Per evitare il sequestro – confisca, intestava l’impresa funebre ad altra persona (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 28717).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Salerno Assunta, nata a Salerno il 15/08/1979;

avverso l’ordinanza del 16/12/2019 del Tribunale di Salerno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;

udito il difensore, avv. Aniello Natale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 dicembre 2019, il Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagata Salerno Assunta in proprio e ha rigettato analoga richiesta proposta dalla stessa quale legale rappresentante della “Nuova Funeral Home s.r.l.s.” in liquidazione, confermando il decreto con il quale il Gip del Tribunale di Salerno aveva sottoposto a sequestro la suddetta società, i conti correnti e i beni strumentali ad essa riconducibili, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 110 e 512- bis cod. pen., contestato perché il coindagato Squecco Roberto, tratto in arresto per partecipazione a associazione di stampo camorristico ed estorsione aggravata, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, aveva attribuito fittiziamente a Salerno Assunta, che l’aveva ricevuta, la legale rappresentanza della società “Nuova Funeral Home”, con sede ad Acerno.

2. Avverso l’ordinanza Salerno Assunta, tramite il difensore, in proprio e in veste di legale rappresentante della società “Nuova Funeral Home”, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce la nullità dell’ordinanza per carenza di motivazione, in quanto il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare le argomentazioni poste alla base del decreto di sequestro, senza confrontarsi con le censure formulate dalla difesa né con l’istanza di riesame né con la memoria depositata il 13 dicembre 2019.

2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 512- bis cod. pen., sul rilievo che non sussisterebbe il fumus del reato che giustifica la permanenza del vincolo reale sulla società, tanto sotto il profilo oggettivo, perché la forma sociale a responsabilità limitata e il fatto che si trovava in stato di liquidazione impediscono di valutare economicamente l’attività svolta, e conseguentemente di dimostrare il vantaggio economico ottenuto da Squecco Roberto, quanto sotto il profilo soggettivo, atteso che risulta indimostrata la consapevolezza dell’indagata di compiere tale interposizione fittizia.

3. Con motivi aggiunti depositati il 24 giugno 2020, la difesa insiste sul fatto che la società colpita dal provvedimento cautelare è un soggetto di diritto diverso da una società commerciale, la cui finalità economica è nella ragione sociale della stessa, per cui risulterebbe carente la concreta valutazione economica della compagine societaria.

Parimenti, nessuna valutazione sarebbe stata compiuta quanto alla consapevolezza, da parte della ricorrente, dell’illiceità del suo agire.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo di impugnazione, con cui si lamentano carenze di motivazione del provvedimento, è inammissibile perché formulato in termini del tutto generici.

Va ricordato che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa motivazione ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (ex plurimis, Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, Rv. 274760).

Nel caso di specie, il ricorrente non espone né a quali censure difensive si riferisce il lamentato difetto motivazionale, né le ragioni per le quali l’asserita mancanza di valutazione avrebbe avuto una incidenza sulle determinazioni cautelari tale che, laddove fosse stata compiuta, il risultato sarebbe stato diverso da quello adottato.

1.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta la ritenuta sussistenza del fumus del reato, è parimenti inammissibile, dal momento che, pur attraverso una formale denuncia di violazione di legge, in realtà la ricorrente contesta la ricostruzione fattuale operata dai giudici a sostegno della misura ablativa, con argomentazioni che non possono trovare ingresso in sede di legittimità, visto il limite di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.

Deve comunque rilevarsi che il delitto di trasferimento fraudolento di valori ex art. 512 -bis cod. pen. presuppone, sotto il profilo oggettivo, l’esercizio dell’attività di gestione dell’impresa da parte di un soggetto diverso dal suo effettivo titolare e l’acquisto, da parte del titolare apparente, dei beni strumentali all’esercizio dell’impresa e, sotto quello soggettivo, la sussistenza del dolo specifico del reato, corrispondente ad una finalità elusiva delle norme di legge in materia di misure di prevenzione (ex plurimis, Sez. 2, n. 35826 del 12/07/2019, Rv. 277075; Sez. 1 n. 21250 del 26/04/2007).

È noto, inoltre, che ai fini della adozione del sequestro preventivo sono sufficienti gli indizi di reato, indipendentemente dall’accertamento della presenza di gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale.

Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale ricostruendo puntualmente le intervenute vicende, ha ravvisato l’effettiva sussistenza indiziaria del reato ipotizzato e ha spiegato le ragioni logico-giuridiche sottese alla conferma del provvedimento di sequestro oggetto della richiesta di riesame.

In primo luogo, il Tribunale ha sottolineato che tale vicenda giudiziaria si inserisce in una ben più complessa attività d’indagine che ha condotto finora all’emissione di plurimi decreti di sequestro aventi ad oggetto vari enti che, pur essendo formalmente intestati a familiari o conoscenti di Squecco, risultavano in realtà tutte riconducibili a Squecco medesimo.

Sotto il profilo oggettivo, la titolarità in capo a Squecco dell’agenzia funebre oggetto della misura oggi in contestazione era emersa da inequivocabili indizi ben evidenziati dalla pagina 6 del provvedimento impugnato, quali:

a) il fatto che essa aveva sede legale nel medesimo indirizzo dell’associazione Croce Azzurra città di Acerno, legalmente rappresentata da Potolicchio Donato, cugino di Squecco Roberto e coniuge dell’odierna ricorrente, ma risultata anch’essa riconducibile a Squecco per sua stessa ammissione;

b) il contenuto delle intercettazioni telefoniche, dalle quali era emerso che Squecco gestiva l’azienda come vero e proprio dominus, intrattenendo, in luogo del rappresentante legale, rapporti con i clienti e con i dirigenti dell’ASL;

c) la costituzione dell’associazione nel periodo in cui Squecco aveva acquisito grandi disponibilità economiche attraverso la commissione di delitti di bancarotta fraudolenta; circostanza che dimostrava il sostentamento dell’esercizio commerciale grazie ai ricavi delle attività illecite perpetrate dallo stesso;

d) il fatto che l’associazione risultava intestataria di beni non strumentali all’esercizio dell’attività ordinariamente svolta, e che Squecco se ne serviva come schermo per intestare ad essa beni che in realtà erano nella sua diretta disponibilità; il che dimostrava altresì la confluenza, all’interno dei redditi d’impresa, dei ricavi provenienti dalle attività illecite poste in essere dall’indagato.

Inoltre, dall’affissione, presso la sede della suddetta società, di due cartelli pubblicitari, uno di vendita di oggetti funebri e uno di noleggio auto di lusso, il Tribunale ha ritenuto accertato che l’ente, pur perseguendo formalmente finalità non di lucro, veicolava i clienti verso le altre associazioni gestite dai familiari di Squecco, nell’ambito di un disegno unitario imprenditoriale facente sempre capo al medesimo.

Quanto all’elemento soggettivo, le precedenti condanne di cui Squecco Roberto era destinatario e delle quali era perfettamente a conoscenza, nonché la corrispondenza temporale tra l’applicazione di vari provvedimenti di confisca per prevenzione in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., e la costituzione della nuova società, dimostravano con evidenza la finalità illecita dell’intestazione, rivolta al chiaro scopo di evitare gli effetti di tali provvedimenti afflittivi.

Sempre sulla scorta di quanto evidenziato nel provvedimento impugnato, va anche disattesa la censura relativa all’asserita mancanza del dolo specifico in capo all’odierna ricorrente, essendo per un verso del tutto inverosimile che quest’ultima non fosse consapevole dell’effettiva gestione della propria società da parte di un terzo soggetto, suo stretto familiare, per altro verso del tutto irrilevante, ai fini della prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo a colui che si intesta fittiziamente il bene, il vantaggio patrimoniale eventualmente ottenuto.

1.3. Quanto ai motivi aggiunti, è sufficiente qui rilevare che l’inammissibilità delle doglianze proposte con il ricorso principale si estende agli stessi, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen.

2. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 07/07/2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.