LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO – Presidente –
Dott. CATERINA MAROTTA – Consigliere –
Dott. ANDREA ZULIANI – Consigliere –
Dott. NICOLA DE MARINIS – Consigliere –
Dott. FEDERICO ROLFI – Consigliere – Rel. –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2591/2019R.G. proposto da
(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato presso PEC (omissis)pecavvocati.it, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);
–ricorrente–
contro
MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITÁ RICERCA (ora MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO), in persona del Ministro pro tempore e domiciliato, ope legis, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;
–controricorrente–
avverso la sentenza della Corte d’appello Brescia n. 286/2018 depositata il 19/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 19/06/2024 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 286/2018, pubblicata in data 19 luglio 2018, la Corte d’appello di Brescia, nella regolare costituzione dell’appellato (omissis) (omissis), ha accolto il gravame proposto dal MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITÁ RICERCA avverso la sentenza del Tribunale di Brescia n. 473/2017, pubblicata in data 24 marzo 2017 ed ha quindi respinto la domanda dell’appellato- appartenente al personale precario della scuola quale docente- intesa ad ottenere (oltre alla conversione del rapporto, negata in primo grado e non più oggetto del giudizio di impugnazione), le differenze retributive maturate sulla base della progressione stipendiale spettante ai docenti assunti con contratto a tempo indeterminato.
2. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che, residuando l’oggetto del contendere unicamente in relazione ai criteri di determinazione del trattamento economico necessario per equiparare la posizione dell’appellato a quella dei docenti assunti a tempo indeterminato, all’appellato medesimo dovessero essere riconosciute unicamente le differenze retributive derivanti dagli aumenti stipendiali che sarebbero spettati in funzione dell’anzianità di servizio, detratte l’indennità sostitutiva di ferie e l’indennità di disoccupazione.
La Corte d’appello, tuttavia, è pervenuta alla conclusione che, nel caso di specie, gli aumenti stipendiali spettanti in relazione ai periodi nei quali erano state svolte le prestazioni lavorative erano certamente inferiori al trattamento economico percepito con l’inclusione delle suddette indennità, escludendo, conseguentemente, che fosse dovuta alcuna differenza retributiva.
3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorre ora (omissis) (omissis).
Resiste con controricorso MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITÁ RICERCA.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost., della Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE; dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE; dell’art. 10 D. Lgs. n. 66/2003; dell’art. 2109 c.c. e dell’art. 19 CCNL scuola.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 3 e 36 Cost; della Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e degli artt. 45 e 73 del R.D.L. 04/10/1935, n. 1827, dell’art. 19 R.D.L. 14/04/1939, n. 636; dell’art. 2 Legge n. 92/2012 e dell’art. 1 D. Lgs. 04/03/2015 n. 22.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 345 c.p.c.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza.
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; degli artt. 45 e 73 del R.D.L. 04/10/1935, n. 1827, dell’art. 19 R.D.L. 14/04/1939 n. 636; dell’art. 2 Legge n. 92/2012 e dell’art. 1, D. Lgs. 04/03/2015 n. 22.
1.7. Nel complesso, il ricorrente censura, sotto vari profili, la sentenza impugnata per non aver riconosciuto il diritto dello stesso ricorrente agli scatti stipendiali per il periodo in cui ha svolto insegnamento con contratti a termine. Contesta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto infondata detta pretesa in ragione di quanto percepito dal ricorrente a titolo di ferie e di indennità di disoccupazione.
Deduce l’apoditticità ed illogicità delle affermazioni svolte in punto di progressione stipendiale; la novità delle deduzioni svolte dall’odierno controricorrente in sede di appello ed in particolare la deduzione di una indennità di disoccupazione speciale che non era stata oggetto di prova e deriverebbe da un’errata interpretazione dell’Accordo del 5 agosto 2009 tra INPS, Ministero del lavoro ed odierno controricorrente.
2. Il primo ed il terzo motivo devono essere esaminati congiuntamente, in virtù della reciproca connessione, e sono fondati.
Devono, infatti, trovare conferma i principi che questa Corte ha recentemente affermato in relazione a vicende sovrapponibili a quella ora in esame con una nutrita serie di propri precedenti (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 38100 del 29/12/2022 e le successive Cass. Sez. L, Ordinanza n. 20780 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 20793 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 20829 del 2023).
Come da questa Corte già chiarito (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 38100 del 29/12/2022), la Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, relativa al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, mira a dare applicazione a tale principio al fine di impedire che un rapporto di impiego a tempo determinato venga utilizzato da un datore di lavoro per privare il lavorator e di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza CGUE del 13 gennaio 2022, YT, C-282/19, EU:C:2022:3, punto 73; sentenza CGUE del 17 marzo 2021, Consulmarketing, C-652/19, EU:C:2021:208, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
La Clausola 4, pertanto, vale a prevenire abusi della contrattazione a tempo determinato e a garantire un eguale trattamento al lavoratore a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato – salvo che non vi siano ragioni oggettive che giustifichino un trattamento differenziato – e va letta alla luce del principio per cui il principio di non discriminazione è stato attuato e concretizzato solo con riferimento alle differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in situazioni comparabili, con la conseguenza che le eventuali differenze di trattamento tra determinate categorie di personale a tempo determinato non rientrano nell’ambito del principio di non discriminazione sancito da detto accordo quadro (in tal senso, CGUE sentenza del 21 novembre 2018, Viejobueno Ibáñez e de la Vara González, C-245/17, EU:C:2018:934, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
Il principio di non discriminazione si riferisce alle condizioni di impiego, ovvero alla disciplina del rapporto di lavoro in esame e, quindi, alle clausole che regolano il contratto ed agli istituti correlati alla sua vigenza.
La sua logica, quindi, richiede una comparazione delle singole condizioni di impiego previste nel contratto a tempo determinato e in quello a tempo indeterminato ad esso paragonabile, al fine di verificare se il lavoratore a tempo determinato benefici di un trattamento deteriore non giustificato da ragioni oggettive, da ciò conseguendo che una valutazione globale delle condizioni di impiego non può giungere al risultato di giustificare un ingiustificato trattamento deteriore.
Ovviamente, l’esame delle condizioni di impiego deve considerare tutti gli aspetti del contratto che possono incidere sulla parte del trattamento (nel caso de quo, economico) che viene in considerazione, in quanto un apparente svantaggio potrebbe essere compensato in qualche modo da altra clausola del contratto a tempo determinato ma ciò che rileva è che, ai fini di detta comparazione, siano prese in esame condizioni di impiego rilevanti nella specie.
Nella presente controversia, la Corte d’appello di Brescia ha tenuto conto – per determinare la portata della discriminazione patita dal ricorrente con riferimento al servizio prestato – del fatto che il lavoratore aveva percepito degli emolumenti qualificati come indennità di ferie non godute e indennità di disoccupazione.
La Corte territoriale ha pertanto ritenuto di procedere alla detrazione degli importi di tali indennità dall’importo complessivo spettante all’odierno ricorrente quello spettante in applicazione della menzionata Clausola 4 dell’Accordo quadro.
Le conclusioni della Corte territoriale, però, non sono condivisibili in quanto la comparazione rilevante ai fini dell’applicazione della citata Clausola 4 dell’Accordo Quadro deve riguardare le condizioni di impiego del lavoratore a tempo determinato e di quello a tempo indeterminato e tali condizioni devono concernere lavoratori “comparabili”, risultando in particolare non possibile mettere a raffronto istituti che caratterizzano il lavoro determinato e quello indeterminato in maniera tale da non potere essere accostati.
Fra tali istituti deve ritenersi rientrino le indennità per ferie non godute e le indennità di disoccupazione percepite dal personale precario, in quanto entrambe dette indennità operano in un momento in cui il rapporto a tempo determinato è cessato e sono dichiaratamente conseguenza, appunto, della provvisorietà dello stesso, perché la prima serve a monetizzare le ferie non godute durante lo svolgimento del detto rapporto e la seconda vale a consentire il sostentamento dell’ex dipendente che non riceve più la sua retribuzione al termine del contratto.
Dette indennità, allora, non possono assumere valore per la comparazione ex Clausola 4 dell’Accordo Quadro in quanto nel rapporto a tempo indeterminato non vi sono delle condizioni di impiego che siano paragonabili, negli stessi termini e con riferimento ai medesimi presupposti di operatività, a quelle che, nel lavoro precario, giustificano il versamento delle indennità de quibus, né può sostenersi che vi sia analogia fra l’indennità per ferie non godute degli insegnanti precari e il trattamento dei lavoratori di ruolo – come argomenta la decisione impugnata -atteso che, mentre i primi beneficiano dell’istituto dopo la fine del rapporto e sul presupposto di non essere stati in ferie, i secondi, invece, usufruiscono in via ordinaria di ferie retribuite.
Allo stesso modo, l’indennità di disoccupazione è erogata quando non vi è più un impiego del dipendente precario per la scadenza naturale dell’incarico laddove, al contrario, il rapporto del personale di ruolo è a tempo indeterminato e, quindi, in linea di principio, non è prevedibile si ponga, per identiche ragioni e con analoghe modalità, il problema dell’erogazione di siffatta indennità. In sintesi, quindi, le indennità di ferie non godute e di disoccupazione percepite dai precari della scuola pubblica sono due istituti che mirano ad ovviare ai disagi specifici che il personale non di ruolo, diversamente da quello di ruolo, deve affrontare in occasione delle frequenti interruzioni dell’impiego.
Da tali premesse consegue che la Corte d’appello di Brescia, nel detrarre l’importo delle menzionate indennità da quanto spettante al ricorrente ha applicato la citata Clausola 4 con modalità che, più che rimuovere le discriminazioni patite dal personale precario, hanno eliminato le specificità del rapporto a tempo determinato a danno di quest’ultimo, in tal modo realizzando un effetto esattamente opposto rispetto a quello perseguito dalla medesima Clausola 4, atteso che la decisione della Corte bresciana ha favorito, economicamente e normativamente, il lavoro a tempo indeterminato in confronto a quello a termine.
Nei propri precedenti, peraltro, questa Corte ha anche chiarito che non risulta neppure possibile il richiamo al meccanismo dell’aliunde perceptum, perché l’indennità per ferie non godute si ricollega proprio a ferie di cui il lavoratore precario non ha usufruito e, quindi, non si aggiunge a qualcosa di cui egli abbia beneficiato.
Deve, pertanto, ribadirsi il principio che, in applicazione della Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, relativa al principio di non discriminazione, i docenti a tempo determinato hanno diritto, a parità di condizioni di impiego, alla piena equiparazione del proprio trattamento retributivo a quello del personale assunto come docente con contratto a tempo indeterminato ed alla conseguente ricostruzione della loro carriera agli effetti economici, con condanna dell’Amministrazione scolastica a provvedere ai relativi adeguamenti retributivi e a corrispondere le differenze stipendiali riconosciute dal contratto collettivo di comparto in base all’anzianità maturata per il periodo effettivamente lavorato, senza che da tale importo possano essere detratte le somme già percepite a titolo di indennità per ferie non godute e di indennità di disoccupazione.
3. L’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso determina l’assorbimento di quelli ulteriormente formulati dal ricorrente.
4. In conclusione il ricorso va accolto e la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 19 giugno 2024
Il Presidente
Annalisa Di Paolantonio
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2024.