Omicidio stradale: il Giudice, in sede di condanna, può disporre la revoca, per un determinato periodo, del documento di guida (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1634).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Salvatore nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza del 07/06/2019 del GIP del TRIBUNALE di MANTOVA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano APRILE;

lette le conclusioni del PG Dott.ssa Elisabetta CENICCOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mantova, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse di Salvatore (OMISSIS) volta a ottenere la revoca della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ordinata con la sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 cod. proc. pen. per il reato di cui all’articolo 589-bis, primo comma, cod. pen., pronunciata dal medesimo giudice in data 6 marzo 2018, irrevocabile il 26 aprile 2018, in considerazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 2019 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 222, comma 2, cod. strada.

2. Ricorre Salvatore (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. Maria Grazia Galeotti, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 589-bis, primo comma, cod. pen. e dell’art. 222, comma 2, cod. strada.

Preliminarmente il ricorrente ha precisato che la sentenza che ha disposto la revoca della patente è in esecuzione poiché la Prefettura di Mantova, con decreto del 05.07.2018, notificato al condannato il 26.08.2018, ha disposto la revoca della patente di guida per anni tre a decorrere dalla data della consegna del titolo (avvenuta in data 26.08.2018).

Il ricorrente fa da ciò discendere che, alla luce della sentenza Cass. SU n. 42858/2014, P.M. in proc. Gatto, che ha consentito l’applicabilità dell’art. 30, quarto comma, I. n. 87/1953 ai casi di declaratoria di incostituzionalità di norme non incriminatrici che incidono sul trattamento sanzionatorio, e della sentenza Cass. SU n. 18821/14, Ercolano, che ha esteso l’applicazione della disposizione alla pena costituzionalmente illegittima, la sentenza della Corte Costituzionale n. 88/2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, cod. strada nella parte in cui non prevede che nel caso di condanna per i reati di cui all’art. 589-bis, primo comma, e 590-bis, primo comma, cod. pen. il giudice possa applicare in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, quella meno grave della sospensione della patente, comporta la necessaria rivalutazione in sede esecutiva del detto trattamento sanzionatorio accessorio, dovendosi ritenere la funzione punitiva della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, come affermata nella sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2019.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni che saranno esposte.

2. È bene premettere che la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis (omicidio stradale) e 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada, allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.

2.1. La Corte Costituzionale ha ricordato che la disposizione in esame prevede la sanzione amministrativa della revoca della patente, estesa indistintamente a tutte le ipotesi – sia aggravate dalle circostanze «privilegiate», sia non aggravate – di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime e che lo sviluppo normativo ha condotto da ultimo alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo (art. 589-bis e art. 590-bis cod. pen.), connotate dalla previsione di plurime circostanze aggravanti «privilegiate» con un differenziato trattamento sanzionatorio di maggior rigore, nonché dal divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., e quelle aggravanti a effetto speciale così introdotte.

Ad avviso del giudice delle leggi, «l’aggravamento della risposta sanzionatoria, voluto dal legislatore del 2016, è quindi risultato articolato in più livelli. In perfetta simmetria le due citate disposizioni prevedono – per l’omicidio stradale e per le lesioni personali stradali – l’ipotesi base del reato colposo (al primo comma); l’ipotesi maggiormente aggravata della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi secondo e terzo); nonché un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura minore (ai commi quarto, quinto e sesto), ma comunque con una pena aumentata rispetto all’ipotesi base.

Il disvalore della condotta in 3 violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è quindi articolato secondo una precisa graduazione.

Il divario è di tutta evidenza se si pongono in comparazione le ipotesi base del primo comma dell’art. 589-bis e dell’art. 590-bis cod. pen. con le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e nel terzo comma di entrambe le disposizioni.

La pena prevista ove ricorrano tali aggravanti privilegiate è marcatamente più elevata della pena base, come risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate sono sensibilmente incrementati».

Ciò premesso, la sentenza n. 88 del 2019 ha evidenziato che «invece, per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio, che costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca», fermo restando che «un profilo di irragionevolezza è già stato rilevato da questa Corte in un’ipotesi di automatismo della “revoca” amministrativa della patente di guida, prevista dall’art. 120, comma 2, cod. strada» (sentenza n. 22 del 2018).

La Corte ha, quindi, concluso che «nell’art. 222 cod. strada l’automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, può giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni, quali previste, come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.», perché «porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.) o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali; e, pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime».

Del resto, «al di sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità la previsione della medesima sanzione amministrativa. In tal caso, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice».

D’altra parte, «oltre all’irragionevolezza intrinseca di una sanzione amministrativa fissa per tali ultimi comportamenti, c’è anche che nell’art. 222 cod. strada rimane vigente la prescrizione del secondo e del terzo periodo del comma 2, i quali prevedono rispettivamente che, quando dal fatto commesso con violazione del codice della strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, la sospensione della patente è fino a due anni, mentre nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a quattro anni.

Quindi coesistono nella stessa norma (comma 2 dell’art. 222 cod. strada) prescrizioni che si sovrappongono senza una chiara delimitazione di applicabilità». In conclusione, secondo il giudice delle leggi «la revoca della patente di guida non può essere “automatica” indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis (omicidio stradale) sia dall’art. 590-bis cod. pen. (lesioni personali stradali), ma si giustifica solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti).

Negli altri casi, che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, sia nelle ipotesi non aggravate del primo comma delle due disposizioni suddette, sia in quelle aggravate dei commi quarto, quinto e sesto, il giudice deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada».

Ha, quindi, concluso la Corte statuendo che «tale comma è costituzionalmente illegittimo, nel suo quarto periodo, nella parte in cui non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui al secondo e al terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen., la possibilità per il giudice di applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, quella della sospensione della patente, secondo il disposto del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada».

Ne consegue che «in questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato, tenendo conto degli artt. 218 e 219 cod. strada, potrà sia disporre la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 cod. strada».

3. È utile rimarcare che la sentenza sopra richiamata si innesta in un percorso, ormai consolidato, volto a eliminare ogni automatismo nel trattamento punitivo \ sanzionatorio anche per quello che riguarda le sanzioni amministrative.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 22 del 2018) ha recentemente esaminato la questione di costituzionalità relativa all’automatismo della revoca della patente, da parte dell’autorità amministrativa in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti, dichiarandola fondata per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

La Corte ha evidenziato che «la disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità.

Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità».

Del resto, «ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della “revoca” amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del “ritiro” della patente che, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione “può disporre”, motivandola, “per un periodo non superiore a tre anni”».

Si è precisato che, pur operando dette misure su piani diversi, «la contraddizione sta in ciò che – agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca», sicché «per tali profili di contrasto con l’art. 3 Cost. va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’esaminato comma 2 dell’art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990».

3.1. La Corte costituzionale (sentenze n. 193 del 2016 e n. 63 del 2019) si è, d’altra parte, occupata di stabilire «se poi, ed eventualmente in che misura, il principio della retroattività della lex mitior sia applicabile anche alle sanzioni amministrative». Pur trattandosi di un tema che è in parte estraneo a quello oggetto del giudizio perché in presenza del giudicato opera il divieto di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., è utile analizzare la più recente giurisprudenza costituzionale da cui possono ricavarsi utili spunti di riflessione.

La Corte ha rilevato come «la giurisprudenza di Strasburgo non abbia “mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale”.

In difetto, pertanto, di alcun “vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative”, la sentenza n. 193 del 2016 ha giudicato non fondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), del quale il giudice, a quo, sospettava il contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede una regola generale di applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi: regola generale la cui introduzione, secondo la valutazione di questa Corte, avrebbe finito “per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione (qualificata “amministrativa” dal diritto interno) come “convenzionalmente penale”, alla luce dei cosiddetti criteri Engel”.

Si è, del resto, precisato che «rispetto, però, a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità “punitiva”, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della “materia penale” – ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior – non potrà che estendersi anche a tali sanzioni.

A tale conclusione non osta l’assenza, sino a questo momento, di precedenti specifici nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Come questa Corte ha avuto recentemente occasione di affermare, infatti, “è da respingere l’idea che l’interprete non possa applicare la CEDU, se non con riferimento ai casi che siano già stati oggetto di puntuali pronunce da parte della Corte di Strasburgo” (sentenza n. 68 del 2017).

L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione “punitiva” è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali.

Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento.

E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo “vaglio positivo di ragionevolezza”, al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale».

4. Pur potendosi tenere in disparte, ai fini della presente trattazione, la questione della natura punitiva para-penale della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente nel caso di condanna per omicidio o lesioni stradali, è il caso di sottolineare che essa può essere applicata soltanto dal giudice penale in sede di cognizione (Sez. 1, n. 43208 del 16/10/2012, Scialpi, Rv. 253792 ha escluso che rientri nelle attribuzioni del giudice dell’esecuzione l’applicazione di sanzioni amministrative accessorie, giacché non equiparabili alle pene accessorie; in precedenza: Sez. 1, n. 43003 del 07/11/2007, Leone, Rv. 238123) e soltanto in occasione dell’accertamento di responsabilità penale per la condotta di reato attribuita all’imputato.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, non dubita che la revoca della patente di guida, come pure la sospensione di essa, sia una sanzione amministrativa accessoria che, in alcuni casi (art. 222 cod. strada), può (deve) essere applicata dal giudice penale, anche in caso di patteggiamento (Sez. U, n. 8488 del 27/05/1998, Bosio, Rv. 210982), e che non si assomma a quella provvisoriamente applicata dall’autorità amministrativa per lo stesso fatto.

Si è, infatti, precisato che, anche in caso di patteggiamento, «la differenza di finalità e presupposti tra il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente di guida e la sanzione accessoria della sospensione della patente applicata dal giudice penale, all’esito dell’accertamento di violazione del codice stradale, rende impossibile computare il periodo di sospensione provvisoria nella determinazione della durata della sanzione amministrativa definitivamente applicabile dal giudice.

Tuttavia, ciò non comporta che i due periodi di sospensione siano cumulabili, giacché essi sono, invece, complementari.

Ed invero, la sospensione provvisoria disposta dal prefetto e quella definitiva disposta dal giudice incidono sull’autore della violazione per il medesimo fatto, per il quale il codice della strada prevede, come sanzione amministrativa accessoria, una sola sospensione della patente di guida per un periodo che va da un minimo a un massimo, anche se l’applicazione, prima di essere definitiva, può essere provvisoria e anche se all’applicazione provvisoria e a quella definitiva procedono distinte autorità.

Ne consegue che è il prefetto, organo di esecuzione della sanzione amministrativa accessoria, a dover provvedere alla detrazione, obbligatoria, del periodo di sospensione eventualmente presofferto, e senza che vi sia bisogno di esplicita dichiarazione al riguardo da parte dell’autorità giudiziaria procedente» (Sez. U, n. 20 del 21/06/2000, Cerboni, Rv. 217020).

Del resto, a conferma dell’autonomia dell’istituto sanzionatorio amministrativo milita anche la giurisprudenza civile; si è precisato che «la revoca della patente, comminata dal giudice penale a norma dell’art. 222, comma 2, d.lgs. n. 285 del 1992 costituisce una sanzione amministrativa accessoria a una sanzione penale – nella specie per guida in stato di ebbrezza – e concretamente applicata, a norma dell’art. 224, comma 2, d.lgs. n. 285 del 1992, dall’autorità amministrativa entro 15 giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabili.

Ne consegue che il provvedimento di “revoca” della patente non viene materialmente in esistenza prima che il giudice penale lo pronunci (altro essendo, per natura, finalità ed effetti diversi, il provvedimento prefettizio, cautelare, di “sospensione provvisoria” della patente) e il suo procedimento di applicazione da parte della competente autorità amministrativa non può iniziare prima che la sentenza penale sia passata in giudicato» (Sez. 2, n. 13508 del 20/05/2019 Rv. 654046).

5. Tanto premesso, è possibile esaminare la questione della intangibilità del giudicato per i casi in cui una sentenza di condanna sia stata pronunciata in applicazione di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima.

5.1. L’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953 prevede una deroga all’intangibilità del giudicato, stabilendo il principio della retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale oltre il limite dei rapporti esauriti nel solo ambito penale, in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona.

Sulla base di queste ragioni, la Corte di cassazione ha adottato una interpretazione ampia dell’art. 30, quarto comma, qui in discussione, chiarendo che esso riguarda le ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale tanto delle norme incriminatrici – che determinano una vera e propria aboliti° criminis – quanto delle norme penali che incidono sul quantum del trattamento sanzionatorio.

Ponendo fine a un contrasto interpretativo sul punto, a partire da alcune sentenze pronunciate a Sezioni unite nel 2014 (sentenza 24 ottobre 2013, n. 18821; sentenza 29 maggio 2014, n. 42858), la Corte di cassazione ha ritenuto che la ratio dell’art. 30, quarto comma, sia quella di impedire che venga ingiustamente sofferta una sanzione penale che, per quanto inflitta con sentenza irrevocabile, sia basata su una norma successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima: ciò in virtù del principio per cui la conformità della pena alla legge deve essere costantemente garantita, dal momento della sua irrogazione fino al termine della sua esecuzione.

5.2. Come giustamente evidenziato dal Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte, la Corte costituzionale (sentenza n. 43 del 107) ha specificamente esaminato, con ampia disamina della giurisprudenza della Corte CEDU, il tema della retroattività con riguardo alle sanzioni amministrative, chiarendo, sotto l’angolo visuale dell’art. 117, primo comma, Cost., che «nella giurisprudenza della Corte europea non si rinviene, allo stato, alcuna affermazione che esplicitamente o implicitamente possa avvalorare l’interpretazione dell’art. 7 della CEDU nel significato elaborato dal giudice rimettente, tale da esigere che gli Stati aderenti sacrifichino il principio dell’intangibilità del giudicato nel caso di sanzioni amministrative inflitte sulla base di norme successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime».

Il giudice delle leggi ha anche precisato, sotto l’angolo visuale degli artt. 25, secondo comma, e 3 Cost., che la pretesa di estendere la portata applicativa della disposizione dell’art. 30, quarto comma, I. n. 87 del 1953 «anche alle ipotesi di sanzioni che, seppur qualificate come amministrative dal diritto interno, assumono natura convenzionalmente penale, poggia su un erroneo presupposto: ossia, che le garanzie previste dal diritto interno per la pena – tra le quali lo stesso art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953 nell’interpretazione consolidatasi nel diritto vivente – debbano valere anche per le sanzioni amministrative, qualora esse siano qualificabili come sostanzialmente penali ai (soli) fini dell’ordinamento convenzionale», in quanto «l’ordinamento nazionale può apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle convenzionali, riservandole alle sole sanzioni penali, così come qualificate dall’ordinamento interno», traendo la conclusione che «in tale contesto di coesistenza, e non di assimilazione, tra le garanzie interne e quelle convenzionali, si pone dunque la peculiare tutela di cui all’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, e la sua applicazione alle sole ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di norme penali, e non anche di norme amministrative».

Il giudice delle leggi ha, poi ricordato che «la portata dell’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, è stata estesa dalla consolidata giurisprudenza di legittimità includendovi anche le norme penali sanzionatorie, in un sistema normativo che prevede una fase esecutiva della sanzione, non ancora esaurita al momento della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale.

In un tale contesto, garante della legalità della pena è il giudice dell’esecuzione, cui compete di ricondurre la pena inflitta a legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 maggio 2014, n. 42858)», sicché risulterebbe evidente la differenza rispetto alle sanzioni amministrative «in cui sia la loro comminatoria sia la relativa fase esecutiva obbediscono a principi affatto differenti, in cui il giudice preposto è investito della sola cognizione del titolo esecutivo».

5.3. Alla luce di tali stringenti argomentazioni non può che escludersi la possibilità di intervenire, dopo il giudicato, a rideterminare la sanzione amministrativa accessoria applicata dal giudice penale, mancando l’essenziale natura penale di essa, da cui discende l’inoperatività dell’art. 30, quarto comma, I. n. 87 del 1953, dovendosi piuttosto applicare il terzo comma del medesimo articolo a mente del quale «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione», senza possibilità di intervenire sui rapporti esauriti quale è quello derivante dall’irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida che è stata eseguita in data anteriore alla pronuncia della sentenza n. 88 del 2019.

6. Il ricorso è, dunque, infondato.

6.1. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

Così deciso, in Roma, il giorno 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 16 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.