REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) DOMENICO nato a MATERA il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 26/01/2018 della CORTE APPELLO di POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Ferdinando LIGNOLA, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste;
udito, per la parte civile, l’Avv. Federica (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. Michele (OMISSIS), che ha depositato conclusioni e nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata in data 26/01/2018 (con l’indicazione in dispositivo, ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen., del termine di novanta giorni per il deposito della motivazione, deposito intervenuto il 20/04/2018), la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del 15/07/2015 con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato Domenico (OMISSIS) responsabile del reato di violenza privata (perché si rifiutava di rimuovere l’auto parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche a Pasquale (OMISSIS), così impedendo a quest’ultimo di accedervi e di prelevare gli attrezzi di sua proprietà ivi depositati), condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione – datato 12/06/2018 e depositato in pari data presso il Tribunale di Matera – Domenico (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. Giuseppe (OMISSIS), articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità della dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imputato alla polizia giudiziaria.
Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale, in quanto il rifiuto addebitabile all’imputato non è equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato, laddove i benefici invocati sono stati negati sulla base di mere asserzioni del giudice di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per plurime, convergenti ragioni.
2. Le doglianze articolate con il ricorso sono inammissibili.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416): il ricorrente si è sottratto a tale onere, tanto più che la sentenza impugnata, nel dar conto della conferma del giudizio di colpevolezza, ha richiamato non solo la testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria, ma anche la deposizione dibattimentale della persona offesa.
2.2. Del pari inammissibile è il secondo motivo.
Quanto alla sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 610 cod. pen., del tutto consolidato è l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità in forza del quale integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013 – dep. 2014, Iovino, Rv. 259052; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011 – dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017 – dep. 2018, Andriulo, Rv. 272322; Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017, Ciartano, Rv. 271267; Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, Rv. 270869).
Pertanto, la censura articolata al riguardo dal ricorrente è manifestamente infondata.
Del tutto generiche sono le ulteriori doglianze, sostanzialmente carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
3. E’ assorbente, peraltro, il rilievo della tardività del ricorso.
Invero, la sentenza della Corte di appello di Potenza, come si è visto, è stata deliberata il 26/01/2018, con l’indicazione in dispositivo, ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen., del termine di novanta giorni per il deposito della motivazione, termine che cadeva il 26/04/2018 (giovedì), laddove il deposito è intervenuto tempestivamente il 20/04/2018.
Il termine per la presentazione del ricorso (45 giorni dal 26/04/2018) è scaduto in data 10/06/2018, domenica, con conseguente proroga ex lege al 11/06/2018, ma il ricorso è stato presentato il 12/06/2018.
4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che, alla luce della nota spese depositata, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in euro 2000 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019.