Ordinanza custodiale: se i fatti, anche se diversi, sono connessi fra loro vale la retrodatazione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 24 settembre 2020, n. 26607).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

Dott. BONI Monica – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MAZZAGLIA SALVATORE nato a NICOLOSI il 29/05/1957;

avverso l’ordinanza del 26/06/2020 del TRIB. LIBERTÀ di CATANIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

lette/sentite le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. GIUSEPPE LOCATELLI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 8 gennaio 2020 il G.i.p. del Tribunale di Catania rigettava la richiesta, avanzata dal locale Procuratore della Repubblica, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Mazzaglia.

A fondamento della decisione rilevava che l’indagato era stato sottoposto a fermo il 14 marzo 2018, cui era seguita l’applicazione di custodia cautelare, per il delitto di estorsione aggravata, e, sul presupposto della connessione qualificata tra tale addebito e quelli contestati nel presente procedimento ai capi 1) di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, 5) di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, 2) di estorsione aggravata, 3) di detenzione illegale di arma da sparo, 6), 7) ,8), 11), 12), 13), 18), 19), 20), 23), 24), 25), 26), 27), 28), 33), 35), 39), 40) 41), 43) e 46) di acquisto, detenzione e cessione di stupefacenti, commessi tra il 2017 ed il febbraio 2018, ravvisando un’ipotesi di contestazione a catena, stabiliva la decorrenza dei termini cautelari di fase dal 14 marzo 2018 e la loro scadenza con conseguente perdita di efficacia della misura eventualmente applicata.

2. Interposto appello da parte del Procuratore della Repubblica, con ordinanza in data 26 giugno 2020 il Tribunale di Catania, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., lo accoglieva e, per l’effetto, applicava al Mazzaglia la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti associativi sopra indicati ai capi 1), 5) ed ai reati fine.

Rilevava l’insussistenza del vincolo di connessione qualificata tra i predetti reati e quello di estorsione, oggetto delle due domande cautelari, per non avere l’indagato all’atto della commissione del primo già previsto quelli successivi, per i quali sarebbe stato arrestato molto tempo dopo e la non deducibilità degli elementi posti a fondamento della richiesta accolta dagli atti del procedimento nell’ambito del quale era stata emessa la precedente misura cautelare, non essendo alla data del 14 marzo 2018 ancora esistente e depositata alla segreteria della Procura l’informativa di reato che forniva supporto probatorio, cosa che si sarebbe verificata soltanto il 10 aprile 2019.

Sul piano della gravità indiziaria, il Tribunale rilevava che, in base alle risultanze dei servizi di intercettazione, telefoniche ed ambientali, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Presti, Bonanno e Navarria, dell’arresto in flagranza dei coindagati, dei sequestri di sostanza stupefacente e dai servizi di osservazione, era emersa l’appartenenza del Mazzaglia al clan mafioso Santapaola, articolazione di Mascalucia, e di responsabile del gruppo di Nicolosi, preposto al settore delle estorsioni ed al traffico di droga, assunto confermato dai dati conseguiti dalle intercettazioni.

In ordine alle esigenze cautelari, ravvisava il pericolo di reiterazione per effetto della duplice presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. nonché per il giudizio negativo sulla personalità dell’indagato e per le modalità di commissione degli illeciti, oltre che per il dimostrato possesso di armi da fuoco.

3. Avverso l’indicato provvedimento ha proposto ricorso il Mazzaglia a mezzo del difensore, avv.to Salvatore Leotta, il quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione.

Secondo la difesa, il Tribunale in modo illegittimo ed in evidente contraddizione con i principi di diritto enunciati, ha rilevato che, quando era stata emessa la prima ordinanza custodiale del marzo 2018 per i fatti estorsivi in danno delle farmacie Pappalardo, non esisteva collegamento con gli altri reati accertati nel presente e separato procedimento, sebbene fosse stata contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 1-bis, cod. pen. nella duplice forma dell’utilizzo del metodo mafioso e per agevolare organizzazione di stampo mafioso e non era stata ancora depositata l’informativa di reato sui quali elementi era stata elevata l’accusa successiva, alla base della seconda domanda cautelare.

Al contrario, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la desumibilità degli elementi probatori dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare consiste nella conoscenza fornita da un determinato compendio documentale o dichiarativo, che consenta al pubblico ministero di esprimere un apprezzamento prognostico sulla concludenza e gravità degli indizi in funzione della richiesta di applicazione di misura cautelare, sicché è rilevante, non il momento di ricezione dell’informativa, ma a quello di effettiva conoscenza degli elementi in essa rappresentati.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati e non correlati con il percorso giustificativo che sorregge l’ordinanza impugnata.

1. Va premesso che l’impugnazione all’odierno esame incentra le contestazioni difensive esclusivamente sul punto che riguarda l’esclusione del meccanismo della contestazione a catena, disciplinato dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen..

A giustificazione del dissenso espresso rispetto al giudizio del primo giudice, articolatosi nel riconoscimento della evidente connessione tra tutti i reati ascritti al Mazzaglia e dell’acquisizione degli elementi integranti il quadro indiziario in data antecedente il decreto di giudizio immediato del 9 maggio 2018, il Tribunale ha indicato il duplice rilievo della insussistenza del vincolo di connessione per continuazione tra gli illeciti separatamente contestati e della non deducibilità degli elementi indiziari dai quali trae fondamento la presente domanda cautelare dagli atti del procedimento precedente.

Quanto al primo aspetto della complessa vicenda il Tribunale ha apprezzato negativamente “la mancanza persino di una cornice associativa mafiosa cui ascrivere i fatti in esame” per l’omessa contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 1.bis, non descritta nemmeno in fatto; in ordine al secondo profilo, ha osservato che la domanda di applicazione della custodia cautelare per i reati ascritti al Mazzaglia nel presente procedimento traeva i presupposti giustificativi dai dati investigativi rappresentati al pubblico ministero soltanto con l’informativa depositata il 10 aprile 2019, quindi oltre un anno dopo la prima ordinanza.

2. In punto di fatto va premesso che il ricorrente risulta essere stato sottoposto a custodia cautelare in carcere: -con una prima ordinanza, eseguita in data 14/03/2018, nell’ambito del procedimento sub nr. 11679/18 R.G.N.R. per fatti di estorsione pluriaggravata in concorso, commessi sino al dicembre 2017, per i quali ha riportato condanna con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Catania del 7 maggio 2019, non irrevocabile; -con il provvedimento oggetto del ricorso in esame nel procedimento distinto nr. 15080/16 R.G.N.R., riguardante fatti di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, violazione della disciplina sulle armi, estorsione e numerosi episodi di detenzione e cessione di stupefacenti, commessi tra il 2017 ed il febbraio 2018.

2.1 S’impone come preliminare ed assorbente il rilievo della corretta e ben motivata negazione da parte del Tribunale del vincolo di connessione qualificata tra i reati per i quali il Mazzaglia è stato sottoposto alle due misure custodiali; sul punto, l’ordinanza ha richiamato pacifici principi interpretativi, propri della giurisprudenza di questa Corte, per i quali in tema di misure cautelari, la continuazione tra reato associativo e reati-fine, pur ipotizzabile in astratto, e rilevante anche ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen. ai fini della retrodatazione del “dies a quo” della custodia cautelare, si configura solo quando i reati fine sono stati già programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso (sez. 1, n. 1534 del 9/11/2017, Giglia, rv. 271984; sez. 1, n. 40318 del 4/07/2013, Corigliano, rv. 257253; Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005 – dep. 06/12/2005, Traina, rv. 232797).

Ne restando esclusi, invece, i reati che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non siano stati programmati “Ab origine” o, a fortiori, non fossero neanche programmabili, perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (ex multis: sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Amato, rv. 259481).

L’opposta tesi, cui ha aderito il primo giudice, finirebbe per sancire un’applicazione automatica e generalizzata della continuazione in riferimento tutti i reati commessi in ambito associativo, pur in assenza degli specifici requisiti pretesi del sistema penale.

2.2 Al riguardo il ricorso non ha mosso specifiche contestazioni, essendosi limitato a dedurre l’avvenuta contestazione nel primo procedimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 1-bis, cod. pen. in entrambe le due forme possibili, evenienza che di per sé non assolve all’onere dimostrativo circa la già avvenuta programmazione dell’attività estorsiva, perpetrata in danno delle farmacie Pappalardo, sin dal momento di adesione del Mazzaglia ai sodalizi mafioso e dedito al narcotraffico nei termini pretesi dalla richiamata costante linea interpretativa.

2.3 II Tribunale ha ritenuto che la scelta del pubblico ministero di richiedere distinto provvedimento applicativo della custodia in carcere nell’ambito del distinto procedimento sub n. 15080/2016 R.G.N.R. sia esente da profili di arbitrarietà e strumentalità a determinare un’indebita protrazione della durata della misura coercitiva, in quanto la notizia di tali nuovi illeciti era stata conseguita tramite l’informativa del 10/4/2019, che aveva compendiato gli esiti dell’attività investigativa condotta dalla polizia giudiziaria a ciò delegata ed era successiva sia alla prima ordinanza, sia al decreto che aveva disposto procedersi a giudizio immediato nel procedimento sub n. 11679/18 R.G.N.R..

Le superiori considerazioni sono contrastate con rilievi critici, che risultano affetti da generica formulazione, privi di adeguato sviluppo esplicativo e non aderenti ai dati offerti dagli atti processuali.

La difesa, invero, richiama correttamente il principio per il quale la desumibilità dei dati indiziari, integranti i presupposti applicativi della successiva misura custodiale, dagli atti ,del primo procedimento è riconoscibile, non in base al dato meramente formale del momento del deposito dell’informativa di polizia, che ragguagli il pubblico ministero sui risultati investigativi raggiunti, ma quando si realizzi l’effettiva e concreta conoscenza che consenta di formulare la domanda cautelare.

E’ questo un principio che il Collegio condivide e non pone in discussione perché ispirato dalla finalità di rendere operativa la garanzia a tutela dell’indagato di non essere esposto alla sottoposizione ad una pluralità sequenziale di misure cautelari, mirata a prolungare in modo surrettizio di termini massimi di durata stabiliti per legge.

Tuttavia, in ricorso non è stato allegato e nemmeno dimostrato che il pubblico ministero nel caso specifico già prima del momento dell’esercizio dell’azione penale nel primo procedimento fosse già stato messo a conoscenza dei dati investigativi sufficienti ad elevare la successiva accusa ed a richiedere la seconda misura custodiale.

Il Tribunale ha negato la desumibilità, evidenziando come anche nella fase dell’appello dallo stesso definita la difesa non avesse offerto elementi per ravvisare nell’informativa del 10/04/2019 la mera riproposizione di contenuti già rappresentati in atti antecedenti e quindi a conoscenza dell’ufficio della Procura distrettuale antimafia di Catania; siffatta considerazione non riceve confutazione nell’impugnazione, che è priva di un confronto critico puntuale con la decisione avversata.

Al contrario, nelle note difensive depositate al Tribunale per l’udienza del 24 giugno 2020 la difesa ha illustrato tra gli elementi probatori che dovrebbero appartenere alla piattaforma indiziaria comune ‘ad entrambi i procedimenti il contenuto dichiarativo delle propalazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Bonanno, indicando però gli interrogatori da costui resi nelle date del 19 e del 28 settembre 2018, nonché del 29 luglio 2019, ossia in momenti ampiamente successivi al decreto di giudizio immediato del 9 maggio 2018, emesso a carico del ricorrente nel procedimento sub n. 11679/2018 R.G.N.R..

3. Deve richiamarsi l’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale in riferimento all’istituto, di cui si è invocata l’applicazione. Un primo determinante contributo esegetico è stato fornito dalle Sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 21957 del 22/3/2005, PM in proc. Rahulia, rv. 231059, che, risolvendo un precedente contrasto fra le sezioni semplici, ha stabilito alcuni principi fondamentali per la soluzione della problematica.

Si è dunque affermato che l’applicazione della retrodatazione deve operare nelle seguenti situazioni:

1) emissione di più ordinanze cautelari nell’ambito dello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, oppure per fatti diversi, ma tra loro connessi, in cui la retrodatazione della decorrenza della seconda misura opera in via automatica dall’inizio della prima a prescindere dalla possibilità di desumerne gli elementi giustificativi dagli atti posti a fondamento del primo provvedimento, caso previsto dall’art. 297, cod. proc. pen, comma 3 prima parte;

2) emissione di ordinanze in procedimenti diversi, per i quali la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare, secondo quanto stabilito dall’art. 297, cod. proc. pen., comma 3 seconda parte;

3) emissione di ordinanze cautelari nello stesso procedimento per fatti diversi non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione sussiste solo se all’atto della prima ordinanza esistevano elementi che giustificavano la misura adottata con il secondo provvedimento, caso non disciplinato dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen..

4. Con la sentenza n. 408 del 2005 è intervenuta la Corte Costituzionale a dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma in esame nella parte in cui non prevede la retrodatazione nei casi di ordinanze cautelari emesse per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano i presupposti per l’adozione delle misure stabilite con la seconda, parificando, a garanzia dei diritti di libertà dell’indagato, quanto a disciplina positiva tutti i casi nei quali una pluralità di provvedimenti coercitivi per scelta dell’autori giudiziaria siano stati adottati in tempi diversi, con differente decorrenza e protrazione della loro durata, pur sussistendo la possibilità concreta e giuridica di essere emessi nel medesimo contesto temporale. Per quanto già esposto, tali principi hanno ricevuto corretta applicazione nel provvedimento in verifica.

5. Va soltanto aggiunto un ulteriore argomento che avvalora la soluzione adottata dai giudici dell’appello cautelare. Si è affermato da parte di questa Corte che in tema di c.d. “contestazioni a catena”, la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva e tale condizione non ricorre nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione a delinquere con formula “aperta”, indicativa della permanente consumazione del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni, rv. 279222; sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018, Bencivenga, rv. 274511; sez. 6, n. 15821 del 03/04/2014, De Simone, rv. 259771).

Il caso in esame presenta caratteristiche tali da rientrare nell’ambito di operatività del superiore principio: al Mazzaglia nel procedimento cd. Overtrade è contestata anche l’appartenenza al sodalizio mafioso con condotta consumata in permanenza dal 2014 alla data della domanda cautelare, che comunque supera il momento dell’esercizio dell’azione penale per i fatti estorsivi del processo n. 11697/2018 R.G.N.R., il che, quanto meno per l’addebito di cui all’art. 416-bis cod. pen., esclude in ogni caso la possibile retrodatazione della decorrenza della misura custodiale applicata dal Tribunale di Catania.

6. Per le considerazioni svolte, il ricorso, palesemente privo di fondamento e generico nei suoi assunti, va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo liquidare in euro 3.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es. cod. proc. pen. .

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.