L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROBERTO BELLE’ – Presidente –
Dott. ANDREA ZULIANI – Consigliere –
Dott. NICOLA DE MARINIS – Consigliere –
Dott. MARIA LAVINIA BUCONI – Consigliere –
Dott. ANTONELLA FILOMENA SARRACINO – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 23109-2021 proposto da:
(omissis) (omissis) in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis);
– ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) domiciliata in (omissis) presso la (omissis) (omissis) (omissis) rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 131/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/03/2021 R.G.N. 638/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/09/2023 dal Consigliere Dott. ANTONELLA FILOMENA SARRACINO.
Rilevato che:
1. La Corte d’Appello di Palermo, confermando la sentenza di prime cure del Tribunale di Agrigento, accoglie la domanda di risarcimento del danno proposta da (omissis) (omissis) dirigente medico della (omissis) (omissis) in (omissis) (di seguito: (omissis)) che aveva lamentato il mancato pagamento dell’indennità di posizione variabile a far tempo dal conferimento dell’incarico di responsabile di struttura semplice ex art. 27, lett. B, del c.c.n.l. dell’8.6.2000, quindi dal 1.4.2007, e fino al 1.1.2013, data a far tempo dalla quale provvedeva, invece, al pagamento.
1.2. La sentenza di appello, a fondamento dell’accoglimento della domanda, osserva che il comportamento di (omissis) da qualificare inadempimento di un obbligo contrattuale – la mancata pesatura e graduazione degli incarichi – comportante un mancato guadagno per il dipendente per effetto della privazione di una parte del trattamento economico, la parte variabile dell’indennità di posizione.
1.3. Il danno viene indi liquidato in via equitativa, utilizzando quale parametro di riferimento l’importo mensile di € 500,00 erogato a far data dal 1.1.213 a titolo di parte variabile dell’indennità di posizione.
2. Propone ricorso per cassazione articolato in due motivi (omissis).
3. Resiste il dirigente medico con controricorso.
4. Entrambe le parti depositano memorie.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, articolato in due sottocensure, il ricorrente lamenta:
a) in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1218, 2043 e 2697 c.c.
b) del pari, con riguardo all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione degli artt. 51, comma 4, 53, 54, commi 7 ed 8, del c.c.n.l. del 5.12.1996, come modificati dal c.c.n.l. dell’8.6.2000.
1.1. Nel dettaglio, si sostiene non sia configurabile alcun inadempimento colposo nel comportamento di (omissis).
Si sottolinea che la determinazione e l’attribuzione della componente variabile dell’indennità di posizione, prevista per gli incarichi di alta specializzazione, configura il momento finale di un procedimento amministrativo di macro-organizzazione, finalizzato a calibrare sulle singole posizioni professionali, in relazione al livello di responsabilità attribuito, le spettanze retributive dovute.
Si evidenza che detta valutazione (dei livelli di responsabilità) compete solo alla parte datoriale, cui non può surrogarsi l’autorità giudiziaria, e che essa può comportare anche ad una pesatura del livello di responsabilità pari a zero.
Si nega che dalla normativa pattizia possa farsi discendere un obbligo di provvedere a carico della P.A., men che mai entro un termine prestabilito, ribadendosi l’alta discrezionalità di cui gode (omissis) in ordine alla decisione di procedere o meno alla graduazione e pesatura degli incarichi ai fini della corresponsione dell’emolumento per cui è causa.
1.2. Si assume, in conseguenza di tali premesse, che il dirigente avrebbe dovuto chiedere tutela al giudice amministrativo.
1.3. Conclusivamente, evidenziando l’avvenuta erogazione dell’emolumento a seguito della delibera 320 del 2013, a far tempo dal 1.1.2013, si nega che: sussista in capo (omissis) un obbligo di legge o contratto per la pesatura degli incarichi, sottoposto ad un termine ed eluso dalla parte datoriale.
In consonanza con le premesse si sostiene che il dirigente non vanterebbe alcun diritto soggettivo, ma piuttosto un interesse legittimo pretensivo alla graduazione delle funzioni, una mera aspettativa, non qualificata dall’intervenuta pesatura, giammai posta in essere, o dalla maturazione di un silenzio rifiuto in conseguenza dell’attivazione della messa in mora da parte del dipendente.
1.5. Da ultimo si nega la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità ex 2043 c.c. in quanto necessitante di essere provata in tutti i suoi presupposti: ingiustizia e danno (quest’ultimo non presumibile iuris tantum).
2. Con il secondo mezzo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.
La censura evidenzia che il danno dovrebbe essere validamente e opportunamente provato, mentre nel caso di specie alcun elemento di prova era stato fornito al giudice che, pertanto, aveva provveduto a liquidare un danno “in re ipsa”, in contrasto gli insegnamenti del giudice di legittimità.
In ordine alla liquidazione si lamenta, poi, che la stessa sarebbe avvenuta in modo erroneo, sia perché intervenuta in difetto della prova del danno, sia perché erroneamente ricavata per relationem da un mero riferimento ad una successiva delibera (omissis) la n. 320 del 2013 – riguardante l’erogazione dell’emolumento a far tempo dal 1.1.2013 ed in relazione a presupposti giuridici e fattuali successivi al 2012.
3. Il primo motivo è infondato e va rigettato, avuto riguardo ad entrambe le sottocensure.
3.1. Le questioni qui proposte sono sovrapponibili a quelle già esaminate dalla Corte in numerose pronunzie tra le quali vanno, in particolare, ricordate, il leading case, Cass. Sez. L. n. 7110/2023, nonché Sez. n. 9724/2023, sentenza quest’ultima in cui vengono non solo ribaditi i principi già affermati nella prima delle due pronunzie, ma altresì affrontate le questioni dell’accertamento e della liquidazione del danno di cui al secondo motivo e delle quali si dirà infra.
In assenza di questioni nuove intende il Collegio aderire ai principi affermati in detti precedenti, richiamando di seguito larghi passi dei percorsi motivazionali delle pronunzie citate, riportandosi ad esse anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
3.2. Giova partire dalla ricostruzione dei dati legislativi e contrattuali:
– l’ 24, comma 1, d.lgs. n. 29 del 1993 prevede che la retribuzione del personale con qualifica dirigenziale sia determinata dai contratti collettivi per ciascuna area dirigenziale, il trattamento economico di accessorio di riferimento sia correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità e la graduazione delle funzioni e delle responsabilità ai fini del trattamento accessorio sia definita con provvedimenti dei rispettivi organi di governo per le amministrazioni o gli enti diversi da quelle statali, ferma restando l’osservanza ed i limiti di compatibilità finanziaria fissati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro del Tesoro;
– l’art. 51 del c.n.l. del 5 dicembre del 1996 dispone che le aziende od enti, in relazione alle articolazioni aziendali individuate dal d.lgs. n. 502 del 1992, dalle leggi regionali di organizzazione e dagli eventuali atti di indirizzo e coordinamento del Ministero della Sanità (quindi anche (omissis) qui ricorrente) determinano la graduazione delle funzioni dirigenziali cui è correlato il trattamento economico di posizione, ai sensi dell’art. 24 d. lgs. 29 del 1993, innanzi ricordato; il medesimo articolo dispone altresì che dispone che al pagamento della retribuzione di posizione si provvede mediante un apposito Fondo costituito presso ogni azienda o ente al fine di assegnare ai dirigenti un trattamento economico correlato alle funzioni dell’incarico attribuito ed alle connesse responsabilità – e finanziato con le modalità di cui agli artt. 60, 61 e 63, comma 2, lett. a) del medesimo c.c.n.l.;
– gli artt. 53 e 54 del c.c.n.l. citato provvedono a fornire le indicazioni in virtù delle quali le aziende – sulla base di criteri e di parametri di massima, che le aziende e gli enti possono integrare e curvare sulla base della specifica situazione organizzativa, sempre nel rispetto delle leggi regionali – devono effettuale la graduazione delle funzioni;
– gli artt. 56 e 57 del c.c.n.l. dispongono che, sulla scorta di detta graduazione, previa informazione delle rappresentanze sindacali di cui agli artt. 10 e 11 (che su richiesta delle stesse rappresentanze può essere seguita da un incontro), le aziende ed enti attribuiscono ad ogni posizione dirigenziale prevista nel proprio assetto organizzativo un valore economico, sulla scorta dei parametri contenuti, appunto nei citati artt. 56 e 57;
– l’art. 55 del c.n.l. afferma poi che la retribuzione di posizione è una componente del trattamento economico dei dirigenti di I e di II livello dell’area medico-veterinaria che, in relazione alla graduazione delle funzioni prevista dall’art. 51, comma 3, cit., è collegata all’incarico agli stessi conferito dall’azienda o ente e si compone di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 29 del 1993 e compete per tredici mensilità; la componente variabile della retribuzione di posizione, come in parte già anticipato, salvo quanto previsto dal comma 7, è determinata in sede aziendale sulla base della graduazione delle funzioni in conformità degli incarichi di cui agli artt. 56 e 57 e con le procedure di cui agli artt. 53 e 54. Dal primo dicembre 1995 e sino al conferimento degli incarichi di cui al comma 6, la retribuzione di posizione dei dirigenti è costituita dai valori indicati per le due componenti – fissa e variabile – nella tabella allegata n. 3 del c.c.n.l. del 1996;
– l’art. 39 del successivo c.n.l. dell’8 giugno del 2000, dopo aver confermato ai commi 1 e 2, che la retribuzione di posizione è una componente del trattamento economico dei dirigenti che, in relazione alla graduazione di funzioni prevista dall’art. 51, comma 3, del c.c.n.l. del 5 dicembre 1996, è collegata all’incarico conferito ai dirigenti ai sensi dell’art. 27, ed è composta da una parte fissa ed una variabile e compete per tredici mensilità, dispone poi, ai commi da 5 a 7, che:
“5. In prima applicazione del CCNL del 5 dicembre 1996 come integrato dal CCNL del 2 luglio 1997, il valore economico minimo contrattuale della retribuzione di posizione – parte fissa e variabile per il personale già in servizio all’entrata in vigore del contratto medesimo – è stato indicato nella tabella 1 del CCNL relativo al II biennio economico, secondo le posizioni funzionali od economiche di provenienza dei dirigenti.
6. La componente fissa della retribuzione di posizione stabilita dalla tabella indicata nel comma 5 non è modificabile, mentre l’incremento della componente variabile minima contrattuale della medesima tabella – sulla base della graduazione delle funzioni di cui all’art. 26, è competenza delle singole aziende in relazione alle risorse disponibili nell’apposito fondo. Di conseguenza la retribuzione di posizione dei dirigenti, fermo rimanendo il principio che, a parità di graduazione delle funzioni, deve essere identica, si colloca – in base alla tipologia degli incarichi conferiti – nelle fasce economiche degli artt. 56 e 57 del CCNL 5 dicembre 1996.
7. Il valore economico complessivo dell’incarico determinato ai sensi del comma 6 è la risultante della somma del minimo contrattuale del comma 5 e della quota aggiuntiva variabile definita Detto valore, a parità di funzioni, si ottiene mediante i relativi conguagli sulla parte variabile rispetto al minimo contrattuale in godimento fino al raggiungimento del valore economico complessivo“.
– l’art. 24 del c.c.n.l. del 3 novembre 2005 interviene in modo decisivo su detto quadro normativo, interpretando autenticamente l’art. 55 del c.c.n.l. del 5 dicembre 1996 e l’art. 39 del c.c.n.l. 8 giugno 2000, chiarendo che, in materia di trattamento economico del personale dirigente amministrativo sanitario, l’art. 51 del c.c.n.l. 5 dicembre 1996 dell’area dirigenza dei ruoli sanitario, professionale tecnico ed amministrativo del SSN, nel prevedere, da parte delle aziende, la determinazione della graduazione delle funzioni dirigenziali attribuendo ad ogni relativa posizione un valore economico complessivo, riconosce ai dirigenti una retribuzione di posizione complessiva, che è composta da una quota stabilita tabellarmente in sede contrattuale, divisa in una parte fissa e in una variabile, nonché da un’ulteriore quota, parimenti variabile e definita in sede aziendale, collegata all’incarico conferito sulla base della graduatoria delle funzioni, fermo restando che, sino al conferimento degli incarichi, deve essere corrisposta una retribuzione di posizione minima, costituita dalle componenti, fissa e variabile, della quota tabellare, destinata ad essere riassorbita nel valore economico complessivo successivamente attribuito all’incarico conferito in quanto mera anticipazione prevista dal contrasto collettivo (al riguardo, in giurisprudenza può citarsi Cass., Sez. L, n. 22934 del 10 novembre 2016).
3.3. Dal quadro normativo innanzi ricostruito si ricava che la composizione complessiva della retribuzione di posizione dopo la graduazione delle funzioni è, quindi, la seguente:
1) parte fissa della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;
2) parte variabile della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;
3) parte variabile definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni.
3.4. E’ poi l’art. 60 del c.n.l. del 5 dicembre 1996 che prescrive, per la parte che qui rileva, che al finanziamento della retribuzione di posizione dei dirigenti di I e II livello si provvede mediante l’utilizzo di un fondo, costituito a decorrere dal 1 dicembre 1995 ed a valere sulla competenza 1996 senza alcun pregiudizio sugli aumenti del biennio successivo. Tale fondo annuale deve essere integralmente utilizzato ed eventuali risorse che, a consuntivo, risultassero ancora disponibili sono temporaneamente utilizzate nel fondo per la retribuzione di risultato relativo al medesimo anno e, quindi, riassegnate al fondo di cui al presente articolo a decorrere dall’esercizio finanziario dell’anno successivo.
Analoga previsione è contenuta nell’art. 50 del c.c.n.l. dell’8 giugno 2000.
Quanto alla procedura da seguire per giungere a determinare la parte variabile di retribuzione di posizione definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni, l’art. 4, c.c.n.l. 8 giugno 2000, riguardante la contrattazione collettiva integrativa – nello stabilire che essa si svolge utilizzando le risorse dei fondi di cui agli artt. 50 (Fondi per la retribuzione di posizione, equiparazione, specifico trattamento, indennità di direzione di struttura complessa) 51 (Fondo del trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro) e 52 (Fondo della retribuzione di risultato e premio per la qualità della prestazione individuale) – individua, fra gli oggetti di tale contrattazione, anche la rideterminazione della parte variabile della indennità di posizione.
3.5. Il ruolo fondamentale di tale livello di contrattazione, per quel che qui rileva, è confermato dalla regola, anch’essa contenuta nel citato 4 del contratto in esame, secondo cui, in sede integrativa, le parti definiscono i criteri generali per “la distribuzione tra i fondi degli artt. 50 e 52 delle risorse aggiuntive assegnate” e “lo spostamento di risorse tra i fondi di cui agli artt. 50, 51 e 52 ed al loro interno, in apposita sessione di bilancio, la finalizzazione tra i vari istituti nonché la rideterminazione degli stessi in conseguenza della riduzione di organico derivante da stabili processi di riorganizzazione previsti dalla programmazione sanitaria regionale”.
Secondo l’art. 5, comma 2, del medesimo c.c.n.l. 8 giugno 2000, rubricato “Tempi e procedure per la stipulazione o il rinnovo del contratto collettivo integrativo” l’azienda provvede a costituire la delegazione di parte pubblica abilitata alle trattative entro trenta giorni da quello successivo alla data di stipulazione del detto contratto e a convocare la delegazione sindacale di cui all’art. 10, comma 2, per l’avvio del negoziato, entro quindici giorni dalla presentazione delle piattaforme.
Il precedente art. 4 dello stesso contratto stabilisce, per quanto rileva, che ” decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative senza che sia raggiunto l’accordo tra le parti, queste riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e di decisione. D’intesa tra le parti, il termine citato è prorogabile di altri trenta giorni”.
E’ evidente che trattasi di regole procedimentali che attribuiscono diritti e doveri alle parti stipulanti e non ai singoli dipendenti, ai quali il contratto si applica per effetto delle previsioni normative contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001.
3.6. Il procedimento di negoziazione ha, infatti, un significato prevalentemente politico-sindacale, con la conseguenza che le scansioni previste per tale procedimento non hanno funzione simile a quelle di un ordinario procedimento amministrativo e che l’inosservanza del termine per la costituzione della delegazione di parte pubblica e per la convocazione dei sindacati, come pure la mancata conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto, non costituiscono di per sé inadempimento da parte dell’Azienda ai suoi obblighi contrattuali verso i dipendenti (Cass., SU, 7768 del 31 marzo 2009).
3.7. Dalle disposizioni sopra elencate si ricava che il provvedimento di graduazione delle funzioni è atto riservato all’organo di vertice delle amministrazioni, riconducibile, come generalmente ritenuto, alle previsioni del d.lgs. n. 165 del 2001 e art. 2, comma 1, quale atto di macro-organizzazione, e che dalla sua adozione dipende la determinazione della retribuzione di posizione.
L’Azienda provvederà ad effettuare la graduazione delle funzioni e la pesatura degli incarichi e, quindi, a determinare la componente variabile della retribuzione di posizione distinta dalla quota tabellare stabilita in sede contrattuale utilizzando le risorse di cui al fondo menzionato dall’art. 60 c.c.n.l. del 5 dicembre 1996 e dall’art. 50 del c.c.n.l. dell’8 giugno 2000.
3.8. Sempre dalle disposizioni legislative e contrattuali citate si evince che a carico della A. vi è un obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi, discendente dalla necessità di quantificare una quota della retribuzione spettante ai medici per l’attività da loro svolta e dal dovere di attivare la contrattazione collettiva che la concerne alle scadenze previste.
Per giungere a questo esito, però, occorre, come anticipato, seguire uno specifico iter, in quanto la concreta individuazione della voce retributiva in esame richiede un’attività finale esclusivamente riservata all’amministrazione datrice di lavoro e una fase preparatoria negoziale che coinvolge i sindacati.
In seguito all’espletamento di detta fase preparatoria la P.A. provvederà ad attingere dalle risorse dei fondi menzionati e a predisporre il provvedimento conclusivo.
Si evince da ciò che prima della graduazione delle funzioni e della pesatura degli incarichi vi è una obbligatoria fase procedimentale che non coinvolge il lavoratore e rispetto alla quale quest’ultimo è indifferente.
3.9. Tale fase procedimentale è governata da termini il cui mancato rispetto, però, non esonera l’Azienda dall’obbligo di porre in essere l’attività necessaria per giungere alla graduazione delle funzioni e alla pesatura degli incarichi.
Allo stesso modo, eventuali problematiche concernenti il fondo ex artt. 60 c.c.n.l. 5 dicembre 1996 e 50 c.c.n.l. 8 giugno 2000 non comporteranno di per sé il venire meno dell’obbligo de quo.
L’attività negoziale preliminare che coinvolge i sindacati e la stessa formazione e gestione del fondo citato rientrano fra gli atti esecutivi dell’obbligazione e di adempimento della stessa, che devono essere realizzati dalla P.A. nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Scaduti i termini fissati dalla contrattazione collettiva per la partecipazione delle parti sociali e costituitasi la provvista nel fondo, l’Azienda ha l’obbligo di attivare il procedimento che condurrà alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi. Se non lo fa è inadempiente.
3.10. La contrattazione collettiva pone un dovere di integrale utilizzo annuale delle relative risorse del fondo previsto dagli 60 c.c.n.l. 5 dicembre 1996 e 50 c.c.n.l. 8 giugno 2000 e, quindi, la P.A. non potrà opporre, in linea di principio, al dipendente la propria volontà di non utilizzarle per il fine al quale sono destinate.
Qualora, poi, si verifichino eventi imprevedibili che incidano su questa fase procedimentale, impedendone l’instaurazione e lo svolgimento, perché ostacolano la negoziazione sindacale o perché, quanto al fondo de quo, lo privano di risorse o lo rendono inattivo, sempre la stessa P.A. sarà gravata ex art. 1218 c.c. dall’onere di allegare e provare detti eventi; il medesimo onere di allegazione e prova graverà sull’amministrazione in ordine a qualunque eccezione.
Il creditore lavoratore deve, invece, dimostrare solo la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento dell’amministrazione, in armonia con le ordinarie regole civilistiche sulla ripartizione dell’onere probatorio nelle obbligazioni contrattuali, così come delineate da consolidata giurisprudenza (da , SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001 in poi).
3.11. In esito a detto percorso motivazionale venivano quindi enunziati i seguenti principi di diritto cui questo Collegio intende dare continuità: “In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endoprocedimentale; il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento”.
“La violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione. A tal fine, il dirigente medico è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile”.
“Il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità“.
4. E’ alla luce di detti principi, frutto del percorso motivazionale innanzi ricostruito sulla scorta dei precedenti innanzi ricordati, che entrambe le sottocensure in cui si articola il motivo – come anticipato – devono, quindi, essere rigettate.
4.1. Va preliminarmente e brevemente evidenziato che la controversia qui all’attenzione ha ad oggetto una richiesta di risarcimento del danno da perdita di chance da inadempimento contrattuale.
La mancata graduazione delle funzioni ha privato il dirigente della possibilità di ottenere una parte (quella variabile di competenza aziendale) della retribuzione.
4.2. Tali considerazioni, che affondano solide radici nel percorso argomentativo innanzi ricostruito sulla scorta dei richiamati precedenti, rendono evidente sia l’infondatezza della affermata giurisdizione del giudice amministrativo, sia il richiamo all’art. 2043 c., norma che, come è noto, disciplina la diversa ipotesi della responsabilità contrattuale.
4.2.1. La situazione soggettiva che qui viene in rilievo è, insomma, di diritto soggettivo pieno alla graduazione delle funzioni ed alle conseguenti erogazioni retributive.
Ne consegue che a fronte dell’inadempimento datoriale – di natura contrattuale e non aquiliano – spetta il risarcimento a meno che non vi sia prova dell’adempimento o del ricorrere di causa di non imputabilità.
4.2.2. Ebbene, nella presente controversia sussiste senza dubbio una ipotesi di responsabilità contrattuale (omissis) emergendo dalla sentenza di appello che la procedura di graduazione delle funzioni non era stata proprio attivata (cfr. sentenza della Corte territoriale in atti).
E’ evidente che la mancata attivazione della procedura esclude in radice si possa discorrere di una condotta diligente (omissis) di (omissis).
4.2.3. L’inadempimento contrattuale della parte datoriale all’attivazione della procedura di graduazione di funzioni comporta, come anticipato, il diritto al risarcimento dei danni – da perdita di chance del dirigente medico che, non potendo chiedere una tutela in forma specifica, in ragione del carattere discrezionale ed infungibile del provvedimento di graduazione delle funzioni ad adottarsi ad opera dell’amministrazione, può però azionare, come ha fatto, una tutela equivalente, ossia risarcitoria.
4.3. Conclusivamente, la responsabilità datoriale è da inadempimento contrattuale, lesiva di un diritto soggettivo del dipendente, alla graduazione delle funzioni da parte del datore, in osservanza degli obblighi, come innanzi ricostruiti.
4.3.1. Alla mancata graduazione di funzioni, infatti, corrisponde la mancata erogazione della retribuzione di posizione, parte variabile competenza aziendale.
4.4. A fronte di detto inadempimento contrattuale non può che corrispondere l’obbligo di risarcire il danno da perdita di chance salvo che l’azienda provi che l’inadempimento non le è imputabile, ciò che nel caso di specie non è avvenuto (cfr. sentenza di appello in atti).
5. Quanto alla questione della sussistenza, della determinazione e liquidazione del danno articolata nella seconda censura del ricorso per cassazione, si osserva quanto segue.
5.1. A differenza di quanto dedotto nel mezzo quello che qui viene risarcito non è un danno in re ipsa, quanto piuttosto, come più volte precisato, il danno da perdita di chance derivante dalla mancata attivazione della procedura di graduazione delle funzioni che ha escluso la possibilità per il dirigente di ottenere la parte variabile della retribuzione di posizione.
5.2. Accertato l’inadempimento contrattuale dell’azienda rispetto all’obbligo di procedere – nei tempi previsti dalla contrattazione collettiva – alla graduazione delle funzioni, il diritto al risarcimento del danno va riconosciuto, ove sussista la prova, fornita anche per presunzioni dal soggetto leso, di una concreta ed effettiva occasione perduta (da valutarsi alla luce dei parametri di apprezzabilità, consistenza e serietà).
5.2.1. Tale prova è senza dubbio presente nel caso di specie in cui il giudice di appello ha espressamente ritenuto che il comportamento omissivo dell’ASP abbia comportato quale effetto la privazione di una parte della retribuzione, tale considerazione, evidentemente, idonea e sufficiente a sorreggere la prova del danno.
5.3. Alla liquidazione la Corte territoriale ha poi provveduto in via equitativa, tenuto conto che il danno in detta ipotesi consiste non nella perdita di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo.
5.3.1. Secondo gli insegnamenti del giudice di legittimità, la liquidazione del danno comprende quindi anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo la regolarità causale (cfr. Cass. n. 15274 del 2006) e ciò in quanto la regola, prevista dall’art. 1223 c.c., per la quale il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligazione esige un rapporto immediato e diretto fra inadempimento e danno, pur fondata sulla necessità di limitare l’estensione temporale e spaziale agli effetti degli eventi illeciti, deve essere intesa come orientata ad escludere dal risarcimento esclusivamente le conseguenze dell’inadempimento che non siano a questo connesse in maniera giuridicamente rilevante.
E’ in questi termini che va interpretato il disposto dell’art. 1223 c.c. secondo il quale il risarcimento deve comprendere la perdita e il mancato guadagno del creditore che siano conseguenza “immediata e diretta” dell’inadempimento.
Spetta al giudice di merito accertare la materiale sussistenza di un rapporto causale che abbia tali caratteri (cfr. Cass. Sez. L., n. 9374/2006), nonché, ai fini del quantum, valutare consistenza, serietà ed apprezzabilità.
5.4. Compete allora al dipendente, nella specie al dirigente medico, allegare l’esistenza di un danno da perdita di chance e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini innanzi esplicati), anche a mezzo presunzioni o secondo un calcolo di probabilità.
5.5. A tanto ha provveduto il dirigente medico che ha allegato l’inadempimento e le norme violate, nonché il danno di immediata e diretta derivazione derivante dalla mancata adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni, ovvero la perdita della possibilità (l’occasione perduta) dell’erogazione della parte variabile della retribuzione di posizione da determinarsi in sede aziendale.
5.6. Quanto, infine, alla misura del danno quantificato in via equitativa con riferimento parametrico a quanto riconosciuto a titolo di retribuzione di risultato parte variabile dal 1.2013, non può che osservarsi che – a differenza di quanto ritenuto nella censura – il parametro di liquidazione utilizzato ai fini della liquidazione equitativa è del tutto idoneo, afferendo la delibera 320 del 2013 dell’ASP proprio alla liquidazione degli importi di cui a detto emolumento.
5.7. Il giudizio equitativo è quindi sorretto da razionalità intrinseca e non consente di ravvisare nella sentenza impugnata alcun vizio di legittimità.
6. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
8. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R nr. 115 del 2002, dell’obbligo per (omissis) di Agrigento di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla parte controricorrente, che liquida in € 2.800,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
dà atto che sussiste l’obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione civile, il 14.9.2023.
Il Presidente
dott. Roberto Bellè
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2023.