio 2013.

Anche l’intercettazione ambientale progressivo n.10 RIT 18/13 del 25.10.13 è inutilizzabile o comunque irrilevante perché incomprensibile, il che ne rende incerta l’interpretazione di alcune parole pronunciate, estrapolate dal loro contesto, sicchè all’episodio non può assegnarsi il valore di indizio “primario”, poiché il dato è incerto e non riscontrato e comunque la presenza sulla via Gigli dipende dal fatto che la stessa è limitrofa a via Dini, menzionata espressamente nel servizio televisivo.

La motivazione è illogica e contraddittoria anche quando qualifica indizio primario il contenuto dello stralcio dell’intervista televisiva rilasciata dal ricorrente, elemento privo di valenza indiziaria univoca.

Per la Corte di appello, il Logli sarebbe colto a dire il falso quando avrebbe affermato di essere andato a letto a mezzanotte mentre a quell’ora era impegnato in conversazione telefoniche con la Calzolaio, consapevolezza non tenuta in considerazione dalla Corte di appello, che non si interroga sull’eventuale menzogna riferita anche quando l’imputato aveva descritto le attività della moglie. In realtà, il riferimento all’orario è generico e l’intervista è frutto del montaggio di più spezzoni per cui il passaggio considerato andava letto nel contesto del dialogo con la giornalista senza tralasciare che in ogni caso la frase ha contenuto equivoco; non è stato considerato quanto affermato successivamente ossia che comunque era notte e buio quando la moglie aveva scavalcato la recinzione.

E’ frutto di travisamento della prova e di congetture anche l’affermazione per la quale questo elemento indiziario sarebbe di particolare rilevanza a dimostrazione del fatto che il Logli avesse “ben chiara conoscenza, delle ragioni, dell’ora e delle modalità con le quali la moglie si allontanò da casa”, poiché egli stava descrivendo l’attività di ricerca col cane molecolare.

E’ contraddittoria ed illogica la motivazione in relazione al preteso movente economico.

Non è provato che il Logli avesse interesse alla morte della moglie e che temesse le conseguenze economiche di eventuale separazione da costei, secondo quanto riferito dalla teste Cinzia Triglia, autrice di un racconto grottesco ed improbabile sulle confidenze ricevute dal Logli dopo avere consumato un rapporto sessuale a pagamento, testimonianza priva di riscontro anche in ordine all’identificazione del cliente nel Logli, compiuto in termini incerti e non attendibili anche per il decorso di dieci mesi tra l’incontro e la deposizione e l’impossibilità di risalire all’utenza telefonica con la quale la donna era contattata dai clienti, mentre l’indagine sulle chiamate effettuate dalle utenze in uso all’imputato ha dato esiti negativi.

La deposizione della Calzolaio consente di escludere che il Logli non avesse inteso separarsi dalla moglie per questioni economiche, avendo preferito non farlo nell’interesse dei figli ed analogamente quella di Calogero Ragusa, cugino di Roberta, per il quale il Logli non aveva timori poiché la moglie era intenzionata a tenere unita la famiglia.

Inoltre, la situazione patrimoniale della Ragusa era tale da far escludere potesse avere diritto a percepire dal marito un assegno di mantenimento in caso di separazione. -Il vizio di motivazione è riscontrabile anche nella ricostruzione del presunto fatto storico di omicidio, condotta in difformità dalla prima sentenza ed in assenza di dati probatori, ma in base a mere congetture.

La Corte di appello ha ritenuto che la Ragusa sarebbe fuggita da casa senza fosse insorta una lite col marito, ma dopo essere stata scoperta a spiarlo nelle sue telefonate con l’amante: si tratta di una stravagante congettura, perché nessuna prova sussiste di tale scoperta e di un atteggiamento più guardingo e sospettoso, smentito dalle deposizioni della Calzolaio e dei due figli Daniele ed Alessia, che hanno descritto come tranquillo e consueto il comportamento della madre.

E’ manifestamente illogico ritenere che di fronte ad un’ipotetica paura per la propria incolumità, non suscitata da una condotta del marito, la Ragusa sia fuggita di casa in piena notte per i campi senza chiedere aiuto ad alcuno, nemmeno agli amici e vicini di casa Meini ed ai suoceri, che pure abitavano nello stesso luogo e non vi è spiegazione di come ella avesse potuto percepire la conversazione tra il marito e l’amante, di come il Logli potesse avere avuto visione della sua fuga e del tragitto seguito e quello seguito dal cane molecolare l’indomani disegna un percorso chiuso con rientro all’abitazione quale punto di partenza, il che contraddice l’incontro sulla via Gigli.

Vizio di motivazione in ordine all’asserito riconoscimento del Logli e della Ragusa da parte del Gozi, la cui testimonianza costituisce l’unico elemento che attesta l’uscita di casa dell’imputato la notte tra il 13 ed il 14 gennaio 2012.

E’ illogico ritenere che il Logli avesse cambiato auto, prelevando la Citroen della moglie perché riconosciuto dal Gozi nel corso del primo avvistamento poiché entrambe le vetture erano in suo possesso da tempo e quindi ricollegabili alla sua persona. In realtà il Gozi non poteva avere avuto una chiara visione del soggetto fermo all’interno della Ford Escort sulla via Gigli per il buio ed il movimento della propria autovettura e la brevità dell’incontro.

Anche l’identificazione nel Logli dell’uomo che il Gozi asserisce aver visto in un secondo momento litigare con una donna è sfornita di indicazioni da parte del teste ed è operata in base ad una mera congettura, ossia per la presenza del Logli a bordo della Ford Escort SW poco prima, ma si tratta di una presunzione arbitraria, priva di dati probatori di conferma ed il Gozi è stato molto vago nella descrizione delle persone e quindi inattendibile, non ha offerto certezze che si trattasse di una Citroen C3, ne ha descritto in modo erroneo i fanali e non ha annotato il numero di targa del veicolo.

Per quanto sopra esposto devono ritenersi insussistenti gli elementi che il Giudice utilizza per ascrivere al Logli le condotte contestategli nel capo di imputazione, poiché l’intero ragionamento indiziario si basa su un dato incerto, il riconoscimento dell’imputato.

Manifesta illogicità della motivazione per avere ritenuto commesso il delitto di omicidio, pur in assenza del cadavere, nonostante il fatto non sia stato dimostrato.

Non si è considerata l’assenza di tracce rilevanti su entrambe le vetture dei Logli, nonostante le accurate indagini condotte, elemento che non essere utilizzato a carico dell’imputato.

In ordine alla ritenuta sussistenza del dolo di omicidio sono evidenti i vizi di motivazione poiché la responsabilità è stata affermata, nonostante difettino indicazioni plausibili circa la dinamica dell’uccisione.

E’ insufficiente a tale fine fare ricorso al movente, che costituisce un fattore sussidiario, mentre la prova dell’intenzione omicidiaria avrebbe dovuto essere ricavata dagli aspetti oggettivi del fatto. La pronuncia di condanna del Logli è frutto di uno sforzo ricostruttivo ed interpretativo che ha inteso colmare i vuoti investigativi con attività congetturale ed argomenti logici.

Pertanto, la Corte di appello avrebbe dovuto prendere atto delle carenze conoscitive e, in nome del principio del ragionevole dubbio, emettere sentenza di proscioglimento.

3. Con memoria pervenuta in data 14 giugno 2019 la parte civile Associazione Nazionale Penelope Italia in persona del suo Presidente ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso dell’imputato con la conseguente conferma della sentenza impugnata.

Ha rappresentato che i motivi ripropongono questioni già sottoposte al vaglio della Corte di appello e superate con argomentazioni pertinenti e logiche e che la motivazione della sentenza di appello si salda con quella di primo grado in un caso di doppia conforme decisione di colpevolezza, non efficacemente avversata dalla difesa, che ha proposto una lettura alternativa dei dati probatori.

Ha quindi dedotto che: -la disamina delle possibili ricostruzioni alternative, è censurata come erronea in termini assertivi poiché la Corte di appello dà conto delle ragioni di esclusione delle ipotesi di suicidio o allontanamento volontario o coatto ad opera di terzi e dell’unica conclusione possibile dell’omicidio, pur in assenza di cadavere, secondo un procedimento indiziario corretto e logico; gli stralci di deposizioni di testi su dicerie paesane, che sono inutilizzabili, non contraddicono efficacemente la negazione, proveniente da altri testi dell’accusa, di qualsiasi relazione extraconiugale della Ragusa e nemmeno la considerazione della sua personalità e delle sue abitudini di vita, incompatibili con un suicidio o una fuga volontaria.

Anche l’attendibilità della deposizione del Campisi è stata considerata negativamente con argomentazioni diffuse e non travisanti, per cui l’evocazione del ragionevole dubbio è priva di giustificazione in un caso in cui nessun elemento probatorio sostiene le ipotesi prospettate dalla difesa.

E’ inammissibile il motivo che lamenta essere stato basato il giudizio di responsabilità su una sorta di “colpa d’autore” poiché i giudici hanno vagliato i comportamenti tenuti dall’imputato, ricostruiti puntualmente quanto alle sue reazioni alla scomparsa della moglie, alla mancata esposizione della propria versione dei fatti, alle menzogne offerte agli inquirenti in ordine alla relazione con la Calzolaio ed ai buoni rapporti con la moglie.

E’ inammissibile la doglianza sulla ricostruzione dell’incidente domestico del 10 gennaio 2012, fondato su precise risultanze probatorie e sull’annotazione nel diario della Ragusa per dimostrare lo stato di allerta e di inquietudine che si era in lei ingenerato per il significato volontario e lesivo attribuito al gesto del marito, interpretato da lei stessa come un tentativo di ucciderla, non dalla Corte di appello, limitatasi a prendere atto di tali emergenze.

Sono inammissibili le censure che riguardano la valutazione delle deposizioni dei coniugi Gozi e Gombi, oggetto di una lettura alternativa in chiave difensiva e frazionata che non tiene conto della disamina completa e coordinata operata in sentenza, estesa anche alle denunciate discrasie tra le due testimonianze, apprezzate come indici della loro genuinità e dell’aggancio delle loro dichiarazioni a precisi dati oggettivi verificati quanto agli orari degli spostamenti, alla durata del turno di lavoro della Gombi, alla chiamata per essere prelevata, alla visita fatta dal Logli a casa Gozi l’indomani dell’avvistamento, confermata dalla Rustichelli, per comprendere cosa questi avesse visto e saputo; inoltre, i due indizi definiti primari, costituiti dall’esperimento notturno, effettuato dal Logli con un collaboratore sulla via Gigli e il lapsus in cui era incorso durante un’intervista televisiva circa l’orario di allontanamento della moglie da casa sono stati correttamente considerati un riscontro alle testimonianze del Gozi e della moglie.

E’ infondato o inammissibile il motivo che contesta la valenza indiziaria dell’episodio dell’esperimento con argomenti attinenti al merito quanto all’interpretazione della conversazione intercettata, di cui infondatamente si eccepisce l’inutilizzabilità perché incomprensibile, poiché si tratta di contestazione mai prima del ricorso sollevata, la difficile intelligibilità non determina divieto di utilizzo probatorio, l’errore interpretativo non è supportato da consulenza di diversa trascrizione e la censura non tiene conto della rivelazione di conoscenze su particolari non divulgati dalla stampa ed a conoscenza soltanto del teste Gozi, degli inquirenti, del soggetto avvistato dal teste stesso.

Anche il motivo che riguarda l’intervista rilasciata nel corso di trasmissione televisiva non è fondato, poiché all’errore commesso dal Logli nell’indicare la mezzanotte quale orario di allontanamento della moglie, nonostante egli avesse detto di essere a letto a quell’ora, correttamente apprezzato come tale, si è aggiunta la considerazione dell’immediato cambio di argomento per sviare l’attenzione nella consapevolezza del valore compromettente del particolare;

La doglianza di vizio motivazionale nella ricostruzione del movente economico non ha fondamento in quanto la deposizione della Triglia è stata valorizzata per individuare i rapporti tra l’imputato e la moglie, non ai fini del movente, mentre costituisce un dato certo che il Logli, nonostante la lunga relazione con la Calzolaio, non avesse mai inteso separarsi e che la Ragusa fosse intestataria di quote della società che gestiva l’attività di famiglia sicchè in caso di separazione avrebbero dovuto trovare regolamentazione i suoi diritti di socia e di soggetto coinvolto nella gestione dell’impresa; inoltre, da tempo la Ragusa nutriva dei sospetti sui comportamenti del marito, che aveva cercato di cogliere in flagrante, ponendosi in ascolto sulla scala che conduce alla soffitta di casa, secondo quanto riferito dalla teste Sonia Alpini.

Il motivo col quale si contesta la ricostruzione delle circostanze della scomparsa della Ragusa si basa sulla negazione del clima di sospetto in cui questa viveva e della logicità del suo comportamento di fuga per i campi anziché chiedere aiuto a terzi, ossia su obiezioni di fatto alle quali il giudizio di legittimità non può dare risposta, mentre l’accertamento dei suoi comportamenti operato in sentenza è logico e plausibile, spiega perché i figli non ebbero a percepire nulla di anomalo e perché la madre si diede alla fuga di notte in pigiama senza portarsi alcunché con sé.

Anche il motivo che s’incentra sul riconoscimento dell’imputato ad opera del Gozi va disatteso in quanto tale elemento è stato inserito in un più ampio ragionamento valutativo che si è avvalso anche di altri dati quali l’esperimento effettuato dall’imputato con l’amico Ruggeri che offre riscontro alle informazioni del teste; del pari irrilevante è il mancato ritrovamento del cadavere che rafforza l’ipotesi dell’omicidio e non la scredita, mentre l’assenza di segni di colluttazione, di sangue o altre tracce nell’abitazione o sulle autovetture è dipeso anche dal depistaggio posto in essere dallo stesso imputato, che aveva tutto l’interesse ad accreditare l’ipotesi dell’amnesia e dell’allontanamento della moglie in stato confusionale. Infine, la doglianza che lamenta il mancato accertamento del dolo, tenta di introdurre nel processo un tema mai dibattuto in precedenza e quindi di per sé inammissibile.

4. Con memoria depositata in data 20 giugno 2019 la difesa dell’imputato ha proposto dei motivi aggiunti, integrativi dei motivi originari.

Ha richiamato una massima tratta dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 1, n. 19746/2007), secondo cui la scomparsa improvvisa di una persona non implica necessariamente la sua soppressione violenta ad opera di terzi, cosa che vale anche nel caso specifico e che non è contraddetta nemmeno dalla sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione n. 16607/2016 di annullamento della pronuncia di non luogo a provvedere.

Ha rappresentato che le pressioni familiari a non rendere testimonianza sono state valorizzate in sentenza per spiegare il ritardo col quale il Gozi si era proposto come teste e le contraddizioni nel suo racconto, ma esse non possono giustificare il tenore delle dichiarazioni rese il 10 ottobre 2012 in concomitanza con la prima audizione dello stesso e della moglie ed è irrazionale il tentativo di ricondurre a tali presunte pressioni le reticenze riscontrate senza avvedersi di come i testi avessero concordato la versione da rendere agli inquirenti negli interrogatori del 10 e 11 ottobre 2012 e mutato la rievocazione dei fatti in tutti i verbali resi.

Non trova spiegazione in sentenza la circostanza dell’individuazione della Gombi quale testimone, sentita contemporaneamente al marito, sebbene la stessa non fosse stata previamente indicata come a conoscenza dei fatti dallo Spinelli e dal Quagliano.

Quanto alla ritenuta sussistenza del dolo di omicidio, nonostante la carenza di elementi probatori, non è stata presa in considerazione la possibilità di un delitto preterintenzionale o colposo, verosimile secondo quanto riferito dal Gozi nel momento in cui la vittima sarebbe stata tratta con la forza dentro l’autovettura, col conseguente difetto di motivazione al riguardo, mentre la deduzione del dolo dall’occultamento del cadavere realizza una petizione di principio inammissibile, poiché la conclusione sarebbe già inclusa nella premessa del ragionamento.

5. Anche la persona offesa, Daniele Logli, ha presentato una memoria con la quale ha dedotto di voler testimoniare la propria convinzione dell’innocenza del padre anche a ragione del fatto che la notte della sparizione della madre egli si era trovato nella propria camera da letto, adiacente alla scala che conduceva in soffitta senza avere avvertito né liti, né qualcosa di insolito e che il padre da allora ha costituito l’unico punto di riferimento della propria vita, la cui presenza gli ha consentito di lenire il dolore per la scomparsa della madre e per il clamore mediatico della vicenda.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile per le ragioni che di seguito verranno esposte.

1. La sentenza impugnata è pervenuta a decisione conforme rispetto a quella di primo grado sulla scorta di una coincidente valutazione della capacità dimostrativa degli elementi probatori acquisiti all’esito delle indagini preliminari, -pienamente utilizzabili in dipendenza della scelta del rito alternativo, non condizionato al compimento di adempimenti istruttori-, che ha stimato tali da negare qualsiasi ragionevole dubbio che l’imputato Antonio Logli sia l’autore dell’omicidio della moglie Roberta Ragusa e della distruzione del suo cadavere.

La difesa del ricorrente, nell’insorgere contro tale conclusione, ha censurato il percorso motivazionale di supporto della decisione quanto ai profili della sua congruità, completezza e razionalità per non avere la Corte distrettuale esaminato tutti i dati probatori disponibili, avere travisato il significato dimostrativo di alcune prove ed essersi affidata a congetture ed ipotesi prive di fondamento. Ha quindi articolato motivate censure secondo lo stesso schema espositivo, seguito nella sentenza impugnata, per contestare l’analisi critica degli indlizi ed il procedimento inferenziale mediante il quale la Corte di merito ha formato il convincimento della responsabilità dell’imputato.

2. Premesso che effettivamente la vicenda processuale in esame non ha potuto disporre di fonti informative direttamente rappresentative, che abbiano riferito o descritto l’azione delittuosa nella sua esatta dinamica esecutiva per avervi direttamente assistito o per averla registrata, al punto che il corpo senza vita di Roberta Ragusa ad oggi non è mai stato rinvenuto, il compendio probatorio disponibile ha certamente carattere indiziario, il che di per sé non integra una condizione impediente la formulazione legittima e processualmente affidabile del giudizio di responsabilità penale. S’impone a questo punto l’esposizione di alcune premesse di ordine generale circa le nozioni fondamentali, stabilite dall’elaborazione interpretativa di questa Corte, in tema di prova indiziaria, che i giudici di merito di entrambi i gradi hanno dato prova di avere ben presenti.

2.1 E’ noto che per indizio s’intende “un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cd. sillogismo giudiziario” (Cass. Sez. U., n. 6682 del 04/02/.1[992, dep. 04/06/1992, PM, p.c., Musumeci e altri, rv. 191230), ossia un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un’autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare.

Se dall’indizio è deducibile un’unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sé sufficiente (sez. 4, n. 19730 del 19/03/2009, Pozzi, rv. 243508) nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile.

Solitamente esso è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando “un livello di gravità e precisione, che è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare, e inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza”.

Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi secondo la regola dettata dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., di cui pretende l’accertamento della gravità, precisione e concordanza.

La riflessione esegetica condotta dalla giurisprudenza di legittimità è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria, in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite (Cass. sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993, Bianchi, rv. 193407; sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008, Zocco e altro, rv. 242123; sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, rv. 240762-240766): è dunque preteso che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni personali del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo.

Quanto ai caratteri dell’indizio, per gravità s’intende l’intrinseca capacità dimostrativa rispetto al thema probandum, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l’efficacia dimostrativa della prova ( Cass. sez. 1, n. 7027 del 08/03/2000, Di Telia, rv. 216181; sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, Qehalliu Luan, rv. 224962; sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011, Annunziata, rv. 251527; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, rv. 258321; sez. 1, n. 37348 del 06/05/2014, P.G. in proc. Witczak Lewandowska e altro, rv. 260278).

La lezione interpretativa costante di questa Corte ha precisato come l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. imponga anche un vincolo metodologico per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l’indizio in sé considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne “la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione” (Cass. Sez. U., n. 33748 del 12.7.2005, Mannino, rv. 231678) sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientifici; quindi, è necessario approdare al passaggio successivo, ossia alla considerazione unitaria e complessiva, che ne evidenzi “i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo” e chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sé considerato, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente dal punto di vista metodologico proporne una lettura in termini di mera sommatoria, né, all’opposto, un’analisi atomistica, priva del loro raffronto e della loro considerazione unitaria (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, rv. 231678; sez. 1, n. 30448 del 09/06/2010, Rossi, rv. 248384; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, rv. 258321; sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, Kuzmanovic, rv. 256967).

E’ poi illuminante l’avvertenza che nel descritto percorso da seguire nell’impiego della prova critica, che, partendo dalla considerazione del singolo dato informativo, saggiato nella sua persuasività, approdi ad una ricostruzione organica dei dati raccolti, il giudizio di gravità può differire per ciascuno di essi ed influenzarne la valutazione complessiva: la pluralità, che consente di ravvisare la concordanza, e la gravità sono requisiti tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando essi consentano una sola comune ricostruzione, mentre, all’opposto, in presenza di indizi particolarmente gravi, anche un numero ridotto può essere sufficiente per il raggiungimento della prova del fatto (sez. 5, n. 40274 del 19/04/2017, P.G., P.C. in proc. P, rv. 271011; sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, rv. 271228; sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, P.C. in proc. Graziadei, rv. 266941; sez. 5, n. 6397 del 21/02/2014, Pg in proc. Maggi ed altri, rv 259552).

2.2 Nell’impiego della prova indiziaria è dunque richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che attraverso l’utilizzo di regole di esperienza, -tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane in presenza di determinate condizioni e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di provata ricorrenza statistica- deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto per proporre una ricostruzione del fatto di reato “in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi (sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992, Di Palma, rv. 189682).

Tale operazione deve essere guidata dalla regola, positivizzata dall’art. 533 cod. proc. pen., comma 1, ma già riconosciuta quale criterio fondante il sistema processuale dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, rv. 222139), che impone di pronunciare sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato emerga al di là di ogni ragionevole dubbio, criterio generale per il riscontro della consistenza logica e della valenza dimostrativa del discorso probatorio. Come già affermato da questa Corte, tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di qualsiasi spiegazione alternativa del medesimo fatto segnalata dalla difesa (Cass. sez. 1 n. 53512 dell’11/07/2014, Gurgone, rv. 261600; sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, ed altri, rv. 259204; sez. 5 n. 10411 del 28/01/2013, Viola, rv. 254579), impone che la pluralità di soluzioni abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice e che l’esistenza di una ragionevole perplessità sulla ricostruzione alternativa, riguardante tanto la causale, che gli autori dell’azione criminosa, sia stata esclusa all’esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali.

Per convalidare sul piano logico il giudizio di colpevolezza, è dunque necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, o comunque si ponga al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana (Cass. sez. 1 n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, rv. 240763; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, rv. 258321; sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Pg in proc. Segura, rv. 262280).

Inoltre, la medesima regola pretende “percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standards conclusivi di alta probabilità logica, dovendosi riconoscere che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova” (Cass., Sez. U., n. 18620 del 18/01/2017, Patalano, rv. 269785, in motivazione).

2.3 Va completata questa breve rassegna degli orientamenti giurisprudenziali sulla prova logica, richiamando la natura del sindacato conducibile da parte della Suprema Corte sulla correttezza del procedimento indiziario, che, senza potersi occupare della gravità, della precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, deve attenersi all’articolazione logica e giuridica della motivazione della sentenza per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod.proc.pen., delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della valenza dimostrativa dei risultati acquisiti (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, rv. 207944; sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, rv. 241826; sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, rv. 245880; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, rv. 258321).

Le superiori osservazioni s’innestano sui limiti intrinseci alla possibilità per il giudice di legittimità di ravvisare il vizio di motivazione della sentenza di merito: se le argomentazioni spese dal giudice devono assolvere alla funzione di rappresentare una adeguata e razionale sintesi dei dati dimostrativi emersi nel processo e la loro coordinazione in una lettura organica ed unitaria, che offra spiegazione coerente al verdetto conclusivo, la censura che sorregge la richiesta di riforma della decisione, per poter essere accolta, deve essere in grado di segnalare una reale frattura logica o l’inefficacia funzionale di tale percorso illustrativo.

Per essere validamente dedotto, il vizio di motivazione non può appuntarsi su una prospettazione frammentaria o parziale di singoli aspetti di criticità del ragionamento probatorio, esposto nel provvedimento contestato, ma deve aggredire l’intero percorso seguito in perfetta aderenza al suo sviluppo ed ai suoi contenuti.

Inoltre, con specifico riferimento alla valutazione della prova, la censura dell’impugnante non può limitarsi ad indicare diverse ipotesi ricostruttive del fatto rispetto a quella fatta propria dal giudice, ma deve indicare la non corretta applicazione dei principi logici e giuridici che ne regolano l’attribuzione all’imputato, tenendo sempre presente che il controllo sulla motivazione esercitabile dalla Corte di cassazione non riguarda il risultato dimostrativo della prova, né il verdetto in termini di colpevolezza o innocenza, quanto piuttosto il rispetto delle regole legali sulla formazione e valutazione della prova e dell’obbligo di giustificazione secondo il senso comune, la logica ed il principio di non contraddizione.

E’ tradizionale nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione per cui in sede di legittimità sono precluse «nuove» attribuzioni di significato o la sollecitazione ad una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche quando si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa o più persuasiva.

In altri termini, “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, rv. 207944).

La disamina della sentenza impugnata in raffronto ai parametri come sopra riassunti rivela la palese infondatezza dell’assunto impugnatorio del ricorrente: la Corte distrettuale ha confermato la decisione raggiunta in primo grado con motivazione del tutto congrua, tradottasi in uno sviluppo argomentativo che, confrontandosi con le ragioni addotte a sostegno della conforme soluzione adottata e con i motivi di gravame, non evidenzia carenze ed errori valutativi, ma l’impiego di corretto approccio alla prova indiziaria e fornisce confutazione in modo specifico e completo alle obiezioni difensive (Cass. sez. 5, n. 21008 del 06/05/2014, P.G. e P.C. in proc. Barzaghi e altri, rv. 260582; sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, P.C. in proc. Fu e altri, rv. 261327).

3. Il primo motivo s’incentra sulla criticata esclusione delle ipotesi alternative circa la scomparsa da casa di Roberta Ragusa, che per il ricorrente è frutto di omessa valutazione degli elementi di prova, specificamente segnalati nell’atto di appello.

3.1 L’assunto è del tutto privo di fondamento.

La Corte distrettuale si è impegnata in una diffusa ed analitica disamina dei dati probatori e ha vagliato ciascuna delle possibili spiegazioni, prospettate in chiave difensiva, che ha escluso in perfetta aderenza alle emergenze istruttorie e con un corredo di rilievi esplicativi esaustivo ed incensurabile nella sua tenuta logica e nella corrispondenza con le acquisizioni probatorie.

In particolare, ha negato plausibilità al possibile allontanamento volontario della vittima a ragione, sia del suo profilo personologico e dei suoi comportamenti antecedenti la sparizione, sia della sua situazione specifica e delle rnodalità dell’allontanamento.

Sotto il primo profilo, ha rilevato che la Ragusa non aveva mai fatto presagire la possibilità di una fuga: al contrario, era persona dalle regolari abitudini di vita e dagli interessi limitati al lavoro ed alla famiglia, estremamente legata ai figli in un rapporto definito morboso da amici e suoceri, figli che mai avrebbe abbandonato di sua spontanea volontà senza poi più contattarli o incontrarli; non aveva intrattenuto in passato e nemmeno in quella fase della sua esistenza relazioni extraconiugali, ipotesi non emersa dai tabulati del traffico telefonico, negata da amici e parenti e anche dall’imputato; non aveva coltivato relazioni al di fuori del contesto lavorativo, amicale e familiare; aveva programmato varie attività da compiere nei giorni successivi alla sua scomparsa con la figlia e con l’amica Monica Casini e la sera stessa della sua sparizione aveva indossato pigiama e pantofole in procinto di coricarsi a letto per il riposo notturno.

In ordine a quest’ultimo aspetto della vicenda, in sentenza si legge che la pretesa fuga volontaria resta contraddetta nella sua verosimiglianza dall’essere stata attuata in una notte di gennaio, con temperature al di sotto dello zero, in abbigliamento composto da un solo pigiama e da pantofole da casa ed in assenza di mezzi e risorse per ripararsi, nascondersi, abbandonare il luogo e trasferirsi altrove.

In tal modo il giudizio si è avvalso di dati fattuali incontestati ed incontestabili sulla consistenza dell’abbigliamento della fuggitiva, sulle circostanze di tempo e luogo sfavorevoli ad un abbandono della casa familiare con modalità precipitose e non programmate, attuato senza il prelievo di abiti pesanti, denaro, carte di credito, documenti, telefono cellulare, autovettura o altro mezzo di trasporto, ossia di quella dotazione indispensabile per garantirsi la sopravvivenza e la possibilità materiale di iniziare una nuova esistenza lontano dal proprio ambiente e dai propri affetti.

Coerente con tali rilievi è l’analisi condotta sul carattere della Ragusa, sulle relazioni e sui legami intrattenuti, sui progetti elaborati, tutti elementi ritenuti antitetici ad un improvviso mutamento di vita ideato ed agito con subitanea ed occulta determinazione.

Gli elementi distonici con tale ricostruzione, indicati dalla difesa, in realtà non posseggono una reale capacità confutativa, se si considera che, -secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, valutabile nella sua motivazione unitamente a quella impugnata perché formanti un unico corpo argomentativo, compenetrandosi a vicenda, siccome espressione della medesima conclusione e di criteri inferenziali corrispondenti- le confidenze raccolte dalla zia Adriana Alpini sull’insoddisfazione di Roberta per la vita familiare ed il desiderio di allontanarsi per far comprendere ai figli quanto lei si prodigasse per loro, non paiono trascendere il mero sfogo, dovuto ad un momento di stanchezza, ma non attestano una concreta progettualità evasiva.

Del tutto generiche e non correlabili con gli eventi occorsi la notte tra il 13 ed il 14 gennaio 2012 sono le informazioni rese dalla Calzolaio circa l’avvenuta collocazione in sacchi di abiti usati da parte della Ragusa, che nemmeno si deduce averne fatto uso quella notte e che non vi è prova fossero stati asportati da casa in concomitanza con la sua sparizione, mentre la disponibilità di denaro, derivante dall’attività di gestione dell’autoscuola, non viene descritta in relazione alla costituzione di una provvista da destinare a scopi diversi dalle spese quotidiane o dai pagamenti erogati nell’ambito della predetta attività.

Del pari anche le somme di denaro che la Ragusa aveva ricevuto in dono dalla zia, oltre ad essere imprecisate negli importi, non provano che ella avesse disposto di risparmi dai quali poter attingere per garantirsi la fuga, e non le avesse piuttosto spese per sé o per la famiglia.

Al contrario, è la difesa a tralasciare quanto riportato nella sentenza di primo grado a pag. 109 della motivazione, ossia che, secondo quanto riferito dalla teste Simona Zacchi amica della Ragusa, anche il denaro che costei aveva ricevuto dalla zia Adriana era stato sempre gestito dal Logli senza nessuna facoltà autonoma di disposizione da parte della stessa, che si era rammaricata di non avere nessuna indipendenza economica che le consentisse di andare via con i figli e di avere venduto anche l’appartamento di sua proprietà, dove avrebbe potuto trasferirsi: si tratta di testimonianza, di indiscussa attendibilità, in netto contrasto con le congetture elaborate in chiave difensiva.

Altrettanto dicasi quanto alla prospettata possibilità di una relazione sentimentale, rimasta celata e negata persino dal ricorrente: solo in via astratta e contro l’assenza di ogni evidenza si afferma in ricorso che la Ragusa avrebbe potuto utilizzare un’utenza telefonica segreta, con la quale mantenere contatti con un ipotetico amante.

Che questo fosse stato l’espediente utilizzato dall’imputato per relazionarsi con la Calzolaio, emerso dagli accertamenti di polizia e dalle ammissioni della sua stessa amante, non equivale alla prova positiva del ricorso 3I medesimo sistema anche da parte della di lui moglie.

Va poi affermata l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da testi, che avevano riferito “chiacchiere di paese”,su una pregressa fuga di Roberta o sul rapporto con un amante d’identità rimasta sconosciuta: la loro genericità e l’assenza di indicazioni verificabili sulla relativa fonte rende incensurabile la loro omessa considerazione da parte dei giudici di merito.

Oggetto di attenta valutazione è stata, invece, la deposizione di Filippo Campisi, rispetto alla quale è stato evidenziato in sentenza che trattasi di fonte “che ha affermato, a notevole distanza dai fatti (la prima dichiarazione è del 26 settembre 2013), con notevoli contraddizioni, di aver visto una donna in vestaglia, presumibilmente la Ragusa, uscire di casa e salire su un autoveicolo. Come già evidenziato in primo grado si tratta di una testimonianza del tutto sprovvista del crisma della attendibilità.

A tal riguardo è sufficiente citare le macroscopiche incongruenze e contraddizioni del teste, la smentita, la smentita della smentita, l’insuperabile contrasto delle sue dichiarazioni con quelle di altro soggetto con cui è stato posto a confronto in data 26/9/2013 dal P.M., tale Camoscini Silvio che a suo dire lo avrebbe notato transitando in bicicletta egli pure dalla zona ma descrivendo fatti diversi, (posizione della donna, posizione del veicolo in attesa, tipo di auto), mentre il Campisi nega addirittura la presenza del Camoscini; l’ambiguità del comportamento benché vigile del fuoco, a uno scritto anonimo (certamente proveniente dal suo computer come dalle verifiche svolte dal Ros) e dichiaratamente (sit 8/10/2013) dopo aver appreso notizie da trasmissioni televisive (Annotazione Ros 16-4-2014); il fatto di aver in data 28/1/2014 poi reso dichiarazioni ancora diverse e contraddittorie circa la percezione di un grido di donna all’incrocio con via Gigli, e di aver visto purtutta via, transitando davanti a casa Logli, una donna entrare in un fuoristrada ( quante donne in questa narrazione!)”.

La Corte di appello ha poi aggiunto che lo stesso teste si era sottratto a qualsiasi verifica circa i luoghi e le persone da lui frequentati la notte in questione, fornendo anche sul punto versioni discordanti.

Non giova dunque alla difesa citare nell’impugnazione uno stralcio di uno dei verbali di informazioni rilasciate dal Campisi, che estrapola soltanto le frasi favorevoli alla tesi dell’imputato, ma non dà conto della sua ammissione, riportata nella sentenza di primo grado, di essersi inventato di avere visto Roberta Ragusa uscire di casa la notte della scomparsa e salire a bordo di un’autovettura condotta da un uomo, per poi rettificare la propria narrazione e riferire di avere visto una donna uscire dalla sede dell’autoscuola Futura e salire a bordo di una vettura, sicchè nessuna certezza si è acquisita, anche a voler considerare l’ultima delle sue tante versioni di quanto visto, che quella donna fosse la Ragusa e non qualcun altro.

Tanto è sufficiente a giustificare il giudizio di inattendibilità espresso dalla Corte di appello, che non è incorsa nel travisamento della prova, ma ha motivato le ragioni dell’impossibile utilizzo di tale fonte dichiarativa senza incorrere in vizi logici, o giuridici.

3.2 L’ulteriore ipotesi alternativa dell’allontanamento volontario della donna per perdita di coscienza non è stata per nulla esclusa in base ad una pretesa massima di comune esperienza, ma in forza della rituale considerazione delle risultanze probatorie.

In primo luogo, deve opporsi alla difesa il richiamo ad una nozione di travisamento della prova, che non è corretta e conforme all’insegnamento di questa Corte. Si ricorda al riguardo che il vizio di travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte non è riscontrabile nel caso gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e della responsabilità dell’imputato.

E’, invece, necessario che gli “atti del processo” su cui fa leva il ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Perché il vizio sia valutabile in sede di legittimità è però onere del ricorrente, non solo illustrare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione, ma soprattutto individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali che intende far valere.

A tal riguardo, questa Corte di legittimità ha più volte affermato che il ricorrente che intenda dedurr sede di legittimità il travisamento di una prova ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti che intende far valere, non essendo sufficiente per l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto la citazione di alcuni brani dei medesimi (sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, Torino, rv. 237302; sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, rv. 241023; sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo, rv. 241449; sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Bouyahia, rv. 243225; sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, rv. 248141).

Nel caso della deposizione resa dalla dr.ssa Occhinegro, la difesa contesta l’attendibilità del giudizio espresso sulle condizioni di salute di Roberta Ragusa, che, secondo il predetto sanitario, nulla di patologico aveva presentato allorchè lo stesso 13 gennaio, poche ore prima della sua scomparsa e tre giorni dopo l’episodio di caduta dalle scale, l’aveva sottoposta a visita medica, denunciando una carenza di accertamenti diagnostici che è del tutto irrilevante rispetto alla pretesa lettura travisante delle sue dichiarazioni, perchè investe il patrimonio di conoscenze affidabili e scientificamente acccreditate della fonte, ma non quanto dalla stessa rappresentato.

La Corte di merito non ha frainteso il significante, ossia l’elemento probatorio nel suo intrinseco contenuto, ma ne ha liberamente apprezzato il valore dimostrativo, esprimendo un motivato convincimento, che si colloca nel perimetro del legittimo intervento cognitivo del giudice. Inoltre, la considerazione della possibile insorgenza di effetti collaterali anche a distanza di tempo dall’evento traumatico, riconosciuta dalla teste Occhinegro, ha indotto la Corte distrettuale a misurare nello specifico ed in concreto la veridicità di tale indicazione, osservando che per affermazione dei due figli quella sera ella era apparsa normale e tranquilla, intenta alle usuali occupazioni domestiche e che, se l’uscita da casa della Ragusa fosse dipesa da amnesia o da stato confusionale, qualcuno avrebbe dovuto avvedersi della sua presenza o rinvenire il suo corpo dopo l’intervenuto decesso, evenienza mai verificatasi.

Per la medesima ragione è stata stimata come del tutto astratta ed ipotetica la possibilità che, trovatasi in strada da sola in piena notte, la Ragusa sia stata vittima dell’aggressione di persona sconosciuta, che, rapitala, l’abbia poi soppressa, facendone scomparire il cadavere, il tutto per effetto di un improvviso istinto criminoso, non di un piano programmato, cui sarebbe seguito il trasporto del corpo senza vita in luogo sconosciuto con tutti i rischi connessi di essere visti e scoperti.

Che questo tipo di accadimento possa essersi verificato, -come nel caso richiamato in ricorso, in cui però il corpo della vittima era stato rinvenuto-, non può in assoluto essere escluso, ma la Corte di merito ha reputato improbabile che in quella zona residenziale ed in quelle circostanze specifiche la Ragusa avesse incontrato un ignoto assalitore nel corso della fuga per i campi secondo il percorso ricostruito dai cani molecolari nel corso delle sue ricerche; ha così calato la propria valutazione nel contesto concreto della vicenda in esame e fornito una risposta alla deduzione difensiva, che non è illogica e nemmeno contradToria rispetto ai dati conoscitivi disponibili. Infine, anche l’ipotesi del suicidio, per la quale nessuna indicazione dimostrativa è stata acquisita, è stata disattesa perché in quel caso il corpo sarebbe stato rinvenuto e nessuno, tanto meno il Logli, avrebbe avuto interesse ad occultarlo.

3.3 La credibilità razionale dell’esclusione di tutte le spiegazioni diverse da quella dell’omicidio per mano di terzi resta avvalorata dal fatto che la conduzione delle indagini, per come riportato in sentenza, è avvenuta senza tralasciare nessuna pista, nessun suggerimento e nessun preteso avvistamento della scomparsa.

La sentenza di primo grado (pagg. 77-82) ha passato in rassegna ad una ad una le segnalazioni effettuate da cittadini, che in realtà ben poco conoscevano la Ragusa o che avevano soltanto osservato la foto distribuita dai familiari e risalente a cinque anni prima, dando atto delle scrupolose verifiche condotte con esito sempre negativo dagli organi di polizia, che si erano impegnati anche in vaste battute del territorio alla sua ricerca.

Non è questo il processo in cui si sia coltivata una sola linea ricostruttiva degli eventi e le investigazioni si siano univocamente indirizzate a carico del Logli, avendo dapprima gli inquirenti nel corso delle indagini preliminari, quindi i giudici di merito in fase giudiziale, sondato tutte le possibili spiegazioni dell’accaduto anche in chiave liberatoria per l’imputato, spiegazioni escluse in base ai dati valutabili.

Non può dunque invocarsi il ragionevole dubbio circa la causa della scomparsa e della morte di Roberta Ragusa e la sua ascrivibilità ad un fatto dalla stessa voluto, oppure ad evento accidentale, ipotesi che, rapportate al caso concreto, sono state motivatamente e razionalmente ritenute non plausibili con giudizio di fatto che, poiché ben argomentato e logico, resiste alle censure difensive.

Le pretese tesi antagoniste esposte dal ricorrente non si fondano su elementi obiettivi e risultano meramente congetturali, sicché deve riaffermarsi che il dubbio, per assumere valenza ostativa alla affermazione di responsabilità, deve manifestarsi come ragionevole e deve trovare un aggancio concreto alla realtà processuale, idoneo a fargli assumere la necessaria consistenza, che nel caso in esame non sussiste.

A tal fine non é utile nemmeno la citazione di casi di illustri persone scomparse nel passato, per le quali nessuna ipotesi di omicidio era stata mai avanzata: quanto illustrato nel primo dei motivi aggiunti si avvale delle argomentazioni di una pronuncia di questa Corte (sez. 1, n. 19746 del 23/04/2007, Le Pira, non massimata), che aveva riscontrato l’equivocità del mero dato della scomparsa di una donna da casa per essere stata plausibile una sua fuga per sottrarsi all’opprimente controllo dei genitori e ad una vita priva di slanci e di prospettive per il futuro: emerge dunque l’assoluta divergenza rispetto alla situazione considerata in quella vicenda processuale dell’accertata condizione esistenziale e psicologica di Roberta Ragusa, persona dai forti vincoli affettivi con i figli, dalle prospettive di vita regolari e saldamente ancorate alla continuità di attività e relazioni.

4. Col terzo punto del primo motivo il ricorso si duole della rilevanza dimostrativa, assegnata al comportamento tenuto dal ricorrente dalla scomparsa della moglie in poi.

Anche al riguardo le doglianze non colgono nel segno, poiché la Corte di appello, lungi dal sindacare la scelta al silenzio da parte dell’imputato, che non ha mai reso interrogatorio, né fornito la propria versione dei fatti, ha piuttosto valorizzato quanto inizialmente dichiarato prima ancora di assumere la veste di indagato ed i comportamenti tenuti. Resta escluso che in tal modo siano stati violati i diritti di difesa dell’imputato.

4.1 Non trova rispondenza nelle argomentazioni esposte in sentenza nemmeno l’addebito di avere considerato quali elementi a carico circostanze descritte in modo non rispondente alla realtà.

La sentenza in verifica ha qualificato come mendaci e volutamente orientate a depistare le indagini le prime informazioni che il Logli aveva fornito agli investigatori e ha segnalato che: -soltanto alle ore 13.34 del mattino successivo alla constatazione della sua assenza, avvenuta verso le ore 06.45, egli ne aveva formalmente denunciato la scomparsa ed aveva esposto circostanze mendaci sui sereni rapporti con la donna, sull’assenza di relazioni extraconiugali, sulla perdita di memoria occorsale dopo la caduta dalla scale e sullo smarrimento di denaro, dovuto al medesimo stato di amnesia, in modo da orientare volutamente le indagini sin da quel momento sull’ipotesi dell’allontanamento, causato da stato confusionale, che peraltro nessuno tra amici, parenti e medico di base aveva riscontrato, se, come riportato nella sentenza di primo grado, i figli stessi della coppia avevano descritto la madre come tranquilla, normale, intenta quella sera alle ordinarie occupazioni.

Nelle dichiarazioni rilasciate il 15 ed il 16 gennaio, oltre a ribadire la stessa possibilità, aveva ricostruito gli eventi della serata, mentendo quanto alle attività svolte nella soffitta di casa ed all’orario in cui si era coricato, indicato attorno alla mezzanotte, posto che da quel locale non aveva svolto riparazioni, ma aveva chiamato l’amante al telefono più volte, che si era trattenuto in conversazione con costei dalle 23.08 alle 23.52, dalle 23.56 alle 00.16 e dalle 00.17 per ventotto secondi ed egli, come si dirà in seguito, era uscito nuovamente di casa dopo la mezzanotte, mentre il profilo di falsità più rilevante è stato considerato, non tanto in ordine all’orario preciso in cui si era coricato, quanto alla scoperta solo l’indomani dell’assenza della moglie ed alla mancata conoscenza dei suoi comportamenti nel corso della nottata; -la rivelazione della relazione con l’amante Sara Calzolaio non solo era stata tardiva, ma nemmeno era stata spontanea, poiché imposta dalle impreviste rivelazioni che la donna aveva fatto, su suggerimento di un’amica, ai Carabinieri nel timore di essere coinvolta nelle indagini; la spiegazione legata all’intento di proteggere l’amante, al di là di quanto detto a costei, è considerata implausibile e pretestuosa dal momento che, proprio l’ammissione della situazione di crisi coniugale e dei contrasti con la moglie avrebbe potuto dare sostanza e rendere credibile un suo allontanamento volontario; del pari, tale interesse è reputato illogico, non potendo prevalere su quello di ritrovare in vita la madre dei propri figli, mentre l’intento di mantenere riservata la notizia della relazione è smentito, sia dall’intrapresa convivenza con la Calzolaio a breve distanza dalla scomparsa della moglie, sia dal fatto che, per quanto è dato leggere nel verbale delle dichiarazioni della Calzolaio, prodotto dalla difesa in allegato al ricorso, il Logli l’aveva fatta entrare in casa sin dallo stesso 14 gennaio per accudire i figli dalla mattina alla sera (fg. 42 sentenza appello).

La condotta tenuta dal Logli all’indomani della scomparsa è altrettanto sospetta poiché egli alle 7.30 del mattino, ossia quarantacinque minuti dopo la pretesa constatazione dell’assenza della Ragusa, aveva informato la Calzolaio che la moglie non era in casa e le aveva intimato di spegnere il telefono dedicato ai loro contatti, non già a protezione della loro riservatezza, posto che nessuno era a conoscenza delle utenze segrete e nemmeno gli inquirenti della sparizione della Ragusa, ma per l’unica spiegazione possibile di eliminare la possibile prova di un movente per l’omicidio; inoltre, verso le ore 11.00 aveva ripetuto con altra chiamata telefonica la stessa comunicazione di fronte all’amico Meini per simulare l’assenza di precedenti contatti, amico che però aveva riportato l’impressione, riferita ai Carabinieri, che la Calzolaio fosse già a conoscenza della scomparsa, il tutto con l’identico e solo scopo di celare le tracce di un movente per il compimento di un gesto criminoso.

4.2 La difesa oppone a tali rilievi una serie di contestazioni che non centrano il tema del significato accusatorio del mendacio addebitabile al Logli: infatti, che la convivenza con la Calzolaio non fosse iniziata immediatamente, ma a distanza di tempo imprecisato, non smentisce la illogicità del suo comportamento per non avere rivelato dai primi contatti con gli inquirenti una crisi coniugale che in modo coerente poteva illustrare le ragioni della fuga della moglie, qualora questa si fosse realmente verificata; la rivelazione ai Carabinieri della loro relazione, non conta tanto sia stata effettuata il 16 gennaio e che abbia o meno depistato le indagini, quanto che sia avvenuta soltanto per esservi egli stato costretto dalle spontanee dichiarazioni dell’amante, timorosa di vedersi indagata a sua volta, cosa per la quale sarebbe stata aspramente rimproverata in conversazione intercettata in data 26 giugno 2012 n. 3611 delle ore 00.56 e riportata nella sentenza di primo grado alla pag. 90, nella quale il Logli l’aveva accusata di non avere mai raccontato le bugie giuste e di avere detto la verità; l’invito rivolto alla Calzolaio a disfarsi dei telefoni dedicati a coltivare il loro rapporto interviene la sera del 15 gennaio ad un giorno e mezzo dalla denuncia ed è stata considerata, unitamente alla telefonata delle 07.30 della mattina del 14 gennaio, come effettuata per intimare alla giovane di spegnere il medesimo telefono in un momento in cui, come ben evidenziato in sentenza, nulla era dato sapere sulla sorte della Ragusa e, a soli quarantacinque minuti dall’apparente scoperta della sua assenza, non poteva escludersi un suo rientro, tanto più probabile se colpita da amnesia o da stato confusionale.

La valutazione della rilevanza indiziaria dei comportamenti tenuti dall’imputato non può essere smentita da una lettura alternativa in chiave minimizzante, né dal fatto che le indagini avessero consentito di svelare le trame del Logli, lettura che tralascia la finalità di tali condotte, intese in modo logico e coerente dai giudici di merito come funzionali ad allontanare da se i sospetti in un momento in cui non era nemmeno ipotizzabile un omicidio, conosciuto soltanto da chi lo aveva commesso.

Il ricorso tralascia poi di confrontarsi, risultando così affetto da aspecificità, con ulteriori anomalie comportamentali dell’imputato, che nella considerazione del primo giudice, cui si è richiamata anche la Corte territoriale, assumono parimenti valore indiziario, perché coerenti con il tentativo di distogliere le indagini dalla sua persona e con la consapevolezza della definitiva sparizione della moglie perché da lui stesso determinata.

Si tratta dell’omessa partecipazione alle ricerche, demandate ad altri ed alle forze dell’ordine anche quando erano pervenute le prime segnalazioni di un possibile avvistamento; della riluttanza a divulgare fotografie della Ragusa e della scelta di una immagine risalente a cinque anni prima e non più attuale, come riferito dalla teste Zacchi; della visita effettuata dal Logli presso gli uffici della società Geste, ove prestava servizio quale dipendente, dalle ore 7.31 alle ore 7.50, ossia in orario di chiusura, senza che nessuno abbia mai saputo cosa avesse fatto in quel luogo in orario immediatamente successivo alla scoperta della sparizione della moglie; della eliminazione del giubbotto indossato nel corso della serata precedente, sottratto volutamente agli accertamenti di polizia e condotto sulla sua auto nel giro di perlustrazione effettuato con l’amico Meini, quindi mai più rinvenuto, così come vi era stata sottratta anche la sua autovettura, condotta a tale scopo in luogo lontano dalla propria abitazione, pur nella consapevolezza del suo malfunzionamento e nella disponibilità di altri veicoli più sicuri; della presenza la mattina del 14 gennaio 2012 di un graffio sulla fronte, assente sino al giorno precedente, giustificata con due spiegazioni diverse ed inconciliabili, entrambe non verificabili; della richiesta di poter beneficiare di un periodo di aspettativa “il più lungo possibile” per assentarsi dal lavoro, avanzata ad appena tre giorni dalla scomparsa della moglie quando ancora le ricerche erano in fase iniziale; dell’attività di ripulitura delle fughe della pavimentazione del vialetto di accesso alla sua abitazione, descritta dalla teste Latona quale comportamento mai in precedenza tenuto dal Logli e riguardante il punto in cui la notte tra il 13 ed il 14 gennaio ella aveva visto la di lui autovettura Ford Escort parcheggiata in posizione del tutto inusuale rispetto alle abitudini dell’imputato stesso; degli atteggiamenti assunti sin dai primi giorni dalla scomparsa con la stessa Latona e con altri, che sottintendevano il convincimento del mancato ritorno della moglie, sebbene non fosse ancora certa la sua definitiva sparizione e la tesi della perdita di memoria non escludeva il suo ritrovamento e la riconduzione a casa.

5. Al quarto punto del primo motivo la difesa contesta anche la ricostruzione dell’incidente domestico, occorso il 10 gennaio 2012, allorchè, nell’atto di spostare un pacco da sistemare in soffitta, entrambi i coniugi Logli erano precipitati dalla scala retrattile che vi dava accesso.

La sentenza in esame ha dedotto da tale episodio lo stato di forte turbamento della Ragusa, la quale aveva attribuito la caduta ad un gesto volontario del marito, ispirato da intento lesivo in suo danno, tanto da averlo confidato alla dr.ssa Occhinegro ed all’amica Partini, descrivendo la dinamica e riferendo loro che il Logli aveva provato ad ucciderla, nonché all’amica Casini, alla quale aveva rivelato anche di essere a disagio e di non dormire da due notti ed aveva chiesto di poterla incontrare di persona per parlarle.

Da questi dati conoscitivi e dall’annotazione nel suo diario dell’evento come “la tragedia della caduta dalle scale”, la Corte di appello ha dedotto che la Ragusa dopo l’episodio aveva nutrito forti sospetti sulle intenzioni del marito ed era inquieta, ma non aveva avuto nessuna intenzione di abbandonare l’abitazione, avendo progettato attività incompatibili col suo allontanamento.

Le obiezioni difensive si appuntano sul presunto travisamento delle testimonianze escusse, ma in realtà dalla lettura dei verbali di s.i.t. allegati al ricorso, è possibile escludere il vizio dedotto: come riportato in sentenza, la Partini aveva riferito che la Ragusa, nel raccontarle arrabbiata l’accaduto, aveva aggiunto in tono sarcastico “ha provato ad ammazzarmi … mi ha quasi ammazzato, ma non ha mica fatto apposta”, frase in cui il sarcasmo è stato ritenuto rivolto alla giustificazione del marito per la caduta, non già alla sua percezione.

Ebbene, lo sforzo difensivo ha cercato di dimostrare che nessun tentativo di omicidio si fosse realmente verificato, ma tale evenienza non è mai stata sostenuta, né in tesi accusatoria, né nelle sentenze di merito e la doglianza non si correla con le argomentazioni presenti in sentenza, dove ha piuttosto assunto rilievo indiziario la sensazione di pericolo avvertita dalla donna, che ne aveva fatto oggetto di confidenza con il proprio medico e con le amiche ed aveva suscitato in lei ansia e timore, oltre che risentimento per il comportamento volontario che aveva addebitato al marito.

6. Col quinto punto del primo motivo la difesa muove dettagliate censure al giudizio di attendibilità espresso in merito alle testimonianze di Loris Gozi ed Anita Gonnbi.

6.1 II primo rilievo critico riguarda le modalità di individuazione del Gozi, quale persona informata sui fatti occorsi la notte della sparizione della Ragusa, che sarebbero rimaste incerte.

Quanto all’origine della sua deposizione, nella sentenza impugnata a pag. 65 si legge che “il teste Gozi non si presenta spontaneamente agli inquirenti ma viene da essi ricercato in base a delle notizie autonomamente attinte” da Roberto Spinetti, il quale, dopo averne raccolto il racconto, a sua volta si era confidato su quanto appreso dal Gozi con Cono Quagliano, che ne aveva riferito agli investigatori.

La Corte distrettuale ha riscontrato l’assenza di qualsiasi valido motivo per dubitare di tale modalità di individuazione, sia per la fede privilegiata che assiste gli atti pubblici formati da pubblici ufficiali, sia per l’irrilevanza della circostanza dell’avvenuta verbalizzazione delle informazioni rese dallo Spinetti dopo la prima escussione del Gozi.

In effetti il ragionamento valutativo così sintetizzato non presenta profili di illogicità o arbitrarietà: per quanto esposto in sentenza, dalle relazioni di servizio e dalle deposizioni dei soggetti interessati emerge che, appresa dal Quagliano notizia del fatto che altro testimone di Geova era stato informato dal Gozi di movimenti sospetti verificatisi la notte tra 13 e 14 gennaio 2012 in zona prossima all’abitazione del Logli, i Carabinieri avevano identificato il Gozi e l’avevano escusso e, quando costui aveva fatto il nome del Roberto, presentatosi presso la sua abitazione nel corso di un giro di proselitismo ed informatore del meccanico della zona anch’egli testimone di Geova, lo avevano identificato nello Spinetti, che era stato a sua volta escusso ed aveva confermato quanto esposto dal Gozi e dal Quagliano.

Non vi è nulla di anomalo, né di sospetto nel fatto che allo Spinetti si sia giunti dopo l’individuazione del Gozi e la sua escussione, perché la fonte iniziale degli investigatori era stato il Quagliano; né la difesa ha assunto iniziative istruttorie per accertare un diverso svolgimento dei fatti alla base della genesi della testimonianza del Gozi.

Analoghi rilievi vanno riferiti anche all’individuazione della Gornbi, moglie del Gozi, quale persona a sua volta informata su quanto accaduto e percepito dal marito, che ne aveva riferito la presenza in auto con lui nelle stesse circostanze del primo avvistamento descritto. E’ comunque essenziale ricordare che l’imputato, con l’accesso al rito abbreviato incondizionato, ha accettato l’esito delle indagini quale piattaforma probatoria sulla quale misurarsi senza averne richiesto l’approfondimento e senza avere posto specifici.

Non è dato comprendere quali “forti dubbi” susciti la vicenda; la difesa non si spinge ad ipotizzare una congiura per compromettere il ricorrente, ma segnala la non perfetta corrispondenza tra le dichiarazioni dello Spinetti e quelle del Gozi, che non può assumere un rilievo decisivo per screditare entrambi, posto che il primo aveva ricevuto alcune notizie dal secondo senza avere assistito ai medesimi eventi e che comunque il nucleo essenziale della sua narrazione, secondo il motivato giudizio della Corte distrettuale, non contraddetto in ricorso, coincide con la rievocazione operata dal Gozi quanto all’uscita di questi col cane lungo la via Ulisse Dini, alla presenza di due persone, un uomo ed una donna, uno fermo accanto ad una vettura, l’altra a piedi proveniente dai campi, che si erano allontanati a bordo di una vettura, alla visita del Logli il giorno dopo a casa sua per chiedere informazioni su eventuali avvistamenti della notte precedente, cui egli aveva risposto in termini negativi.

6.2 E’ oggetto di contestazione difensiva anche l’illogicità della motivazione in riferimento alla continua modifica delle proprie dichiarazioni, operata dal Gozi e dalla Gombi, ma sempre in termini corrispondenti a riprova della pianificazione della versione da rendere agli inquirenti.

Osserva il Collegio che la disamina comparata dei verbali delle dichiarazioni, rese dai due testi, che dovrebbe offrire prova della sospetta coincidenza espressiva e del progressivo aggiustamento della descrizione di quanto osservato, non considera che la redazione degli atti è frutto dell’intervento di chi ne ha raccolto le dichiarazioni senza si abbia la fedele riproduzione delle parole utilizzate dai testi.

Costituisce un dato di fatto certo che i due soggetti escussi hanno modificato nel tempo la versione iniziale resa con precisazioni che sono risultate corrispondenti e di ciò i giudici di merito sono stati perfettamente consapevoli, ma hanno altresì offerto spiegazione logica e perfettamente aderente alle emergenze processuali di tale comportamento.

Al riguardo la sentenza in esame, nel replicare alle contestazioni difensive sul profilo cronologico degli avvistamenti, modificato nei verbali, sul progressivo allineamento delle deposizioni dei due coniugi e sulla circostanza riferita della visita effettuata dal Logli a casa Gozi la mattina del 14 gennaio 2012, ha riscontrato che: il Gozi non si era presentato spontaneamente ai Carabinieri per riferire quanto osservato, ma era stato esaminato “d’imperio, sulla scorta delle indagini di polizia, e non già per effetto di una sua iniziativa in tal senso”(pag. 66 sentenza di appello); l’iniziale reticenza è stata spiegata da lui stesso in modo credibile e non smentito da contrarie risultanze con la sua scarsa propensione a collaborare con la giustizia per ragioni culturali, legate all’appartenenza all’etnia sinti e per il precario stile di vita di giostraio, secondo quanto testimoniato anche dalla di lui moglie e suocera in ordine alle discussioni tra moglie e marito in famiglia sull’opportunità di riferire in modo completo e veridico quanto a sua conoscenza ed alle pressioni della moglie perchè egli si astenesse da tale collaborazione.

Il mutamento di atteggiamento del testimone si era verificato allorchè egli, chiesto l’intervento dei Carabinieri presso il suo domicilio in data 21 dicembre 2012, essendo in dubbio sulla propria posizione rispetto alle indagini in corso, aveva ricevuto rassicurazioni sul fatto che non aveva necessità di farsi assistere da un legale per le dichiarazioni rese in precedenza, sicchè il 24 dicembre aveva contattato il m.llo (OMISSIS), riferendogli i particolari omessi nel corso delle precedenti escussioni, che poi sarebbero stati riportati nel verbale del 27 dicembre.

In tal modo, secondo i giudici di merito, trova spiegazione plausibile e riscontrata dalle annotazioni di polizia giudiziaria il percorso travagliato che aveva condotto il teste e la moglie da un atteggiamento iniziale di reticenza alla scelta consapevole della collaborazione sincera ed esclude al contempo che “si sia trattato di versioni pianificate a tavolino o concordate, che in questo caso fin dall’origine sarebbero rimaste immutate e identiche a se stesse”(pag. 66 sentenza di appello).

Va soltanto aggiunto che, come evidenziato nella sentenza di primo grado, il Gozi aveva giustificato la parzialità del suo racconto iniziale anche col timore di subire ritorsioni da parte dei Logli, persone benestanti ed influenti, in qualche modo preannunciate con le due visite fattegli dall’imputato presso la sua abitazione nel corso del 14 gennaio 2012, aspetto che la difesa non ha specificamente contrastato.

Anche i sospetti sull’origine della testimonianza resa dalla Gombi, oggetto del secondo motivo aggiunto, non hanno ragione di esistere: in modo assertivo ed apodittivo si assume che le presunte pressioni della donna per convincere il marito a non riferire tutto quanto a sua conoscenza sarebbero venute meno quando costei avrebbe assunto la veste di testimone, ma si tratta di un assunto arbitrario ed indimostrato, che non tiene conto del fatto che, come osservato in sentenza, il punto di svolta per il Gozi e quindi anche per la Gombi, è costituito dal chiarimento sulla posizione del teste rispetto alle indagini di corso e dalla certezza di non essere oggetto di investigazioni.

La difesa ha obiettato che il giudizio di attendibilità dei due testi Gozi e Gombi non è avvalorato da riscontro probatorio, si basa sul richiamo astratto alle radici culturali del Gozi, elemento privo di valenza giuridica e non considera la sua reale condizione di testimone ed imputato in altri processi, condannato irrevocabilmente “quanto meno” per furto: la contestazione è priva di valore in sé e sul piano strettamente logico nulla contraddice, perché trascura che il mutato atteggiamento dei testi è puntualmente attestato negli atti di polizia giudiziaria, che non vengono censurati sul piano della loro veridicità, e che le esperienze giudiziarie, peraltro riferite in termini del tutto generici, quindi non verificabili, non smentiscono l’istintiva ritrosia a rapportarsi con le forze dell’ordine, ma al contrario possono avvalorarla.

Del pari il rilievo sulla mancata conoscenza da parte della madre del Gozi, Anita Pozzi, del fratello e della cognata di quanto questi aveva poi riferito agli inquirenti sino alle prime convocazioni per rendere testimonianza, non esclude che nel nucleo familiare più ristretto dei due testi si fossero svolte le discussioni riferite dagli stessi e dalla suocera e madre Anna Rustichelli, senza che sia stata dedotta e sia stata riscontrata una plausibile ragione perché costoro dovessero mentire deliberatamente al riguardo.

Né va trascurato che, nella considerazione dei giudici di merito, ha pesato anche il fatto che la prima rivelazione in assoluto il Gozi l’avesse fatta allo Spinetti, col quale condivideva il credo religioso di testimone di Geova, a breve distanza di tempo dalla scomparsa della Ragusa, quindi mesi prima di essere convocato ed escusso a sommarie informazioni in un momento in cui nessun interesse poteva avere a rivelarsi quale testimone o ad assumere atteggiamenti deviati da esibizionismo o desiderio di notorietà.

Infine, è stato evidenziato in sentenza che, una volta assunta la decisione di collaborare con la giustizia, il Gozi ha sempre mantenuto ferma la medesima versione riferita il 27/12/2012, -duplice avvistamento effettuato lungo la via Ulisse Dini, il primo verso le ore 0.35-0.40 di un veicolo Ford Escort di colore scuro con a bordo un uomo in atteggiamento di attesa, riconosciuto grazie all’illuminazione prodotta dai fari della propria vettura, transitata a lato della Ford, in Antonio Logli che già egli conosceva per l’attività svolta presso l’autoscuola Futura, il secondo verso le ore 01.00 allorché in prossimità della posizione in cui aveva scorto il Logli aveva notato un veicolo di piccola cilindrata, una Citroen C3 di colore chiaro, i sosta con un uomo in piedi a lato della strada ed una donna che litigavano, la donna gridava, chiedeva aiuto e piangeva sino a che l’uomo con la forza l’aveva fatta entrare nel veicolo, facendole sbattere la testa contro il montante della portiera e poi si erano allontanati velocemente dal luogo-, anche nel corso dell’esame condotto in incidente probatorio senza che la difesa nel controegame ) abbia insistito per ottenere chiarimenti sui punti di contraddizione segnalati.

6.3 In merito all’avvistamento descritto dal Gozi ed al punto di sosta del veicolo con i due soggetti che stavano litigando la sentenza ha effettivamente ritenuto di potervi ravvisare corrispondenza con il percorso, effettuato quella notte da Roberta Ragusa uscita di casa e ricostruito tramite le tracce olfattive percepite da un cane molecolare dopo avere annusato un suo indumento perché attestato dalla deposizione di Antonio Meini che aveva partecipato alle prime ricerche della scomparsa quale vicino ed amico. In effetti il verbale allegato al ricorso indica il traciitto da casa Logli, oltrepassata la recinzione, sino alla ferrovia e da qui, lungo la stessa, fino a via Gigli nel tratto compreso tra il passaggio a livello e la via Ulisse Dini, quindi dalla via Gigli, percorrendo i campi tra la via Dini e la ferrovia, sino nuovamente alla proprietà Logli.

Ebbene, il dedotto travisamento della prova consisterebbe nel numero di cani che avrebbero fiutato le tracce della Ragusa e nel mancato rilievo della circolarità del percorso, partito da casa Logli e ivi conclusosi.

E’ agevole però rilevare che si tratta di circostanza del tutto secondaria, priva di valore dirimente, essendo stata dalla Corte di appello valorizzata quale generico riscontro alla credibilità della narrazione del Gozi, sicchè un eventuale errore percettivo sul numero di animali impegnati nell’attività di ricerca non è assolutamente in grado di smentire il ragionamento probatorio, posto che da tale elemento si è dedotta, non la certezza, ma la compatibilità approssimativa tra la traccia olfattiva e la presenza della Ragusa lungo la via in cui era stato in sosta il Logli nel corso del primo avvistamento ed erano stati visti due soggetti litigare col prelievo forzato di una donna, costretta a salire a forza su un veicolo simile a quello della stessa Ragusa, nel corso del secondo avvistamento.

6.4 Circa l’orario del primo avvistamento la difesa riprende censure già rivolte dalla Corte distrettuale e superate con motivazione accurata ed immune da palesi illogicità o contraddittorietà. Invero, si tenta di insinuare il dubbio sulla non veridicità degli orari riferiti dal Gozi quanto al prelievo della moglie dal luogo di lavoro ed il transito lungo la via Gigli, ma si tratta di contestazioni infondate e dissipate in sentenza col rilievo per cui quanto riferito dal Gozi e dalla Gombi è stato ancorato a precise informazioni, verificate come veritiere nel corso delle indagini.

In tal senso sono state valorizzate la chiamata effettuata alle ore 00.18 del 14 gennaio 2012 dalla Gombi alla cognata Cristina Grandini per chiederle di mandarle il marito a prenderla sul luogo di lavoro a fine turno e l’annotazione nel quaderno dei turni della pizzeria, ove la stessa era occupata, della conclusione del suo orario di lavoro alle 00.30, dati oggettivi non discutibili e riscontrati dai tabulati del traffico telefonico, dalla deposizione della teste Andrei Elena Sandina e dall’acquisizione della pagina dell’agenda con l’appunto.

Che poi sussista una discrasia tra i due coniugi Gozi sul luogo da cui era partito Loris per prelevare la moglie, oltre a non essere ritualmente dimostrato, non è dato comprendere come possa compromettere l’attendibilità della loro concorde descrizione degli eventi di quella notte.

Infatti, le singole pagine 6 e 48-49, estrapolate dalle trascrizioni dell’esame del Gozi reso nell’incidente probatorio, allegate al ricorso al n. 69), non contengono nessuna affermazione sul luogo dal quale egli era partito la notte del 14 gennaio per prelevare la moglie, avendo egli descritto soltanto l’abitudine di partire da casa verso le ore 00.20, senza però confermare di averlo fatto anche quella notte; va aggiunto che le dichiarazioni della Gombi del 16 gennaio 2013, parimenti allegate e richiamate in ricorso come all. 40), a ben vedere non indicano con certezza che il marito fosse partito da Nodica, luogo di residenza della famiglia della cognata, ma spiegano la chiamata a costei con l’esigenza di far sapere al marito di uscire per prelevarla, sicché non offrono certezza che il Gozzi fosse stato realmente a Nodica presso l’abitazione del fratello Claudio, ma soltanto che la comunicazione gli era stata fatta pervenire tramite la Grandini, la quale a sua volta (all. 41) non ha potuto riferire nulla di preciso. Costei, infatti, stante il tempo trascorso, non ha dichiarato di essersi recata a prelevare la cognata, come sostiene la difesa solo perché ciò si era verificato in passato in qualche occasione.

La Corte territoriale ha altresì rilevato che, essendo avvenuto l’avvistamento durante il tragitto di rientro dalla pizzeria di Porta a Lucca sino a Gello, perde di valore la questione sul luogo dal quale era partito il Gozi. Inoltre, l’impegno profuso in ricorso per sostenere che la chiamata alla cognata sarebbe dipesa dalla indisponibilità del Gozi ad effettuare personalmente il trasporto della moglie e che egli era titolare di un’utenza che non aveva utilizzato e tenuta celata, si risolve in affermazioni del tutto illatorie: non si considera che, secondo quanto riferito dalla Gombi, quell’utenza era a casa per essere rotto il telefono con il quale era utilizzata dal marito (all. 40) e che nessun obbligo di riferire dell’esistenza di utenze cellulari non utilizzate per le comunicazioni rilevanti aveva il teste.

Non si spiega poi, e tale rilievo è dirimente sul piano logico, per quale ragione i due avrebbero dovuto concordare una falsa versione dei fatti così complicata e priva di valore indiziante se considerata isolatamente, posto che la descrizione della sola presenza del Logli e del suo atteggiamento di attesa, tenuto in occasione del primo avvistamento non presentano in sé nulla di illecito e di compromettente.

Tale circostanza assume, infatti, valore indiziario soltanto se inserita nel più ampio percorso ricostruttivo operato in sede giudiziale, che i testi mai avrebbero potuto compiere, non essendo a conoscenza dei dati investigativi ed essendo stati apprezzati in modo concorde in entrambe le sentenze di merito per l’assenza di qualsiasi animosità ed intento calunniatorio in danno del Logli, a carico del quale non hanno mai ascritto il compimento di nessun gesto criminoso ed anzi hanno mostrato iniziale ritrosia a testimoniare e descritto circostanze prive di diretto valore accusatorio.

Da tali aspetti centrali nella considerazione dell’affidabilità delle fonti dichiarative il ricorso prescinde completamente senza sbilanciarsi a definire i Gozi testi mendaci ed ingannatori per la chiara consapevolezza dell’assenza di qualsiasi spunto che avvalori simile prospettazione, pur continuamente riproposta in termini indiretti.

Nella ricostruzione operata nella sentenza impugnata l’indicazione oraria dell’incontro in strada del Gozi e della Gombi con il Logli, collocato in modo approssimativo tra le ore 00.35 e le ore 00.40 circa, è stato apprezzato come non contrastante con quanto riferito dai testi Latona e Boni circa la presenza dell’autovettura Ford Escort dell’imputato parcheggiata presso la sua abitazione in orario compreso tra le 00.30 e le 00.45, notata durante il tragitto di rientro presso la loro casa dopo avere assistito a spettacolo circense.

L’affermata compatibilità è stata basata sulla prossimità della via Gigli alla casa del Logli, distante appena un chilometro, e sul fatto che per il Gozi il secondo avvistamento era avvenuto lungo la stessa via a distanza di circa venti-trenta minuti dal suo rientro all’abitazione quando aveva portato fuori il cane per una passeggiata: tanto avrebbe consentito all’imputato di riportare a casa la Ford Escort e prelevare la Citroen C3 della moglie e posizionarsi nuovamente lungo la via Gigli per intercettarne la fuga.

In definitiva sul punto, tutte le censure sul giudizio di gravità dell’indizio, costituito dalla presenza del Logli sulla via Gigli all’esterno della sua abitazione in orario successivo all’ultima chiamata all’amante ed in netto contrasto con le sue dichiarazioni agli inquirenti, naufragano perché basate su rilievi inconsistenti ed incuranti dell’intero analitico sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, che nulla ha tralasciato, ha offerto risposte coerenti e fedelmente rispettose dei dati probatori, ha dato conto delle scelte valutative operate.

6.5 E’ palesemente infondata anche la censura che riguarda le visite effettuate dall’imputato a casa Gozi nel corso del 14 gennaio 2012, circostanza che per i difensori, non essendosi verificata, ma essendo frutto di invenzione, travolgerebbe l’attendibilità della sua intera deposizione.

La questione è stata esaminata con la consueta attenzione dalla Corte distrettuale, che ha disatteso i profili di critica legati alla divergenza di orario nelle deposizioni del Gozi e della Rustichelli circa il momento della prima visita, effettuata dall’imputato ed all’impossibile visione della fotografia della Ragusa diffusa dai media, perché stampata soltanto in orario successivo.

Ha osservato che la pretesa di assoluta precisione da parte dei testi sugli orari degli eventi vissuti non è esigibile ed anzi potrebbe apparire sospetta, tanto più su fatti non di interesse personale e che sarebbero divenuti rilevanti soltanto nell’ottica giudiziaria; ha altresì rimarcato che gli altri dati di conoscenza offerti dalle indagini sono compatibili con la presenza del Logli a casa Gozi nei termini descritti dai testi.

La Corte di Assise di appello ha avuto cura di raffrontare le indicazioni fornite da costoro con le altre emergenze processuali, dedotte dalle deposizioni e dai dati del traffico telefonico, per concludere circa la piena compatibilità della visita, sia in orario prossimo ed anteriore alle 10, sia in altro successivo alle 11,30, ossia rispettivamente prima e dopo l’intervallo di tempo, nel quale il Logli si era recato col Meini, da lui convocato con una chiamata delle ore 10.22, a fare qualche giro perlustrativo presso i cimiteri ove sono sepolti i genitori della scomparsa.

Inoltre, basandosi sull’identità di ponte radio che serve la zona ove sono ubicate le abitazioni dell’imputato e del Gozi, sulla breve distanza che le separa, sui dati oggettivi del traffico telefonico, ha stimato possibile che il Logli si fosse presentato dal Gozi tra le ore 9.53 e le ore 10.05 ed anche oltre ed altrettanto compatibile la visita effettuata verso le ore 11.30, posto che in entrambi i casi egli non si era certamente trovato presso la propria casa, come dimostrato dalle chiamate telefoniche per il primo orario e testimoniato per il secondo dai testi Meini e Condello.

Inoltre, si è evidenziato che non è dato conoscere i suoi movimenti, diversi ed incompatibili con la predetta visita, perché mai precisati in termini verificabili e verificati nemmeno nelle dichiarazioni rilasciate il 15 gennaio 2012.

Non giova alla tesi della difesa sostenere che i due orari indicati dal Gozi e dalla Rustichelli siano contrastanti, perché si tratta di un dato evidente; si trascura però che, avendo il Gozi, per quanto citato nello stesso ricorso, affermato di non essere per nulla sicuro dell’orario in cui aveva ricevuto la visita del Logli, collocata in mattinata, verso le dieci e mezzo, undici, undici e mezzo, circa un’ora prima dell’inizio del telegiornale di Italia Uno, essendo stato svegliato dalla suocera appositamente per parlare con l’imputato, non è possibile assegnare valore di precisa indicazione all’orario dallo stesso riferito, sicchè è logico e non arbitrario ritenere che possa essersi egualmente verificata in uno dei due momenti indicati dai testi.

In sentenza si legge, infatti, che, ancorchè sia documentata una chiamata delle ore 09.59 in partenza da casa Logli all’utenza in uso ad Adriana Alpini, zia di Roberta, non è dato sapere chi l’abbia effettuata, mentre è ben possibile che egli anche tra la chiamata delle ore 09.53 e quest’ultima si sia recato dal Gozi per quel breve colloquio da questi descritto, oppure che l’abbia fatto tra le ore 10.00 e l’arrivo del Meini, oppure ancora dopo le ore 11.30 e l’incontro con i Carabinieri.

Resta escluso che sul punto la Corte di Assise di appello sia incorsa nel vizio di travisamento della prova per avere proceduto in modo scrupoloso e basato su dati oggettivi a verificare la plausibilità di entrambi gli orari indicati dai testi, che nessun elemento di prova contraria indica abbiano mentito al riguardo, essendo comunque conformi e costanti nel riferire della presentazione del Logli in quel preciso giorno e per quella specifica ragione.

La difesa anche al riguardo omette del tutto di confrontarsi col reato significato indiziario della presentazione del Logli a casa Gozi nella mattinata del 14 gennaio 2012 e questo, -come sottolineato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria-, costituisce il nucleo essenziale della valutazione giudiziale e rende aspecifiche la sua contestazione: la visita del Logli non è una normale visita di cortesia, né una verifica tra le tante, effettuate nel corso delle prime ricerche della moglie; al contrario per i giudici di merito, egli, che dagli accertamenti svolti dalle forze dell’ordine non si era recato da nessun altro vicino di casa a chiedere informazioni su possibili avvistamenti della moglie (pag. 56 sentenza di primo grado, nota 14), si era presentato dal Gozi per sondare il terreno e capire quanto questi avesse visto e compreso degli eventi della notte precedente e se fosse stato realmente riconosciuto quando i loro veicoli erano stati a contatto, essendogli ben noti il soggetto, in quanto vicino di casa, e la sua autovettura, sia per le sue caratteristiche, sia perché costui aveva in corso una pratica presso la sua autoscuola.

In tal senso la sua presentazione era stata percepita anche dal Gozi, che l’aveva subito collegata agli eventi della notte precedente, tanto da esserne rimasto colpito e da averne parlato con lo Spinetti non molto tempo dopo e ben prima di riferirne ai Carabinieri: in sentenza anche questa considerazione personale operata dal Gozi è stata ritenuta veritiera, perché confermata dallo Spinetti come avvenuta in tempi non sospetti e la stessa non contraddice l’incapacità mnemonica del teste di ricordare con precisione l’orario in cui aveva incontrato il Logli presso la propria abitazione, particolare per lui trascurabile a fronte del dato molto più rilevante della reale intenzione che aveva mosso il visitatore.

La sentenza di primo grado ha riportato testualmente anche le dichiarazioni della Rustichelli (pag. 60), a dire della quale il Logli, chieste notizie del genero e parlato con questi, si era avvicinato alla recinzione della loro proprietà, guardando in direzione del passaggio a livello di via Gigli: in tal modo egli aveva inteso effettuare una verifica anche visiva di quanto fosse stato possibile scorgere da quel punto. Inoltre, non sono stati oggetto di confutazione difensiva sia tale particolare, sia la circostanza della ripetuta visita a casa Gozi, effettuata sempre dal Logli nel pomeriggio dello stesso giorno al fine di parlare con la Gombi, assente durante il primo accesso: costei ne ha riferito agli inquirenti e ha collocato la visita dopo la presentazione di altri soggetti che cercavano possibili informazioni, circostanza puntualmente confermata.

Si è molto enfatizzato in ricorso l’errore nel quale era incorso il Gozi nel riconoscere la fotografia, racchiusa in una cornice, che il Logli gli aveva mostrato nel corso della visita mattutina in quella diffusa dai mezzi di comunicazione, che però era stata stampata soltanto verso le ore 13.00 e non era stata previamente incorniciata.

La Corte di merito ha osservato al riguardo che il Gozi si era sbagliato a causa del fatto che nei giorni successivi alla divulgazione della notizia della scomparsa della Ragusa erano state diffuse varie fotografie, tutte abbastanza simili tra loro, come aveva potuto constatare dalla visione diretta dell’album che le racchiude, acquisito agli atti; ha dunque ritenuto tale particolare inidoneo a minare l’attendibilità del teste con un giudizio che è insuscettibile di critica perché basato su dati di fatto reali e correttamente considerati.

Voler attribuire a tale smentita valore dimostrativo della consapevole falsità delle dichiarazioni del teste, che sono state confermate quanto alla parte fondante ed essenziale della sua narrazione in parte dalla deposizione della moglie ed in altra parte da quella della suocera, per ricondurle ad “unica regia per concordare fatti, circostanze e riferimenti da fornire agli inquirenti” (pag. 42 ricorso) costituisce una evidente congettura a fronte dell’omessa indicazione di una qualsiasi plausibile ragione di tale callido mendacio, di una pregressa inimicizia o di un qualunque altro interesse dei Gozi a mentire.

Per la difesa l’essere stata la deposizione di entrambi i testi Gozi e Rustichelli smentita in ordine a questo particolare equivale all’automatica dimostrazione della deliberata falsità delle testimonianze secondo un’equiparazione che si fonda su una massima di esperienza inesistente e che sul piano fattuale non prende nemmeno in considerazione l’altra possibile alternativa dell’errore, commesso in buona fede per un difetto mnemonico o per la somiglianza tra l’oggetto da riconoscere ed altri similari.

Infine sul punto, anche la pretesa contraddizione tra la descrizione della Rustichelli, che aveva riferito della presenza di altro uomo che aveva accompagnato il Logli, e quella del Gozi, per il quale egli l’aveva incontrato da solo, si spiega agevolmente con quanto esposto nella sentenza di primo grado: la Rustichelli ha riferito che l’altro uomo si era fermato in strada al di fuori del cancello a distanza di circa trenta metri, sicchè il Gozi, appena svegliato e rimasto all’interno, non aveva potuto scorgere tale accompagnatore, né riferirne. Nulla quindi indica che i giudici di appello siano incorsi nel travisamento delle prove, avendo fatto oggetto le stesse di una valutazione compiuta e fedele ed avendo dato atto dei relativi risultati in termini chiari, coerenti e razionali.

6.6 In ordine alla descrizione delle macchie di sangue, che il Gozi aveva riferito di avere visto due giorni dopo l’avvistamento della lite lungo la via Gigli, la sentenza ha riscontrato l’irrilevanza di tale particolare rispetto alla ricostruzione dei fatti del 14 gennaio 2012, poiché il teste aveva precisato di non essere certo che le tracce in questione fossero collegate a quanto visto e che si trattasse realmente di sangue umano.

La sentenza non mostra nessun fraintendimento del significato della contestazione difensiva; esprime soltanto una valutazione di motivata superfluità della questione alla luce delle precisazioni fornite dallo stesso teste, ossia una spiegazione logica e lineare.

7. Viene censurato anche l’utilizzo in chiave indiziaria di uno degli elementi, definiti primari per rilevanza, ossia il c.d. esperimento, eseguito il 25 gennaio 2013 dal Logli mentre si era trovato in auto con il dipendente Manuel Ruggeri lungo il tragitto che dall’autoscuola raggiunge la via Gigli n. 7, luogo di abitazione del Ruggeri, oggetto di intercettazione ambientale, nel corso del quale egli aveva chiesto all’accompagnatore di verificare se fosse possibile vedere all’interno di un’autovettura in sosta a luci spente lungo la via Gigli.

La valenza indiziaria di siffatto comportamento è correlata alla divulgazione la sera del 23 gennaio 2013 nel corso di una trasmissione televisiva della notizia dell’esistenza di un teste, che aveva visto il Logli la notte del 14 gennaio 2012 fuori casa mentre litigava con una donna lungo la via Ulisse Dini, notizia in realtà inesatta quanto al luogo di svolgimento della lite, che il Gozi ha collocato nella via Gigli, e che non era stata accompagnata dalla descrizione del precedente avvistamento del Logli fermo in attesa lungo la medesima via all’interno di un’autovettura in sosta a luci spente.

Con corretto procedimento inferenziale se ne è dedotto che soltanto chi realmente si era trovato a vivere quella situazione per propria esperienza diretta ed era consapevole della veridicità della testimonianza avrebbe potuto effettuare l’esperimento nelle condizioni riferite dal Gozi, ossia nella via Gigli e guardando dall’esterno all’interno di un veicolo al buio senza i fari accesi, condizioni non ancora note al pubblico perché non oggetto di divulgazione-, e non dal servizio televisivo e che lo scopo perseguito era quello di saggiare la concreta fattibilità di quanto descritto.

A ciò si è aggiunta la considerazione del moto di stupore del Logli su come più soggetti potessero dire una simile bugia, attribuendola a più testimoni e non ad uno solo, sebbene anche questa notizia non fosse ancora trapelata. Il ricorso al riguardo oppone obiezioni inammissibili per più ordini di ragioni.

In primo luogo, propone la lettura alternativa e di per sé non consentita delle espressioni captate, riguardanti la pluralità di sostenitori di un fatto ritenuto una bugia, che in chiave difensiva si ritiene egualmente possibile identificare negli organi di informazione o nei giornalisti.

Quanto esposto in sentenza è fedelmente aderente al testo della trascrizione, nel quale il Logli si era espresso al plurale per alludere alle testimonianze raccolte, di cui le trasmissioni davano soltanto notizia, mentre la Corte distrettuale ha dato atto di avere visionato le relative registrazioni senza avere rinvenuto nessun accenno all’avvistamento notturno del Logli nella via Gigli all’interno della sua autovettura a fari spenti, circostanza che quindi egli non avrebbe potuto conoscere, se non per essere stato avvistato e che non aveva nemmeno interesse a verificare, se non perché consapevole che la stessa smentiva le sue dichiarazioni e la pretesa scoperta della scomparsa della moglie soltanto l’indomani mattina.

Con il ricorso per la prima volta nel corso della presente vicenda processuale la difesa eccepisce l’inutilizzabilità della conversazione intercettata perché di tenore incomprensibile ed evidenzia che nella stessa relazione del RONI del 5 febbraio 2013 si era dato atto che il dialogo era a tratti incomprensibile per la presenza di rumori di fondo, sicchè il contenuto preso in considerazione è frutto di un intervento di rielaborazione ed interpretazione giudiziale in assenza di una oggettiva certezza. Non soltanto in riferimento alle difficoltà di comprensione di un testo comunicativo non è appropriato evocare la sanzione dell’inutilizzabilità, che riguarda le prove vietate per legge ai sensi dell’art. 190 cod. proc. pen., o comunque, in riferimento all’attività captativa, la trasgressione delle prescrizioni di cui agli artt. 266 e ss cod. proc. pen., sanzionata dall’art. 271 cod. proc. pen., ma nel caso specifico la doglianza soffre anche di generica formulazione, in quanto non illustra in dettaglio quali passaggi della trascrizione sarebbero non intelligibili per rumori di fondo o altra causa, quali fratture nel dialogo non siano state riscontrate, quali parole siano state oggetto di non corretta ed infedele trascrizione.

Così strutturato, il motivo non consente di condurre nessuna verifica e nemmeno di porre in dubbio la appropriata traslazione dei suoni registrati in segni grafici sotto forma di parole nel testo scritto, anche per la mancata produzione nei gradi precedenti di un supporto tecnico sotto forma di trascrizione operata da un consulente di parte a dare conto degli errori compiuti.

Se la lettura del dato captativo, proposta dal giudice, è conforme alla trascrizione operatane dalle forze di polizia, è onere della parte ricorrente controdedurre anche mediante un elaborato tecnico, per confutarne la rispondenza al vero e dimostrare errori, omissioni, travisamenti che diano per reali dati che non lo sono.

Sul punto il ricorso cita altri passaggi di quella conversazione, ma omette proprio di contestare quello più significativo ed indiziante, in cui il Logli è ritenuto avere realmente condotto un controllo sul campo di quanto sapeva essere accaduto, ma non ancora rivelato dai mezzi di comunicazione: tale comportamento riceve una sola spiegazione logica nei termini ritenuti dai giudici di merito e lo rende validamente utilizzabile a suo carico nell’ambito della concatenazione indiziaria.

E’ necessario ricordare al proposito che, secondo l’insegnamento di questa Corte (Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, rv. 263715; sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, D’Andrea, rv. 268389; sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio ed altri, rv. 257784; sez. 6, n. 11189 dell’8/03/2012, Asaro, rv. 252190) è consentito prospettare un’interpretazione del significativo di un’intercettazione diversa da quella prospettata dal giudice di merito solo in presenza del travisamento, ovvero della manifesta illogicità, ovvero della irragionevolezza motivazionale, tutte situazioni che, per quanto esposto, non ricorrono nel caso presente.

Inoltre, è altrettanto costante l’affermazione per cui nell’attività intercettativa la prova è costituita dalle bobine delle registrazioni, non già dalla relativa trascrizione, sicchè il giudice può utilizzarne gli esiti anche mediante l’ascolto diretto dei nastri magnetici, ossia mediante un intervento ricognitivo condotto legittimamente anche in assenza della mediazione rappresentata dalla trasposizione grafica dei suoni (sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, Giorgini ed altri, rv. 266775; sez. 3, n. 36350 del 23/3/2015, Bertini ed altri, rv. 265635; sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, Caia ed altri, rv. 259674).

8. Anche la valutazione dell’intervista televisiva rilasciata dal ricorrente non presta il fianco a critiche sul piano della logicità motivazionale.

Nel conforme giudizio espresso nelle due sentenze di merito, il Logli, parlando delle possibili direzioni in cui la moglie avrebbe potuto allontanarsi, si era lasciato sfuggire che ciò si sarebbe verificato a mezzanotte e col buio, per poi immediatamente sviare il discorso, perché consapevole di avere mentito allorchè aveva riferito ai Carabinieri di essersi coricato verso quell’ora, cosa che gli avrebbe impedito di avere contezza dei movimenti di Roberta e dei relativi orari.

La difesa assume che il filmato visionato dalla Corte sarebbe frutto di un montaggio, realizzato utilizzando spezzoni di materiale più ampio di momenti differenti, sicchè verrebbe meno la fluidità del prodotto e che l’attenzione sarebbe stata concentrata su una sola frase, avulsa dal contesto, e quindi non significativa perché suscettibile di interpretazioni alternative.

Ancora una volta si tenta di introdurre nel processo il dubbio sulla genuinità dei dati di conoscenza valorizzati per pervenire al giudizio di responsabilità con argomentazioni, da un lato riguardanti il fatto e la consistenza della prova, dall’altro non adeguatamente supportate sul piano dimostrativo.

La prova non è stata travisata, 17 rettamente intesa nella sua consistenza materiale, mentre nulla, -né una testimonianza, né una dichiarazione scritta proveniente dalla redazione televisiva, nemmeno un accertamento di natura tecnica, non richiamati in ricorso, che tace sul punto-, consente di avvalorare quanto esposto nell’impugnazione circa la diffusione di espressioni non autenticamente pronunciate dal ricorrente e comunque non nell’ordine in cui sono apparse grazie al montaggio.

Quanto al significato della frase indiziante, è generico affermare che la stessa si presti a più interpretazioni quando non si specificano quelle non prescelte e non si dimostri il suo fraintendimento o la manifesta irragionevolezza del ragionamento valutativo seguito: nello specifico, per come intesa dai giudici di merito, era stato il Logli di sua iniziativa ad indicare un orario di allontanamento della moglie e le condizioni di buio, che, essendosi dichiarato già addormentato, non avrebbe potuto conoscere, ma la collocazione oraria dell’uscita da casa non può costituire un dato logicamente inferibile dal tragitto ricostruito dal cane molecolare, né una conseguenza necessitata, perché avrebbe potuto verificarsi in qualsiasi momento prima della pretesa scoperta alle 06.45 dell’indomani.

Inoltre, si pretende di superare con i predetti rilievi anche la considerazione esposta in sentenza sull’improvviso tentativo del Logli di sviare il discorso dall’orario indicato, che la Corte di Assise di appello, dopo avere visto il filmato, addebita alla consapevolezza del passo falso commesso senza che la difesa abbia potuto confutare tale conclusione.

9. E’ inammissibile per manifesta infondatezza e per la sua aspecifica formulazione anche la censura che investe l’accertamento del movente dell’omicidio.

Si sostiene che nessun valido motivo poteva avere il Logli per volere la morte della moglie e che l’interesse economico sarebbe stato riferito dalla sola teste Cinzia Triglia per averlo appreso dalle confidenze dello stesso imputato in termini e con modalità denunciate come assolutamente inverosimili e prive di riscontro.

Osserva il Collegio che la sentenza, pur richiamando quanto già osservato dal primo Giudice, non ha fatto riferimento a quanto riferito dalla teste Triglia, per cui tutte le obiezioni articolare in ricorso al riguardo si discostano dal reale percorso motivazionale della decisione avversata.

Piuttosto, con approccio analitico ed aderente alle emergenze probatorie la Corte di Assise di appello ha ritenuto che i dati di conoscenza disponibili, più diffusamente esposti nella sentenza di primo grado, indicassero in modo univoco la concorrenza di più causali dell’omicidio, tutte riferibili al ricorrente, essendo stato dimostrato che:

il rapporto coniugale si era logorato per la duratura relazione extraconiugale intrattenuta dal Logli, di cui la Ragusa era divenuta consapevole, sospettando anche l’identità dell’amante del marito;

che la coppia aveva interessi patrimoniali ed economici strettamente connessi, in quanto la Ragusa era titolare di una quota dell’attività di famiglia che gestiva l’autoscuola e se ne occupava fattivamente, mentre la casa coniugale era di proprietà dei suoceri ed il Logli non aveva inteso allontanarsene per non essere estromesso dall’eredità dei genitori a vantaggio del fratello;

che la Ragusa aveva preso in considerazione l’ipotesi di separarsi dal marito, cui aveva intimato di troncare la relazione con l’amante, nonostante le sue negazioni, ma era consapevole di non disporre né di redditi autonomi, né di un’abitazione dove potersi trasferire, mentre il Logli non aveva visto con favore tale soluzione per il timore delle conseguenze economiche in termini quanto meno di mantenimento della moglie e dei figli, sebbene anche l’amante avesse reclamato un chiarimento definitivo, tanto da avere assunto la decisione di lasciarlo alcuni mesi prima.

Da tali premesse si è dedotto in perfetta consecuzione logica che il Logli avesse agito, pur senza premeditazione, perché spinto dall’interesse ad eliminare la moglie per poter vivere liberamente la relazione con la Calzolaio senza dover subire i contraccolpi di una separazione sia sul piano sociale, che su quello economico, mentre la sparizione definitiva di Roberta aveva potuto risolvere tutti i suoi problemi.

Anche sul punto le contestazioni difensive si risolvono in negazioni generiche o nel richiamo parziale delle risultanze istruttorie: si citano sommariamente gli esiti di accertamenti patrimoniale senza illustrarne il contenuto e pretendendo da questa Corte la lettura diretta di atti probatori che le è preclusa, sicchè non è desumibile con certezza che la Ragusa era nelle condizioni di vivere con redditi personali, autonomi da quelli prodotti dalla gestione dell’autoscuola e si prescinde da qualsiasi quantificazione in tal senso, mentre, come già detto e come riportato ampiamente nella sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello, le amiche della donna hanno riferito del suo rammarico per avere alienato, -su indicazione del marito che controllava in via esclusiva tutte le entrate familiari ed era da lei accusato di eccessiva parsimonia-, anche un appartamento ereditato e per essersi così privata della possibilità di un alloggio proprio ove trasferirsi con i figli in caso di separazione.

Inoltre, anche la testimonianza resa da Calogero Ragusa, cugino di Roberta, sulla disponibilità del Logli ad accordare la separazione alla moglie a condizioni economiche buone e sull’intento della moglie di tenere unita la famiglia, non può apportare smentite tali da destituire di fondamento logico quanto ritenuto dai giudici di merito, se si considera che il teste ha riferito circostanze apprese in parte dalla cugina Sonia e non direttamente da Roberta, e che comunque l’intendimento del Logli è genericamente riportato in assenza di qualsiasi concreta indicazione circa la condizioni che intendeva accordare alla moglie, la quale è processualmente dimostrato fosse ancora a lui affezionata, sebbene non disposta a tollerare che egli mantenesse anche la relazione con l’amante, dallo stesso mai abbandonata.

Pertanto, anche sul punto l’addebito mosso ai giudici di appello di travisamento per omissione dei dati probatori non è ritualmente dedotto e supportato da adeguato riscontro probatorio e la censura si riduce ad una sollecitazione inammissibile e sconfinante nel merito ad una ricostruzione alternativa della situazione personale e finanziaria della famiglia Logli.

10. Ulteriori censure il ricorrente muove alla ricostruzione del fatto storico ascritto all’imputato per negare ogni plausibilità al ragionamento inferenziale esposto in sentenza, tacciato di illogicità motivazionale e di congetturalità e stravaganza.

Dissente il Collegio da tale assunto: per avere motivatamente escluso ogni altra possibile spiegazione alla sparizione inattesa ed improvvisa di Roberta Ragusa dalla propria abitazione, certamente non rapita da ignoti per l’assenza di qualsiasi segno di effrazione e la presenza in casa degli altri inconsapevoli familiari, l’unica risposta razionale e legata da nesso di stretta consecutività a questa premessa resta quella della volontaria soppressione da parte del marito, ultimo soggetto ad averla vista in vita e ad averle parlato, unico ad avere certamente mentito sui suoi movimenti di quella notte e ad avere deliberatamente orientato le indagini su false piste, che avevano finito anche per rallentare e compromettere in parte i percorsi investigativi. Il clima di sospetto e di tensione, nel quale la Ragusa aveva vissuto gli ultimi giorni di vita dopo l’episodio da lei stessa definito “la tragedia della caduta dalle scale”, percepito come frutto di una condotta volutamente aggressiva del marito ai suoi danni, non è revocabile in dubbio.

La sentenza esprime un convincimento netto, chiaro e basato su precise emergenze probatorie, quali il diario della donna con le annotazioni sulla caduta, sui movimenti e sui comportamenti del marito, spiato per poterlo cogliere in fallo durante i suoi contatti clandestini con l’amante e le confidenze al medico di base ed alle amiche, con una delle quali, la Casini, ella aveva anche fissato un appuntamento per il martedì successivo per meglio parlarle dell’episodio descrittole al telefono durante una conversazione, nella quale si era detta in ansia ed incapace di dormire da giorni.

E che Roberta spiasse il marito durante i momenti in cui era solito appartarsi in soffitta per poter chiamare indisturbato l’amante costituisce circostanza risultante dalla deposizione di Sonia Alpini, cugina della vittima, secondo la quale costei le aveva riferito che nel maggio 2011 aveva scoperto il marito intento a parlare di notte in soffitta con un’amante, che lei aveva sospettato essere la Calzolaio, poiché i due stavano parlando di argomenti riguardanti l’autoscuola e che ne era nata un’accesa discussione, conclusasi con il Logli che aveva tenacemente negato (pag. 111 sentenza di primo grado).

La sentenza prosegue, affermando come altrettanto oggettivamente dimostrato: che egli la notte tra il 13 ed il 14 gennaio 2012 mentre la moglie stava compiendo ordinarie attività domestiche prima di coricarsi, avendo già indossato l’abbigliamento da notte descritto dalla figlia Alessia, si era ritirato in soffitta ed era stato impegnato in tre conversazioni con la Calzolaio, l’ultima delle quali, iniziata alle ore 00.17 si era interrotta bruscamente dopo appena pochi secondi; che a quell’ora egli non era a letto e non era addormentato, ma aveva avuto contezza dei movimenti della moglie anche quando, secondo quanto desunto dagli indizi definiti primari, costei aveva improvvisamente abbandonato l’abitazione senza indossare altri indumenti, né prelevare oggetti di qualsiasi tipo, per l’unica spiegazione possibile e ragionevole che fosse stata indotta a ciò da una forte emozione e da un forte timore per la propria incolumità dopo avere avuto la certezza, spiandolo e restando in ascolto, che il marito avesse ancora una relazione con un’amante e che costei fosse proprio l’amica e collaboratrice Sara Calzolaio, in un momento in cui era preda di forti sospetti che egli avesse già voluto ucciderla, simulando una caduta accidentale.

A quel punto il Logli, accortosi della fuga della moglie per i campi, senza essersi coricato a letto, era uscito a bordo della sua autovettura Ford Escort e si era posizionato lungo la via Gigli in luogo in cui aveva ritenuto di poterla intercettare, ove era però stato visto e riconosciuto dai coniugi Gozi-Gombi nonostante il tentativo di nascondere il volto con la mano.

Consapevole di ciò, aveva fatto rientro a casa, distante da quel punto appena 700 mt., ove aveva lasciato in tutta fretta l’auto sul vialetto nella posizione del tutto insolita, notata e descritta dai testi Latona e Boni, aveva prelevato l’utilitaria Citroen C 3 della moglie e si era recato nuovamente in via Gigli, ove aveva effettivamente incontrato la Ragusa, tanto che il cane molecolare aveva fiutato traccia della sua presenza, aveva litigato con lei e l’aveva costretta a forza a salire sull’auto, venendo visto e sentito dal Gozi a passaggio col cane, mentre la Gombi aveva percepito le grida dalla sua abitazione senza poter comprendere da chi provenissero.

Abbandonato il luogo in tutta fretta, l’aveva quindi condotta in altro luogo rimasto ignoto per poi sopprimerla con modalità anch’esse non potutesi accertare e farne sparire definitivamente, almeno sino ad ora, il corpo nel lasso temporale di quasi sette ore prima di chiamare le prime persone l’indomani e comunicare l’assenza della moglie.

Coerente con descrizione dell’accaduto è reputata anche la stessa circostanza del mancato successivo ritrovamento del corpo della scomparsa, che rafforza l’ipotesi accusatoria dell’omicidio per mano dell’imputato, il quale, se la morte fosse sopraggiunta per fatto accidentale, o colposo, oppure ancora per una causa naturale, aveva tutto l’interesse di conservare le evidenze probatorie in grado di avvalorarlo e di alleggerire la sua posizione.

Per sostenere l’arbitrarietà di tale rievocazione in ricorso si oppongono circostanze di fatto non vagliabili da parte di questa Corte di legittimità e comunque non risolutive; oltre a negare l’atteggiamento guardingo e di sospetto della vittima, che è, invece, ritenuto ampiamente dimostrato sulla base di solido riscontro probatorio, la difesa sostiene l’assurdità di una reazione di fuga per sfuggire all’ipotetica violenza del marito, che sino a quel momento nessuna condotta di tal genere aveva compiuto.

Così ignora volutamente quanto già in precedenza esposto sul fermo convincimento della Ragusa, a prescindere dalla fondatezza o meno dello stesso, che il marito avesse già una prima volta tentato di ucciderla, facendole battere il capo a terra e sull’avvenuta scoperta mesi prima dello stesso Logli intento nella medesima situazione in cui stava parlando con la Calzolaio al telefono a tarda sera, pensando di non essere sentito.

Va aggiunto che quanto affermato dalla stessa Calzolaio sulle abitudini dell’imputato di accendere il televisore per non far giungere al piano di sotto, nulla dice cosa fosse accaduto realmente quella notte e non contraddice l’episodio riferito dalla teste Alpini, in cui la Ragusa aveva percepito il dialogo dopo aver salito qualche gradino della scala retrattile che conduceva alla soffitta.

La difesa, poi, pone una serie di interrogativi , cui non spetta a questa Corte dare risposta, sulla direzione seguita nella sua fuga dalla Ragusa e sulle ragioni del mancato inseguimento da parte dell’imputato , che in ogni caso non possono smentire il dato, logicamente ritenuto provato, del loro incontro lungo la via Gigli dove anche un cane molecolare aveva fiutato le sue tracce, del litigio e del suo forzato prelievo da quel luogo per raggiungere un luogo imprecisato, magari la stessa abitazione quale punto finale del tragitto ipotetico, posto che il percorso effettuato dal predetto cane termina proprio alla casa.

Ci si interroga poi sulle ragioni della mancata richieste di aiuto , rivolta dalla fuggitiva ad amici, vicini di casa o ai suoceri, ma si pretende così un comportamento razionale e ordinato da chi era in preda al panico, tanto da essere scappata in una tenuta del tutto inidonea e senza nulla che le consentisse di restare a lungo fuori casa, mentre in sentenza si è anche aggiunto che il rapporto da lei intrattenuto con i suoceri era stato tutt’altro che cordiale, ma freddo e formale, cosa che non poteva accreditarli quali figure solidali e tutelanti.

Infine, sul punto la divergente ricostruzione della causa scatenante l’improvvisa uscita di casa della Ragusa, che per il primo Giudice era ascrivibile ad una violente lite col marito, per quella d’appello al timore suscitato dalla scoperta dello stesso intento nella conversazione con l’amante e dalla consapevolezza di averlo smascherato e la prospettazione di una sua reazione violenta, va ricondotta a ragionevolezza e non integra, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, una difformità su un aspetto decisivo dell’accertamento indiziario del fatto di reato, posto che gli effetti delle due prospettazioni sono indicati nei medesimi termini.

Nè dal rilievo può discendere un riesame nella sede di legittimità: la considerazione dei Giudici di appello è frutto di legittime prerogative decisionali e si basa su elementi acquisiti e non è dunque congetturale ed arbitraria.

11. Con argomenti altrettanto non consentiti, perchè volti ad isolare i dati indiziari nel tentativo di depotenziarli, la difesa ha ripreso il tema dell’attendibilità del riconoscimento effettuato dal Gozi del Logli fermo in sosta all’interno della sua autovettura.

la lineare logica del percorso ricostruttivo degli eventi, esposto in sentenza, viene criticata sotto il profilo già ampiamente risolto a ragione del potere illuminante dei fari abbaglianti attivati dal Gozi, della distanza ravvicinata in cui si erano trovati i due veicoli all’atto del passaggio del teste in un momento in cui i due conducenti si erano trovati accanto e del fatto che il Logli era persona già conosciuta in precedenza.

L’identificazione in costui dell’uomo visto in un secondo momento litigare con una donna non si basa sulla sicura percezione del teste, che, a riprova della sua neutralità, prudenza ed affidabilità, mai ha riferito di avere con sicurezza visto il Logli, ma un soggetto di sesso maschile che gli assomigliava, intento a litigare con una donna che, per la posizione cui si era trovata, gli aveva suggerito fosse provenire dai campi.

Tutte le obiezioni riguardanti le incertezze sulle persone avvistate, sul tipo e colore del veicolo a borso del quale si erano allontanate velocemente, sull’erronea descrizione dei fanali di tale autovettura, sulla mancata annotazione del numero di targa non colgono nel segno perchè si appuntano su dettagli secondari, cinsiderati un sè ed isolatamente, non in riferimento al quadro complessivo delle acquisizioni.

In altri termini, l’avvistamento assume valore indiziario, secondo quanto disposto in precedenza, poichè correlato ad altri elementi, ossia al primo avvistamento, – effettuato dal Gozi in termini di certezza e costantemente ripetuto dopo la decisione di riferire tutto di quanto a sua conoscenza -, alla posizione attesa del Logli, al suo tentativo di nascondersi, alla falsa negazione di essersi trovato in quel luogo, alla corrispondenza tra la posizione descritta dal Gozi e la traccia olfattiva della Ragusa percepita dal cane molecolare, all’esperimento effettuato quando nessuno era informato di quanto percepito da un teste in quelle condizioni, all’assenza di altri passanti o di altri soggetti in sosta in quel luogo in orario notturno ed in stagione invernale, alla mancata segnalazione di una lite intercorsa in quel frangente tra persone estranee ai Logli, tutti dati non direttamente rappresentativi dell’aggressione alla Ragusa, ma gravi, precisi e univocamente indicativi del compimento di un gesto violento e soppressivo in suo danno da parte dell’imputato, che nella colluttazione aveva anche riportato un graffio in fronte, sino al giorno prima assente e non giustificato in termini plausibili e verificabili.

12. La difesa solleva anche il tema, già proposto in chiave dissenziente rispetto alla prima decisione, della configurabilità del delitto di omicidio pur in assenza del ritrovamento del cadavere della vittima.

La Corte di Assise di Appello ha superato l’biezione difensiva, richiamando un consolidato insegnamento giurisprudenziale, riferibile anche al caso di specie, secondo il quale, l’indisponibilità del corpo senza vita della Ragusa non consente di accertare con quale mezzo la stessa sia stata soppressa, ma rafforza ancor di più il quadro indiziario, perchè, diversamente, il cadavere sarebbe stato ritrovato nel corso delle ricerche condotte a lungo e sul piano soggettivo autorizza un giudizio altamente negativo sulla personalità dell’imputato, che con freddezza ed efficacia era riuscito a disfarsene, impedendone anche il successivo rinvenimento.

In effetti, nella giurisprudenza di questa Corte è costante l’orientamento, secondo il quale il verdetto di colpevolezza per il delitto di omicidio può raggiungersi anche in caso di mancato rinvenimento del cadavere della vittima quando la verifica degli indizi emersi sul punto conduca al logico convincimento della morte della persona scomparsa (sez. 1, n. 21731 del 17.05.2019, Albi, rv 275895; sez. 1 n. 4494 del 13.12.2007, Cianni ed altro, rv. 239326; sez. 1, n. 3624 del 12.01.1995, Shoukry, rv. 201935; sez. 1 n. 2070 del 03.09.1996, dep. 1997, Cucinotta, rv. 206452).

La pretesa incompatibilità tra il giudizio di responsabilità ed il mancato rinvenimento del cadavere finirebbe col privilegiare l’autore del delitto e la sua spregiudicatezza, mentre la soluzione opposta si alimenta processualmente dell’assenza di limitazioni al principio del libero convincimento del giudice, stabilito dall’art. 193 cod. proc. pen., richiedendosi soltanto il rispetto delle regole sull’utilizzo della prova critica e dei parametri logici che presiedono alle operazioni ricostruttive dei fatti anche quando non sia disponibile dati direttamente rappresentativi.

Va poi aggiunto che la linea difensiva, che si appunta sull’assenza di tracce rilevanti, indicative dell’avvenuto omicidio e della soppressione del cadavere in entrambe le vetture della famiglia Logli, nonostante le accurate indagini condotte, si arresta al dato oggettivo, ma non considera la spiegazione razionale fornita in sentenza dell’avvenuta volontaria sottrazione da parte dell’imputato dei veicoli e del suo giubbotto a qualsiasi accertamento, nonchè dell’accurata rimozione di possibili materiali riconducibili all’accaduto dal vialetto dell’abitazione, condotta altrettanto imputabile al Logli, che neanche sul punto nessuna spiegazione apprezzabile ha fornito.

Tanto ha impedito la conduzione di qualsiasi verifica in tempi immediatamente successivi alla conoscenza per gli investigatori dell’assenza della persona offesa. Lo sviamento delle verifiche e gli ostacoli frapposti dal Logli, costituiscono la spiegazione di tale esito in termini non ipotetici, ma sicuri perchè ricavati da precise emergenze processuali.

13. Infine, anche con i motivi aggiunti, la difesa prospetta il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo di omicidio per sostenere che, in applicazione del principio del favor rei, il fatto andrebbe rapportato alla fattispecie dell’omicidio preterintenzionale.

E’ fondata e meritevole di accoglimento l’eccezione, sollevata dalla difesa della parte civile Associazione Penelope, che indica l’assoluta novità del tema così posto; nè con i motivi di appello, nè successivamente nel corso del giudizio di secondo grado risulta dedotta la questione, che non può quindi essere rimessa per la prima volta alla decisione del giudice di legittimità.

In ogni caso, non è superfluo annotare che l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale non può derivare dall’indisponibilità di evidenze che descrivano le concrete modalità di consumazione del fatto delittuoso, se tanto sia conseguenza dell’azione soppressiva del cadavere posta in essere dall’autore dell’omicidio; per cui l’attività di occultamento del corpo della vittima e di depistaggio delle indagini da parte del responsabile sono ricollegabili all’intento di pregiudicare la scoperta del fatto di maggiore gravità.

Per le considerazioni svolte il ricors, palesemente basato su censure non consentite o manifestamente infondate, va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro 3.000,00 (tremila/00).

Ne discende altresì la condanna alla rifusione delle spese di costituzione, sostenute nel giudizio dalle parti civili, liquidare come in dispositivo in ragione del numero e della natura delle questioni trattate.

Non può procedersi alla correzione dell’errore materiale, contenuto nella sentenza di appello secondo quanto sollecitato dall’avv.to Gallidoro, quale patrono delle parti civili, poichè, a norma dell’art. 130 cod. proc. pen., la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità per il Giudice dell’impugnazione di adottare intervento emendativo, che resta di competenza del Giudice che ha pronunciato il provvedimento da correggere.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, altresì, Logli Antonio alla rifusione delle spese, sostenute nel grado, dalla parti civile Ragusa Antonino e Ragusa Anna Maria, che liquida in euro 4.300,00;

Alpini Giovanna, Alpini Sonia, Ragusa Calogero, Ragusa Maria e Napolitano Maria Catena, che liquida in euro 8.600,00;

Associazione Nazionale Penelope Italia Onlus, che liquida in euro 4.020,00 e il cui pagamento è a favore dello Stato.

Inoltre, per tutte le predetti parti civili, rimborso spese generali, c.p.a. ed i.v.a. come da legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019.

(all.1) Corte di cassazione sentenza n. 16607 del 17 marzo 2016

SENTENZA – copia non ufficiale -.pdf