Pensioni Militari, ricalcolo dell’art. 54: le Sezioni Unite della Corte dei Conti mette la parola fine (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, Sentenza 4 gennaio 2021, n. 1).

R E P U B B L I C A     I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE

composta dai signori magistrati:

Dott. Mauro OREFICE – Presidente –

Dott. Giuseppe COLAVECCHIO – Consigliere –

Dott. Giovanni COMITE – Consigliere –

Dott. Antonio DI STAZIO – Consigliere –

Dott. Maria Cristina RAZZANO – Consigliere –

Dott. Paolo GARGIULO – Consigliere –

Dott. Erika GUERRI – Primo referendario –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi:

– 710/SR/QM/PRES per questione di massima deferita dal Presidente della Corte dei  conti  con  ordinanza  n.  12  del  12 ottobre 2020, sulla corretta ed uniforme interpretazione dell’art. 54, comma 1, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092;

– 711/SR/QM/SEZ per questione di massima sollevata dalla Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza n. 26 del 14 ottobre 2020 avente ad oggetto:

a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973, spetti o meno al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva “ della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile;

b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità, se la medesima aliquota del 44% sia applicabile anche per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un anzianità utile inferiore a 15 anni” pronunciata in relazione all’appello in materia di pensioni iscritto al n. 54663 del ruolo generale, proposto dall’INPS contro Carmelo DE STEFANO, nato a Reggio Calabria il 15 ottobre 1963, avverso e per la riforma della sentenza n. 73/2018 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, pubblicata in data 10 maggio 2018.

– 712/SR/QM/SEZ per questione di massima sollevata dalla Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza n. 27 del 14 ottobre 2020 avente ad oggetto “se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973, spetti o meno al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva “ della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile” e pronunciata in relazione all’appello in materia di pensioni iscritto al n. 54665 del ruolo generale, proposto dall’INPS contro Leonardo MINNITI, nato a Melito di Porto Salvo (RC) il 7 luglio 1962, avverso e per la riforma della sentenza n. 79/2018 resa dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria,  pubblicata  in  data  10 maggio 2018.

UDITI

nella    udienza    in    videoconferenza    svolta    a    porte    chiuse    il 25 novembre 2020, il Giudice relatore, Presidente Dott. Mauro OREFICE, con l’assistenza del segretario d’udienza Rita D’Innocenzo;

gli avvocati Antonella PATTERI e Sergio PREDEN per l’INPS;

l’avv. Anna AVERSA per Gioacchino Fucarino;

gli avv. Claudio PARISI e Guido CHESSA per Stefano Palazzo;

l’avv. Santo DELFINO per Carmelo DI STEFANO e, per la Procura generale, il Vice Procuratore generale Anton Giulio MARTINA.

Esaminati gli atti e i documenti di causa.

FATTO

1. Il presente giudizio trae derivazione da tre distinti atti evidenziati in epigrafe, tutti relativi alla interpretazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092.

2. In particolare, l’ordinanza presidenziale n. 12/2020, nel prendere atto delle sentenze n. 40/A/2020 del 3 agosto 2020 e n. 43/A/2020 del 17 settembre 2020, con le quali la Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, definendo i giudizi relativi all’applicazione dell’art. 54, comma 1 del d.P.R. n. 1092/1973, in accoglimento del gravame formulato dall’INPS, ha annullato, rispettivamente, le sentenze n. 730/ 2019 e 731/2019, emesse dal giudice monocratico territoriale, rileva come il Giudice di seconde cure, con le dette decisioni, non abbia condiviso l’interpretazione della Sezione di primo grado che, in ossequio a un orientamento giurisprudenziale maggioritario delle Corti regionali, osservato uniformemente dalle Sezioni centrali d’Appello ha sostenuto che “nei casi d’anzianità utile ricompresa, alla data del 31.12.1995, tra i 15 ed i 20 anni, l’aliquota per il calcolo della quota retributiva delle pensioni, da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n. 335/1995, in favore di tutti i militari (anche se cessati dal servizio in epoca successiva e con anzianità complessive ben maggiori di venti anni), andrebbe individuata necessariamente in quella fissa del 44%, indicata nell’art. 54, 1° comma, del d.P.R. n.1092/1973″.

Rilevando la presenza a ruolo della Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana di ulteriori giudizi proposti dall’INPS avverso altrettante sentenze della Corte regionale di primo grado e aventi ad oggetto l’interpretazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, l’ordinanza presidenziale, atteso il contrasto orizzontale creato con le Sezioni centrali d’Appello, disponeva la proposizione di questione di massima, anche in ragione della particolare rilevanza rivestita, volta alla “corretta ed uniforme interpretazione dell’art. 54, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973”.

3. La Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza n. 26 del 14 ottobre 2020, a sua volta traeva spunto dalle doglianze dell’INPS relative alla epigrafata sentenza con la quale la Sezione giurisdizionale calabrese di questa Corte ha riconosciuto il diritto del sig. Carmelo De Stefano, ex sottufficiale della Guardia di finanza in congedo, alla riliquidazione della propria pensione con l’applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092/73, per la parte dell’assegno calcolata con sistema retributivo, con conseguente condanna dell’Istituto al pagamento delle maggiori somme a tale titolo dovutegli. A motivo di gravame l’appellante  aveva dedotto  la violazione  e falsa  applicazione  della cennata norma di legge, avendo il giudice territoriale ritenuto applicabile la più favorevole aliquota del 44% ivi stabilita, nonostante il predetto pensionato risultasse collocato in quiescenza dopo 38 anni di servizio -dunque, ben oltre i 20 anni di attività lavorativa dalla stessa previsti e, comunque, non avesse, alla data del 31.12.1995, almeno 15 anni di servizio utile a tali fini (14 anni e sei mesi).

Nella consapevolezza del fatto che la questione per cui è causa è stata più volte affrontata dalle Sezioni Centrali d’Appello di questa Corte, le quali hanno ritenuto che il beneficio pensionistico di cui all’invocato art. 54, cit. si applichi anche all’ipotesi oggetto della cennata controversia (e ciò sebbene in primo grado gli orientamenti permangano contrastanti presso talune Sezioni), la Sezione remittente, ha peraltro rilevato il contrario orientamento della Sezione d’appello siciliana della Corte (cfr. sent. nn. 40 e 43 del 2020 citate), il quale giudice ha ritenuto che la corretta esegesi del quadro normativo operante in subiecta materia deporrebbe nel senso di limitare il beneficio che ne occupa – riconoscendone funzione essenzialmente perequativa – ai soli militari costretti a lasciare il servizio, per cause non dipendenti dalla loro volontà (inabilità fisica non dovuta a causa di servizio, raggiungimento dei limiti d’età ecc.), con un’anzianità inferiore a quella ordinariamente prevista, e quindi collocati in pensione con anzianità utili tra i 15 anni ed i 20 anni, dovendosi pertanto escludere qualsivoglia estensione ai militari che siano, invece, cessati dal servizio con un’anzianità superiore ai venti anni; e ciò anche se, sopravvenuta la normativa di cui alla L. n. 335/1995, questi ultimi siano divenuti destinatari del “sistema misto retributivo- contributivo”, in cui la prima quota di pensione, rapportata alle anzianità utili acquisite anteriormente al 31.12.1995, va calcolata in conformità alle previgenti norme del “sistema retributivo”

Rilevava inoltre la Prima sezione centrale che risulta tuttora dibattuta presso la medesima Sezione, la diversa e più particolare questione, che qui pure viene in rilievo, unitamente alla precedente, concernente l’applicabilità del beneficio de quo per la quota retributiva finanche a coloro che, alla data del 31.12.1995, abbiano maturato un’anzianità di servizio inferiore a 15 anni.

Da quanto precede, la Sezione prima giurisdizionale centrale d’Appello ha ritenuto di sollevare, ai sensi degli artt. 11, comma 3, e 114, primo comma, c.g.c., questione di massima chiedendo a queste Sezioni Riunite di stabilire:

a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti o meno al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31.12.1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile.

b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni di anzianità, se la medesima aliquota del 44% sia applicabile anche per la “quota retributiva” della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31.12.1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a quindici.

4. Con successiva ordinanza 27/2020, la Sezione prima centrale di appello, seguendo lo stesso iter logico- argomentativo, riproponeva, con riferimento ad altro contenzioso pensionistico, questione di massima con riferimento al primo dei quesiti formulati con la precedente ordinanza n. 26/2020, e cioè “se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti o meno al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31.12.1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile”.

5. La Procura generale ha depositato in data 12 novembre 2020 distinte ma sostanzialmente sovrapponibili memorie per i tre giudizi di cui è causa.

Nell’esaminare la giurisprudenza delle Sezioni di appello centrali la Procura generale osserva innanzitutto che la soluzione favorevole al quesito muoverebbe, secondo i Giudici di appello, dal tenore letterale della disposizione di cui all’art. 54, primo comma, D.P.R. 1092/1973 (“la pensione spettante….”) in connessione con il successivo secondo comma, a termini del quale “La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”, che non potrebbe che riferirsi a chi sia collocato in pensione con una anzianità superiore ai venti anni.

Sennonché, pur rilevando che dalla lettera del primo comma (ed in particolare dall’espressione “non più di venti anni”) potrebbero trarsi argomenti in senso diametralmente opposto, la Procura sottolinea che occorre osservare come l’interpretazione letterale assume un rilievo non solo non dirimente ma tutto sommato marginale, atteso che, nella specie, non si fa questione dell’applicazione della disposizione in un regime pensionistico in toto retributivo, con riferimento al quale le norme sono state concepite, ma, per effetto delle sopravvenute riforme del sistema pensionistico, alla sola quota retributiva di una pensione mista, ciò che evidentemente priverebbe di rilievo anche l’argomento esegetico tratto dal secondo comma dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.

Al contrario il Requirente afferma che utile appare il ricorso all’interpretazione logico – sistematica, ricordando che le conclusioni cui è pervenuta la Sezione d’appello per la Regione siciliana muovono dalla lettura del combinato disposto di cui agli artt. 52 e 54, primo comma, del D.P.R. 1092/1973.

Secondo tale approccio non potrebbe revocarsi in dubbio, sempre secondo la Procura generale, che la disposizione di cui all’art. 54, primo comma, D.P.R. 1092/1973 – nel prevedere che al militare che abbia “maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile” spetti una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile e, pertanto, una pensione liquidata considerando come se avesse compiuto venti anni di servizio effettivo – si sia limitata, come è dato evincere anche dalla lettura combinata con il precedente art. 52, a riprodurre e trasporre nel testo unico le suddette precedenti previsioni, specificatamente riferite ai militari che fossero cessati dal servizio per raggiungimento del limite di età o per inabilità fisica non dipendente da causa di servizio e che non avessero maturato venti anni di servizio. Sicché, trattandosi di disposizione di favore, in quanto derogatoria al principio, desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 8 e 40 del d.P.R. 1092/1973, per cui la pensione deve essere commisurata, in via di principio, alla durata del servizio maturato, è evidente, secondo il Requirente, come la stessa non possa essere applicata al di fuori dell’ipotesi cui deve intendersi specificatamente riferita, ed in particolare non possa trovare applicazione per la determinazione della quota retributiva di cui all’art. 1, comma 12, lett. a) L. 335/1995, del militare cessato dal servizio con oltre venti anni di servizio.

E’ evidente, peraltro – conclude la Procura generale – che le ragioni di specialità della disposizione di cui all’art. 54, primo comma, D.P.R. 1092/1973, se valgono ad escludere che la stessa possa essere invocata, come innanzi esposto, ai fini della determinazione della quota di pensione retributiva ex art. 1, dodicesimo comma, 335/1995, dai militari cessati dal servizio con oltre venti anni di servizio che, alla data del 31.12.1995, avessero maturato un’anzianità di servizio superiore a quindici anni (ancorché, ovviamente, inferiore ai diciotto anni di servizio), a fortiori, escludono che la stessa possa essere invocata dai militari che, alla suddetta data, non avessero maturato nemmeno quindici anni di servizio.

Pertanto e conclusivamente il Requirente reputa che alla questione di massima di cui sub a) debba darsi soluzione nel senso che ai fini della determinazione della quota retributiva ex art. 1, dodicesimo comma, lett. a) 335/1995 della pensione spettante al personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni di ser- vizio che alla data del 31.12.1995 non abbia maturato diciotto anni di servizio, ove anche alla suddetta data abbia maturato quindici anni di servizio, non spetti il beneficio  previsto  dall’art. 54, comma 1, D.P.R. n. 1092 del 1973 e che, pertanto, la suddetta quota retributiva debba essere determinata applicando l’aliquota di rendimento annua del 2,20% per il numero di anni di servizio maturati alla suddetta data del 31.12.1995.

La soluzione negativa della questione di massima di cui alla lettera a) appare assorbente, secondo la Procura generale della questione di massima di cui alla lettera b) dell’ordinanza di remissione, prospettata per l’ipotesi che alla prima delle summenzionate questioni sia data soluzione positiva. Peraltro, nell’ipotesi che queste SS.RR. ritenessero  che alla  questione  di cui alla  lett. a)  possa darsi soluzione positiva, il Requirente sottolinea come alla questione sub b) debba, comunque, essere data soluzione negativa.

6. Anche l’INPS, con distinte ma sostanzialmente sovrapponibili memorie, si è costituito nei giudizi di cui è causa, chiedendo, conclusivamente, a queste Sezioni Riunite, di risolvere la sopra descritta questione di massima, quanto al capo a) affermando il principio di diritto per cui il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, p.r. 1092 del 1973 non spetta al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni; quanto al capo b) affermando il principio di diritto per cui l’aliquota del 44% di cui al ripetuto art. 54, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973 non è applicabile – né per intero, né frazionata per quindicesimi – nel calcolo della quota retributiva della pensione dei militari che, al 31 dicembre 1995, avevano maturato un’anzianità utile inferiore a 15 anni.

L’INPS giunge a tali conclusioni argomentando, in estrema sintesi, che “È ferma convinzione dell’Istituto che la predetta aliquota non possa essere applicata nel calcolo della quota retributiva della pensione spettante al militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile. Depone in tal senso, in primo luogo, il tenore letterale del ripetuto art. 54. Il primo comma di esso prevede che «La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo». Si tratta dunque, con tutta evidenza, di un’aliquota prevista a fronte della definitiva cessazione dal servizio nell’intervallo corrente fra i 15 ed i 20 anni. In sostanza il Legislatore ha inteso prevedere una sorta di trattamento minimo di pensione, riconoscendo ai militari cessati con la minima anzianità utile (cfr. art. 52, primo comma, che stabilisce in 15 anni di servizio utile, di cui almeno 12 di servizio effettivo, l’anzianità contributiva che fonda il diritto a pensione, salvo che per le ipotesi di cessazione a domanda, decadenza o perdita del grado, a fronte della quali il terzo comma dello stesso articolo stabilisce l’anzianità minima di 20 anni) la stessa aliquota di rendimento che avrebbero maturato a 20 anni. Il complessivo sistema delineato dall’art. 54 è chiarissimo: la scala di accrescimento, dal 1° al 15° anno è pari al 2,2% annuo (9° comma). Se il  pensionamento  avviene fra il  15° ed il  20° anno, al militare è comunque riconosciuto il rendimento pensionistico che avrebbe ottenuto al 20° anno (1° comma). Che il rendimento del 44% sia quello in astratto spettante al 20° anno emerge, con assoluta nettezza, dal fatto che la scala di accrescimento del 2,2% annuo produce un rendimento del 44% proprio al 20° anno (2,2 x 20 = 44)”.

Aggiunge ancora l’INPS, con riferimento al capo b) della questione di massima “Del resto l’applicazione dell’aliquota “intera” del 44% sulle quote retributive maturate a fronte di anzianità inferiori  ai 15 anni non solo si pone in palese contrasto con il tenore letterale della normativa di riferimento, nella parte in cui prevede che la pensione liquidata con l’aliquota del 44% spetti solamente al militare che abbia maturato «almeno quindici anni e non più di venti anni» di servizio, ma darebbe luogo a conseguenze palesemente irragionevoli. Ed invero a seguire tale tesi tutte le quote retributive delle pensioni dei militari, qualunque sia l’anzianità di servizio alla quale le stesse sono parametrate (da 1 a 18 anni), sarebbero liquidate sulla base della stessa identica aliquota di rendimento (44%)”.

7. Sono infine pervenute costituzioni di parte privata con il deposito di diverse note difensive.

7.1 In particolare, a valere sul giudizio 710/QM/Pres, nell’interesse del sig. Calogero Agliarolo,  si  sono  costituiti,  con  memoria  del  18 novembre 2020, gli avvocati Vincenza Balsano e Salvatore Ferrante, che, in base ad articolata argomentazione hanno conclusivamente chiesto di dichiarare che l’art. 54 debba essere “letteralmente così interpretato: Il suddetto articolo 54 prevede che la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. Al secondo comma si stabilisce inoltre che la percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80% per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo. Ciò che appare dirimente per stabilire l’applicazione della norma è il secondo comma dell’articolo 54. Infatti, stabilire che la percentuale del primo comma viene aumentata ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo, acquista significato soltanto ammettendo che la stessa si applichi anche a chi cessi dal servizio oltre il ventesimo anno, ed altresì che tale norma nel caso di specie deve applicarsi solo per il calcolo della quota retributiva della pensione”.

Per lo stesso giudizio, nell’interesse del sig. Gioacchino Fucarino si è costituita l’avv. Anna Aversa con memoria in data 11 novembre 2020. L’avv. Aversa ha concluso, richiamando le argomentazioni esposte, chiedendo che “la questione di massima n. 710/SR/QM/PRES. sia risolta per i militari, che alla data del 31.12.1995, vantano un’anzianità di servizio utile inferiore a 18 anni, per i quali la pensione viene liquidata in parte secondo il sistema retributivo e in parte con il sistema contributivo (cosiddetto sistema misto) per ciò che concerne la prima parte continua a trovare applicazione la disposizione di cui all’art 54 del D.P.R. 1092/73 e che venga, per l’effetto, applicata la percentuale pari al 44%”.

Con memoria del 12 novembre 2020 si sono inoltre costituiti gli avvocati Guido Chessa, Claudio Parisi e Claudio Buccoleri Mangiaracina nell’interesse del sig. Stefano Palazzo, concludendo, rispetto ai quesiti posti e richiamando le argomentazioni di cui alla memoria medesima, con richiesta di declaratoria nei seguenti sensi “1) nei casi di anzianità utile ricompresa, alla data del 31.12.1995, tra i 15 e 20 anni, l’aliquota per il calcolo della quota retributiva delle pensioni, da liquidarsi  con  il  sistema  misto,  ai  sensi  dell’art.  1  comma  12  della 335/1995, in favore di tutti i militari (anche se cessati dal servizio in epoca successiva e con anzianità complessive ben maggiori di venti anni), vada individuata in quella fissa del 44%, indicata nell’art.54 comma 1° del DPR 1092/1973; 2)per conseguenza, nei casi di anzianità utile inferiore ai 15 anni di servizio alla data del 31.12.1995, l’aliquota da applicarsi annualmente in favore di tutti i militari, è identificabile nella percentuale del 2,93% in quanto rispondente alla ratio legis della riforma introdotta con la Legge 335/1995”.

I medesimi difensori, a conforto delle predette argomentazioni, hanno poi depositato una memoria di replica in data 20 novembre 2020 in ordine alle conclusioni della Procura generale ed alla memoria difensiva presentata dall’INPS.

7.2 Relativamente al giudizio n. 711/SR/QM/SEZ, l’avvocato Santo Delfino, nell’interesse del sig. Carmelo De Stefano, ha depositato memoria di costituzione datata 5 novembre 2020 e note di discussione a verbale in data 16 novembre 2020. L’avv. Delfino, nel sottolineare che “ciò che non rileva la Procura generale, e sfugge parimenti alle considerazioni della Corte d’Appello siciliana, è il fatto che, con l’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995, che ha decretato la fine del sistema retributivo per coloro che non avevano maturato almeno 18 anni di servizio al 31 dicembre 1995 e che, con l’art. 1 comma 12, ha imposto per questi di determinare la “… quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data …”, sia sopravvenuta, di fatto, un’ulteriore norma costitutiva del diritto alla pensione retributiva del personale della pubblica amministrazione, a prescindere dalle anzianità minime previste dalla previgente normativa che li fissava al quindicesimo anno”, ha sostanzialmente e conclusivamente affermato che “risultano pacificamente applicabili le aliquote previste dall’articolo 54 primo comma al personale militare che, nel sistema misto, aveva maturato un’anzianità utile, al 31.12.1995, compresa tra i quindici ed i venti anni, ovverosia l’aliquota fissa del 44 %, venendo meno tutte le eccezioni sollevate dalla Procura generale e dalla Sezione d’Appello siciliana, poiché la peculiare posizione di detto personale non può essere ricondotta o assimilata alle precedenti fattispecie contemplate dal TU del 1973 né, tantomeno, a quelle previste dalle leggi sullo Stato giuridico.

Riguardo all’ulteriore questione sollevata, ovverosia la materia concernente il trattamento di quiescenza di quel personale che al 31.12.1995 contava meno id 15 anni di servizio e per il quale la legge 335 del 1995 ha voluto, comunque, si determinasse una quota di pensione retributiva, si rileva un vuoto normativo, mancando una disposizione all’interno dell’articolo 54 che ne indichi l’aliquota da applicare. Tuttavia, tenendo conto delle argomentazioni già versate in atti con la Memoria depositata in data 5.11.2020, non si può ragionevolmente dubitare che l’aliquota da prendere in considerazione debba essere ricavata dalla demoltiplicazione della prima aliquota nota in rapporto agli anni in cui questa viene in rilievo, ovverosia la percentuale ricavabile dalla frazione del 44% e i quindici anni in cui essa matura, di cui al primo comma dell’articolo 54, pari al 2,93 percento annuo”.

7.3 Infine, con riguardo al giudizio n. 712/SR/QM/SEZ, l’avvocato Santo Delfino, nell’interesse del sig. Leonardo Minniti, ha depositato memoria di costituzione datata 5 novembre 2020 e note di discussione a verbale in data 16 novembre 2020, ripercorrendo sostanzialmente le argomentazioni e le relative conclusioni di cui al punto precedente.

DIRITTO

1. Come evidenziato in epigrafe, il presente giudizio trae derivazione da tre distinte ordinanze, tutte relative alla interpretazione dell’art. 54 del P.R. n. 1092/1973 e per le trattazione delle quali, data la evidente connessione oggettiva, si dispone la relativa riunione dei giudizi.

2. In via preliminare ed in punto di ammissibilità, il Collegio osserva che la questione di massima di che trattasi è stata sollevata, ai sensi degli artt. 11, comma 3, 114, primo comma e 115, commi 1, 3 e 6 del Codice di giustizia contabile (allegato al d.lgs. 26 agosto 2016, n.174), distintamente con ordinanze del Presidente della Corte dei conti e dalla Prima Sezione giurisdizionale centrale di appello, nell’ambito dei giudizi riportati in fatto, che hanno tutti rilevato, tra l’altro, l’incontestabile sussistenza di un “conflitto orizzontale” tra giudici di seconde cure in merito alla problematica posta.

Il Collegio, quindi, prende atto della corretta proposizione ed incardinamento della questione e passa alla trattazione di merito.

3. La prima osservazione che il Collegio ritiene di dover preliminarmente svolgere riguarda la specificità dell’esame posto all’attenzione di queste Sezioni Riunite.

La difficoltà maggiore, infatti, nel definire i quesiti proposti risiede nell’esaminare un sistema giuridico in sé compiuto – quello del d.P.R. n. 1092 del 1973 – alla luce di una normativa sopravvenuta – quella della legge n. 335 del 1995 – che risponde a principi ispirati da una politica previdenziale che poggia su presupposti assai diversi rispetto al precedente regime.

Il d.P.R. n. 1092 del 1973 nasce con l’obbiettivo dichiarato di realizzare una riforma generale dei trattamenti di pensione, una riforma che ha apportato notevoli modificazioni al regime pensionistico statale vigente all’epoca per cui, in tema di maturazione del diritto alla pensione, va a distinguere tra le anzianità che sono necessarie per la maturazione appunto del diritto rispetto a quelle che invece determinano le modalità di liquidazione del trattamento di quiescenza.

Si tratta di un testo quindi dove le norme fanno sistema intorno al concetto esplicitato di “dipendente statale”, inteso per tale quello definito al comma 2 dell’art. 1 che comprende “gli impiegati civili e gli operai dello Stato nonché i magistrati ordinari, amministrativi e della giustizia militare, gli avvocati e i procuratori dello Stato, gli insegnanti delle scuole e degli istituti di istruzione statali e i militari delle Forze armate dei Corpi di polizia”.

La legge 335 del 1995, a sua volta e in estrema sintesi, ridefinisce il sistema previdenziale allo scopo di garantire la tutela prevista dall’articolo 38 della Costituzione, definendo i criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuzione, le condizioni di accesso alle prestazioni con affermazione del principio di flessibilità, l’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, l’agevolazione delle forme pensionistiche complementari allo scopo di consentire livelli aggiuntivi di copertura previdenziale, la stabilizzazione della spesa pensionistica nel rapporto con il prodotto interno lordo e lo sviluppo del sistema previdenziale medesimo.

La riforma, incidendo profondamente sul sistema pensionistico al tempo vigente, ha introdotto tre fasce o sistemi pensionistici per i dipendenti pubblici, secondo la seguente disciplina:

a) per i nuovi assunti dal 1996, il calcolo della futura pensione sarebbe stato effettuato interamente con il nuovo metodo “contributivo”;

b) per tutti i dipendenti statali che al 31.12.1995 avevano maturato 18 anni di anzianità, veniva mantenuto il sistema di calcolo interamente retributivo di cui al d.P.R. 1092/73;

c) per i dipendenti statali che invece, a tale data, avessero avuto meno di 18 anni, veniva previsto il cd “sistema “misto”, per effetto del quale le anzianità a partire dal 1996 e sino alla cessazione del servizio sarebbero state calcolate con metodo contributivo, mentre per le anzianità di servizio maturate sino al 1995, la pensione sarebbe stata calcolata con il previgente sistema retributivo di cui al d.P.R. 1092/1973.

Rimasta irrisolto a livello legislativo il problema legato alla lettura combinata dei due testi, la domanda che quindi il Collegio non può non porsi al fine di dirimere i quesiti posti è necessariamente legata alla misura in cui la legge successiva, nella sua diversità di principio connessa all’introduzione del sistema contributivo, abbia impattato sul regime precedente, nella impossibilità da una parte di poter scorgere una forma di abrogazione espressa di una norma sull’altra, non rinvenibile né espressamente né implicitamente nella legislazione de quibus, e nella necessità, dall’altra, di poter mantenere attraverso l’interpretazione, una forma di equilibrio costituzionalmente orientato.

4. Quali dunque le tesi in discussione?

4.1 La materia del contendere può essere sintetizzata nel seguente quesito: se la quota retributiva della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della n. 335/1995, in favore dei militari cessati dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantavano un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente con l’aliquota pari al 44% della base pensionabile di cui all’art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile.

Attualmente, vale la pena di ricordare, che diversi sono gli orientamenti che si stanno susseguendo nei giudizi innanzi a questa Corte.

Il primo interpreta la disposizione sopra richiamata nel senso che il militare che cessa il servizio con più di 20 anni di servizio utile abbia diritto ad una aliquota di rendimento del 2,33% per ogni anno di servizio sino al 15° e dell’1,8% dal 15° al 20°, esattamente come per il personale civile dello Stato (art. 44 d.P.R. 1092/1973).

La specificità di cui all’articolo 54 consisterebbe, rispetto al personale civile, nel fatto di attribuire l’aliquota del 44%, in via eccezionale, al personale che al momento dell’andata in pensione abbia maturato complessivamente una anzianità compresa tra 15 e 20 anni e sempre che la pensione risulti liquidata interamente con le regole di calcolo retributive, vigenti all’epoca dell’adozione del d.P.R. n. 1092/1973.

Secondo l’Inps si tratta prevalentemente dei congedi dovuti ad infermità a cui la disposizione richiamata, in funzione perequativa, consentiva l’aggancio di un trattamento più favorevole nei confronti di coloro che non avevano raggiunto i 20 anni di servizio e dunque il minimo del 44% di pensionabilità previsto dal citato decreto.

Il secondo orientamento interpreta tale norma nel senso di applicare l’aliquota maggiorata del 44% in corrispondenza dei 15 e 20 anni di servizio a prescindere dal servizio maturato al momento del congedo. In tal senso le anzianità inferiori al 15° anno sarebbero valorizzate al 2,33% l’anno per poi essere valutate al 44% in corrispondenza del 15° anno e restare ferme sino al 20° anno.

Tale orientamento consentirebbe, pertanto, anche al personale cessato con 35 o 40 anni di servizio di ottenere l’aliquota di rendimento del 44% se al 31.12.1995 abbia raggiunto almeno 15 anni di servizio, con un evidente e significativo incremento della parte retributiva della pensione.

C’è infine un terzo orientamento minoritario sorto sulla base di una ulteriore evoluzione delle precedenti pronunzie.

Questa tesi sostiene che dato che in corrispondenza del 15° anno di servizio effettivo vada applicata l’aliquota di rendimento del 44%, il coefficiente di rendimento debba essere del 2,93% l’anno e non del 2,33% per ogni di servizio utile per i primi 15 anni, per poi arrestarsi tra il 15° ed il 20° anno. In tal caso i benefici sulla pensione si estenderebbero anche a coloro che al 31 dicembre 1995 avevano meno di 15 anni di servizio, dunque a tutti gli arruolati sino al 1995, i quali possono cioè, vantare anzianità da valorizzare con il sistema retributivo.

Da ultimo, in contrario avviso alla giurisprudenza quasi uniforme delle Sezioni centrali di appello, gli Uffici di giurisdizione siciliani di questa Corte hanno ritenuto giuridicamente non fondata e, quindi, non condivisibile l’opzione interpretativa, prevalsa appunto nella recente giurisprudenza delle Sezioni Centrali , secondo cui, nei casi d’anzianità utile ricompresa, alla data del 31.12.1995, tra i 15 ed i 20 anni, l’aliquota per il calcolo della “quota retributiva” delle pensioni, da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n. 335/1995, in favore di tutti i militari (anche se cessati dal servizio in epoca successiva e con anzianità complessive ben maggiori di venti anni), andrebbe individuata necessariamente in quella fissa del 44%, indicata nell’art. 54, 1° comma, del D.P.R. n.1092/1973.

4.2 Ciò stante, molto nella giurisprudenza, anche recente, si è dibattuto sulla natura speciale od anche eccezionale delle richiamate norme del d.P.R. n. 1092/1973.

Il Collegio, invero, ritiene, che potrebbe essere quantomeno non dirimente indulgere in questioni definitorie e/o classificatorie, che appaiono sullo sfondo del reale problema che attiene al significato odierno di quelle norme.

Per quanto, infatti, nella sistematica legislativa del d.P.R. n. 1092/73 vi sia un evidente richiamo – ma non un parallelismo – fra gli artt. 42/44 (previsione del trattamento normale di pensione e relativa misura del quantum pensionistico del personale civile) e gli artt. 52/54 (previsione del trattamento normale di pensione e relativa misura del quantum pensionistico del personale militare) del d.P.R. 1092/1973, va osservato, secondo il Collegio, che l’art. 54, ai commi 1 e n. 2, stabilisce indubitabilmente per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello stabilito per il personale civile disciplinato all’art. 44 del medesimo testo unico, prevedendo che:

1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile.

2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento di ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

E che ciò sia pacificamente condiviso lo dimostra anche il dato letterale del quesito posto che invita questo Collegio ad esprimersi sulla spettanza o meno, al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni, del “beneficio” previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973.

Tuttavia, occorre chiarire che se il regime dell’aliquota unica al 44% di cui all’art. 54, comma 1, determina sicuramente un “regime di favore”, in quanto garantisce ai soggetti compresi nella “forbice” 15/20 anni un trattamento pensionistico parametrato a quello che avrebbero ottenuto, appunto, solo maturando 20 anni di servizio, tale favor – che si manifesta, dunque, rispetto alla posizione di chi ha maturato 20 anni di servizio (e si concreta nell’assimilazione a tale posizione di chi gode una anzianità di servizio di meno di 20 anni), – è solo la manifestazione dell’effetto di una norma nei confronti di coloro i quali vengono riconosciuti come aventi diritto.

Non ha senso, in tale ottica, affermare, come taluna giurisprudenza ha fatto, che l’applicazione della disposizione finisca con lo sfavorire chi è cessato con una anzianità di servizio maggiore.

4.3 In proposito, l’Istituto di previdenza concorda sul fatto che la predetta quota del 44% non possa essere commisurata ad anzianità contributive superiori ai 18 anni. Ed infatti, se l’interessato avesse maturato oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 sarebbe destinatario del sistema retributivo.

Piuttosto, osserva l’INPS, si tratta più in particolare di valutare se, a fronte di una quota retributiva compresa nel range 15-18 anni, possa o meno essere applicata l’aliquota “unitaria” del 44% prevista dal primo comma dell’art. 54.

A tal proposito l’INPS si dice convinto del fatto che si tratti di un’aliquota prevista a fronte della definitiva cessazione dal servizio nell’intervallo corrente fra i 15 ed i 20 anni.

In sostanza il Legislatore avrebbe inteso prevedere una sorta di trattamento minimo di pensione, riconoscendo ai militari cessati con la minima anzianità utile (cfr. art. 52, primo comma, che stabilisce in 15 anni di servizio utile, di cui almeno 12 di servizio effettivo, l’anzianità contributiva che fonda il diritto a pensione, salvo che per le ipotesi di cessazione a domanda, decadenza o perdita del grado, a fronte della quali il terzo comma dello stesso articolo stabilisce l’anzianità minima di 20 anni) la stessa aliquota di rendimento che avrebbero maturato a 20 anni.

Alla luce di quanto sopra esposto discenderebbe, secondo l’INPS, che il “salto” dal 15° al 20° anno che il legislatore ha riconosciuto a chi si congedi in quell’intervallo di tempo assolverebbe ad una funzione compensativa ovvero perequativa, garantendosi al militare che sia stato costretto a lasciare il servizio con la minima anzianità contributiva utile lo stesso rendimento che avrebbe ottenuto al maturare dei requisiti (e cioè almeno 20 anni di servizio; cfr. art. 52 terzo comma) che lo avrebbero legittimato a cessare a domanda.

In sostanza ed in estrema sintesi, per il pensionato con il sistema misto che ottiene una quota di pensione retributiva da calcolarsi nel range fra i 15 ed i 18 anni, l’effetto della descritta aliquota del 44% non andrebbe a disperdersi nel rendimento complessivo maturato a fine servizio, bensì si cristallizzerebbe e permarrebbe nella quota retributiva che varrebbe, sempre e comunque, il 44% della retribuzione pensionabile.

La pensione dei militari, quindi, finirebbe, secondo l’INPS; con il ritrarre un effetto vantaggioso dall’entrata in vigore della legge Dini e dalla connessa instaurazione del sistema di calcolo contributivo, in contrasto con la specifica finalità della norma, diretta infatti alla contrazione della spesa pensionistica.

Il passaggio dal sistema retributivo puro a quello contributivo (che interessa le quote di pensione corrispondenti alle anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 1996), ricorda l’Istituto, trova la sua specifica ragione d’essere nell’intendimento di ridurre l’importo delle pensioni, rendendole quanto più possibile proporzionali all’ammontare della contribuzione versata dal lavoratore.

4.4 La tesi avversa, come si è chiarito nella narrazione in fatto, contesta che l’art 54, comma 1, sia norma speciale o eccezionale, da applicare solo al militare cessato tra 15 e 20 anni di servizio e che invece, nei casi di cessazione con oltre 20 anni, al comparto militare si debba applicare l’art 44, quale norma generale operante indistintamente per tutti, sia civili che militari. Nel sistema del d.P.R. 1092/1973, infatti, il militare che va in pensione con oltre 20 anni ha già conseguito l’aliquota di cui al comma 1 dell’art 54 (il 44%), cui si somma, ai sensi del comma 2, l’aumento di 1,80% per ogni anno

Tale tesi apparirebbe suffragata sia dal dato letterale, sia dalla considerazione che se l’anzianità maturata dal militare al 31 dicembre 1995 rientrasse nella forbice fra 15 e 20 anni, apparirebbe naturale l’applicazione in suo favore della norma generale costituita dall’art. 54 comma 1, la cui aliquota del 44% risulta agganciata alla relativa anzianità posseduta in quel determinato momento.

Con la conclusione che il “sistema misto”, quale tertium genus elaborato dal Legislatore, prevedrebbe che il conteggio pensionistico al 31 dicembre 1995 debba essere fatto con “riferimento ai dati stipendiali “di oggi” e secondo il previgente sistema di calcolo retributivo, cioè quello “di ieri”.

5. Atteso quanto precede il Collegio formula le seguenti osservazioni e considerazioni.

5.1 In primo luogo va ribadito quanto già appena affermato in tema di insussistenza di una normativa “a sistema” nell’ambito delle disposizioni del d.P.R. n. 1092/1973. L’idea suggestiva di un parallelismo introdotto dal legislatore fra pensioni civili e militari nell’ambito della riportata norma trova infatti opposizione nel diverso regime riservato ai due ambiti e ciò principalmente in quanto -in estrema sintesi- l’art. 44 del DPR n. 092/1973, essendo inserito nel Capo I (“Personale civile”), del Titolo III (“Trattamento di quiescenza normale”) del richiamato T.U., è destinato ad operare esclusivamente nei confronti del personale civile e non rappresenta appunto una “norma di sistema”; nei confronti del personale militare, invece, opera la speciale disciplina contenuta nel successivo Capo II (“Personale militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’art. 54. Inoltre, non vi è alcun dato testuale che autorizzi a considerare le norme in senso speculare, neppure nelle note esplicative che hanno accompagnato il varo del citato decreto.

A ciò  fa riscontro il dato letterale dell’art. 1, comma 12, della  legge 335/1995 che, nello stabilire i criteri di definizione delle pensioni secondo i principi  retributivi  e  contributivi,  inequivocabilmente si rivolge alla platea indistinta dei “lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6”, senza incidere in alcun modo sull’impianto sistemico ma diversificato fra civili e militari del decreto del 1973.

L’autonomia e l’autosufficienza delle discipline previste dal d.P.R. 1092/1973, rispettivamente, per il personale civile e per il personale militare conducono quindi ad escludere – per l’individuazione della regola in concreto applicabile per quest’ultimo alla luce della riforma del 1995 – la necessità del ricorso all’analogia: ciascuna delle due discipline, pur accomunabili sotto il profilo strutturale, è, infatti, completa.

E, conseguentemente, non può, a parere del Collegio, essere seguita la tesi in base alla quale l’articolo 54, primo comma, del cennato decreto, entrato in vigore quando per il calcolo delle pensioni era solamente vigente il sistema retributivo puro, non può essere letto isolatamente bensì in combinato disposto con gli articoli 52 e 44 del medesimo decreto, nonché alla luce delle fondamentali innovazioni introdotte dalla legge numero 335 del 1995, la quale, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, ha previsto per tutti i soggetti che alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato una anzianità inferiore ai 18 anni, un sistema di calcolo misto della pensione comportante la sommatoria di una quota retributiva, rapportata alla anzianità effettivamente acquisita al 31 dicembre 1995 e di una quota contributiva riferita alle anzianità maturate in epoca successiva.

5.2 In pratica, partendo dall’ovvio presupposto che, in ogni caso, dal combinato disposto degli artt. 52 e 54, il regime previsto dall’articolo 54, primo comma, non possa che essere riferito solo al collocamento in quiescenza del militare, se non altro per lo stesso dato letterale della norma: “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”, dall’esame dei due articoli – questi sì in correlazione, disponendo rispettivamente per il personale militare il diritto all’accesso al trattamento normale di pensione e la relativa misura dello stesso – appare evidente che il legislatore abbia inteso subordinare l’accesso dei militari al trattamento normale di quiescenza al possesso di determinati requisiti minimi di anzianità (utile e/o effettiva), individuati in rapporto alle diverse cause di cessazione dal servizio, individuando un coefficiente di progressione lineare pari al 2,20%.

Infatti, a tal riguardo va notato che la disaggregazione del periodo di quaranta anni previsto per raggiungere il coefficiente massimo dell’80%, espressamente previsto dal legislatore (art. 54, comma 7), determina l’attribuzione del coefficiente del 44% al primo segmento ventennale determinato dall’ovvio calcolo “2,20% all’anno*20anni=44%”.

Ovviamente, per gli effetti del secondo comma dell’art. 54, nel caso di permanenza in servizio oltre il ventesimo anno, il coefficiente, già comunque giunto al 44%, avrebbe subito un aumento pari all’1.80 % ogni anno, mentre per chi si fosse trovato nelle condizioni dettate dalla disciplina del sistema retributivo e fosse andato in pensione fra il 15° e il 20° anno, sarebbe scattato il “beneficio” previsto dall’articolo 54, primo comma, con attribuzione del 44% già dal 15° anno.

E che ciò consenta di dire che una siffatta interpretazione “restrittiva” (vale a dire la impossibilità di applicare in via generalizzata il beneficio dell’art. 54) produrrebbe effetti distorsivi violando il principio cardine della proporzionalità delle pensioni appare certamente non condivisibile.

Al contrario, secondo il Collegio, tale approccio appare quello che maggiormente può essere considerato “costituzionalmente orientato” non manifestandosi violato il principio di ragionevolezza e di uguaglianza desumibile dall’art. 3 della Costituzione, evitandosi al contrario un potenziale rischio di disparità di trattamento non voluto dal legislatore che, ove avesse voluto introdurre un sistema generalizzato, non avrebbe davvero avuto necessità di prevedere quanto disposto dall’art. 54, comma 1. Oltre ad evitare, come si dirà più oltre, il pericolo di potenziali duplicazioni di benefici pensionistici.

Un primo punto fermo, quindi, è costituito dall’assunto in base al quale, stante quanto si è venuto affermando, l’applicazione tout court dell’art. 54 (nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in:

1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo, ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento pensionistico);

2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale, essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti espressamente dall’art. 52;

3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni.

5.3 Ancora ragionando sul quesito di fondo e cioè se la quota retributiva di una pensione liquidata con il sistema misto, in favore di un militare che sia cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità utile ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile oppure se tale quota retributiva debba essere determinata sulla base dell’effettivo numero di anni di anzianità posseduti al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile, possono essere svolte ulteriori

A tal proposito, si rammenta nuovamente che l’art.1, comma 12 della legge n. 335/1995 prevede che per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 dello stesso articolo e che alla data  del 31  dicembre  1995  possono  far  valere  un’anzianità  contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma:

a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;

b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo.

Quindi la ratio legis del legislatore del 1995 si poggia sul concetto in ordine al quale il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo è destinato ad avvenire in modo graduale, segnato dallo “spartiacque”, individuato nella quota di 18 anni, che indica il periodo di contribuzione posseduta o meno dai soggetti alla data del 31 dicembre 1995.

Così che, dal 1° gennaio 1996, nei confronti di coloro che alla data del 31 dicembre 1995 hanno meno di 18 anni di contribuzione si applica il sistema retributivo per il periodo fino al 31 dicembre 1995 e quello contributivo per il periodo successivo, e dunque un sistema “misto”, mentre per coloro che avranno 18 anni o più di contribuzione, continuerà a trovare applicazione il sistema retributivo.

Per coloro i quali entrano in servizio successivamente al 1° gennaio 1996, privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, verrà applicato solo il sistema contributivo.

Ora, se è vero, come si è affermato, che la disposizione di cui all’art. 54, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973, nel prevedere che al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile spetti una pensione pari al 44% della base pensionabile e, pertanto, una pensione liquidata considerando come se avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo, è altrettanto vero che tale norma, derogando sostanzialmente al principio di cui al combinato disposto degli artt. 8 e 40 del citato decreto, per cui la pensione deve essere commisurata, in via di principio, alla durata del servizio prestato, introduce una disciplina non applicabile al di fuori del contesto di riferimento ed, in particolare, non invocabile ai fini dell’applicazione per la determinazione della quota retributiva, di cui al riportato art. 1, comma 12, lettera a) della legge n. 335/1995, del militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di servizio.

5.4 In sintesi, dunque, affermare l’autonomia delle disposizioni delle norme del decreto 1092/1973 in tema di pensioni militari, circoscrivendone l’efficacia a coloro i quali presentano i requisiti di legge, sembra condurre l’interpretazione verso una applicazione dell’aliquota del 44% in forma non generalizzata e quindi non estensibile a coloro i quali hanno lasciato il servizio con più di venti anni di servizio effettivo/utile e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni.

A conforto di tale tesi sembrerebbe militare anche l’ulteriore considerazione per cui, ove si giunga a diversa conclusione, si determinerebbe una duplice valorizzazione a fini pensionistici del periodo di servizio compreso fra l’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995 ed il compimento dei venti anni, che verrebbero valutati una prima volta nella quota retributiva, quale aliquota di rendimento in relazione ai venti anni di servizio, ed una seconda volta nella quota contributiva che comprenderebbe nel relativo montante anche i contributi versati nel citato periodo.

Ciò, al di là della opinabilità del regime di favor che si verrebbe a creare, trova chiaro contrasto con le norme dello stesso decreto n. 1092/1973 che all’art. 6, commi 1 e 2, recita “Un periodo di attività lavorativa, che sia valutabile ai fini di quiescenza secondo ordinamenti obbligatori diversi, è valutato una sola volta in base all’ordinamento prescelto dall’interessato.

La disposizione del comma precedente si applica anche per i periodi di tempo comunque valutabili ai fini di quiescenza”, e all’art. 39 ribadisce “Un periodo di servizio, di cui sia prevista la computabilità in base a diverse disposizioni del presente testo unico, si considera una sola volta secondo la normativa più favorevole. Il precedente comma si applica anche per i periodi di tempo comunque computabili ai fini del trattamento di quiescenza”.

La stessa legge n. 335/1995, poi, nei passaggi ante riportati, fa espresso riferimento – nel definire all’art. 1, comma 12, la composizione del quantum pensionistico – prima alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 e poi alle “ulteriori anzianità contributive” calcolate secondo il sistema contributivo, intendendo, di tutta evidenza, periodi differenti rispetto alle “anzianità acquisite”.

Ne consegue, quindi, che l’impostazione che vuole un’applicazione non generalizzata dei “benefici” dell’art. 54, primo comma, è destinata, oltretutto, a superare anche qualsivoglia problematica di duplicazione della valorizzazione dei trattamenti.

5.5 Una problematica ulteriore è, poi, determinata dal fatto che la giurisprudenza del Giudice di merito non risulta concorde in punto di definizione dell’aliquota di In proposito, recentemente, la III sezione di appello, con sentenza n. 111/2020 ha testualmente affermato che “….la disciplina del computo della pensione per i militari cessati con più di 20 anni di servizio non si ritrova altrove: né nell’art. 44 invocato dall’INPS, che (inserito nel titolo III “Trattamento di quiescenza normale” del capo I “Personale civile” del citato d.P.R.) è disposizione non applicabile in quanto dettata esclusivamente per il personale civile (in assenza di alcun richiamo); né in altra norma del medesimo d.P.R., che con l’art. 54 (inserito al Capo II “Personale Militare”, e intestato espressamente “Misura del trattamento normale”) intende dichiaratamente fornire la disciplina applicabile in via ordinaria al personale militare…”.

Allo stesso riguardo, la Sezione d’appello siciliana (sentenza n. 43/2020) ha invece affermato che “…secondo questa Corte, tale coefficiente va ragionevolmente individuato nel 2,20% annuo e ciò tenuto conto, da un lato, di quanto espressamente disposto dall’art. 54, comma 9, del D.P.R. n. 1092/1973, da un altro lato, della circostanza che, dividendo per venti l’aliquota del 44% (alla cui fruizione, in linea generale, hanno, comunque, diritto, ai fini pensionistici, indistintamente tutti i militari in possesso di un’anzianità di venti anni di servizio), si perviene esattamente al risultato di 2,20 % annuo”.

In proposito il Collegio, pur avendo ben presenti le affermazioni autorevolmente formulate dai giudici di merito, ritiene che per individuare la regola in concreto applicabile non al collocamento in pensione secondo il sistema retributivo ma alla quota di servizio da assoggettare al sistema retributivo nel nuovo sistema misto introdotto dalla legge 335/95, sembrerebbe corretto l’approdo secondo cui a ogni anno, dal primo al diciottesimo meno un giorno, debba essere applicato il coefficiente del 2,20%, poiché frutto del rapporto tra l’aliquota che si matura al ventesimo anno di servizio (se non si è andati in pensione prima, per chi poteva farlo secondo il sistema retributivo puro) e, appunto, venti anni (44/20=2,20).

Il sistema misto introdotto dalla legge n. 335/1995 impone, però, una ulteriore riflessione, data dal fatto che tale regime trova applicazione a chi, alla fine del 1995, non aveva maturato almeno 18 anni di servizio.

Ed è proprio a tal proposito che, nel totale silenzio del legislatore, va tenuto nella dovuta considerazione il fatto che il sistema organico delineato in via generale, per il personale militare, dal d.P.R. 1092 del 1973 ha perso la sua armonica interiore coerenza, per effetto dell’impatto del sopravvenuto, e profondamente diverso, sistema introdotto dalla legge n. 335 del 1995.

Al riguardo, va nuovamente rilevato che il legislatore del 1973, mantenendo, appunto, la coerenza interna del sistema dallo stesso previsto per la previdenza del personale militare, aveva scomposto, in due segmenti uguali ma disomogenei, il percorso ideale secondo il quale l’aliquota massima di rendimento dell’80% si raggiungeva in 40 anni.

Al primo segmento ventennale aveva, infatti, attribuito una valorizzazione superiore alla metà di quella totale, cioè il 44%, sebbene esso rappresentasse solo la metà del servizio massimo, e ciò in ragione del fatto che i 20 anni di servizio erano rilevanti, in quel sistema, per il collocamento a riposo e rappresentavano, quindi, sempre in quel sistema singolarmente considerato, uno spartiacque.

Con l’intervento del legislatore del 1995, i 20 anni di servizio non hanno più, però, alcuno specifico significato, sicché, per evitare che, sempre nel totale silenzio del legislatore, l’adattamento fra i due sistemi succedutisi nel tempo generi effetti disarmonici o addirittura contraddittori, appare necessario valorizzare il solo spartiacque al quale – nel caso che qui ci occupa, vale a dire proprio quello di individuare, per il personale militare assoggettato al sistema misto, l’aliquota di rendimento da applicare al servizio ricadente sotto il sistema retributivo – è possibile riconoscere, in termini generali, rilevanza sotto il profilo normativo, vale a dire quell’anzianità di 18 anni che la stessa legge 335/1995 ha individuato per tenere distinti, appunto, il sistema retributivo e quello contributivo.

Infatti, il coefficiente del 2,20%, che si ricava dividendo per 20 l’aliquota del 44%, raggiungibile (se non si è andati in pensione prima, per chi poteva farlo secondo il sistema retributivo puro) al compimento del ventesimo anno di servizio, è solo in astratto corretto poiché solo in astratto applicabile a ciascuno di quei venti anni. Se si tiene conto della riforma introdotta dalla legge 335/1995, appare infatti evidente che, in concreto, quel coefficiente – che oggi serve a valorizzare la quota di servizio da assoggettare al sistema retributivo per chi rientra nel sistema misto – mai potrà essere applicato a chi, alla fine del 1995, aveva una anzianità compresa tra i 18 e i 20 anni, poiché costoro rientrano completamente nel vecchio sistema retributivo.

In altri termini, il coefficiente del 2,20% incorpora l’anomalia di essere ricavato ponendo a denominatore un numero di anni (20) diverso da quelli ai quali lo stesso potrà essere applicato (al massimo 18 meno un giorno), visto che il sistema misto si applica solo a chi, alla fine del 1995, aveva 18 anni meno un giorno di servizio.

Dalla disciplina del 1995 va, quindi, ricavato il correttivo, mettendo a denominatore il numero di anni che la legge 335/1995 fissa per essere assoggettati al sistema misto, vale a dire 18 anni meno un giorno. Così ritenendo il coefficiente sarà, dunque, pari a 44 diviso 17 + 364/365esimi, cioè 44/17,997 = 2,445 per ogni anno.

La marginale differenza che c’è tra il predetto esito – che tiene conto del dato normativo secondo cui rientra nel sistema misto chi, alla fine del 1995, aveva 18 anni meno un giorno di servizio – e quello che si raggiungerebbe mettendo a denominatore più semplicemente “18 anni”, si apprezza solo approssimando il risultato al millesimo (44/17,997 = 2,445; 44/18=2,444), poiché con l’approssimazione al centesimo, come si fa ordinariamente, i due risultati coinciderebbero in 2,44%. Appare comunque corretto, per dare conto del percorso argomentativo seguito, far rilevare le predette differenze, lasciando all’applicazione pratica la coincidenza sostanziale.

Tale approccio, secondo il Collegio e conclusivamente, oltre che essere giuridicamente coerente con il rapporto intercorrente fra le disposizioni del d.P.R. 1092/1973 e quelle della legge n. 335/1995, appare anche rispettoso degli equilibri introdotti dalla normativa del 1973 – e non messi in discussione dalle disposizioni sopravvenute – nell’ambito dei principi generali che regolano il trattamento di quiescenza per le pensioni civili e militari.

6. Conclusivamente, quindi, e sulla base dei ragionamenti e delle argomentazioni esposte, il Collegio ritiene di dovere rispondere al generale quesito posto dall’ordinanza del Presidente della Corte dei conti circa la “corretta” applicazione dell’art. 54, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973, ed al quesito formulato con ordinanza della Prima sezione centrale di appello della Corte dei conti espresso nei termini testuali “se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973, spetti o meno al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva “della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile”, nel senso che la “quota retributiva“ della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile, coefficiente da individuarsi, sulla base dei principi esposti, nel 2,44% annuo.

7. Per quanto riguarda l’ulteriore quesito posto con ordinanza della Prima Sezione centrale di appello e relativo a “In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità, se la medesima aliquota del 44% sia applicabile anche per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”, esso, tenuto conto di quanto deciso in ordine al primo quesito posto, è da ritenersi assorbito in esso con valutazione coerentemente negativa.

8. Le spese del presente procedimento saranno regolate all’esito delle pronunce di merito.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti, Sezioni riunite, in sede giurisdizionale e in sede di questione di massima, danno soluzione ai quesiti posti con le epigrafate ordinanze di deferimento del Presidente della Corte dei conti n. 12 del 12 ottobre 2020 e della Sezione prima giurisdizionale di appello nn. 26 e 27 del 14 ottobre 2020, enunciando i seguenti principi di diritto:

La “quota retributiva “ della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, va calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%.

Conseguentemente:

L’aliquota  del  44%  non  è  applicabile  per  la  quota  retributiva  della pensione  in  favore  di  quei  militari  che,  alla data del  31  dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”.

Rimette al merito la regolazione delle spese del presente giudizio.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di cui all’art. 116 del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 e ss.mm. (codice di giustizia contabile).

Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 25 novembre 2020, 27 novembre 2020 e 11 dicembre 2020.

IL PRESIDENTE ESTENSORE

F.to Dott. Mauro Orefice

La presente decisione è stata depositata in Segreteria in data 4 gennaio 2021.

Il Direttore della Segreteria

F.to Dott.ssa Maria Laura Iorio

SENTENZA – copia originale -.