Per il provvedimento di espulsione dello straniero, nessun obbligo di valutazione della pericolosità e dei suoi legami familiari (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 22 settembre 2021, n. 25754).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 9698/2020 proposto da:

(OMISSIS) Abdelkarim, difeso dall’avv. Anna (OMISSIS), domiciliato presso la Cancelleria della I° sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Prefettura Messina Ufficio Territoriale Governo Messina;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di MESSINA, depositata il 03/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2021 dal Cons., Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Messina ha rigettato l’opposizione proposta da (OMISSIS) Abdelkarim avverso il provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di Messina in data 24/01/2020, per essersi il cittadino straniero trattenuto nel territorio dello Stato senza giustificato motivo, nonostante fosse già stato emesso nei suoi confronti un precedente provvedimento di espulsione in data 28/08/2017 ed in violazione dell’ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni dalla notifica del predetto provvedimento espulsivo.

Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) Abdelkarim affidandolo a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 10 n. 3 cod. proc. civ. per inammissibilità della costituzione ed in relazione all’art. 18 comma 70 d.lgs n. 150/2011.

Lamenta, in primo luogo, il ricorrente che nel giudizio di primo grado si è inammissibilmente costituita in giudizio la Questura di Messina, con la conseguenza che il provvedimento del giudice di Pace è viziato sotto il profilo giuridico.

Espone, inoltre, il ricorrente che il termine di cui all’art. 18 comma 7° d.lgs 150/2011 – secondo cui il giudizio nelle controversie in materia di espulsione di cittadini non comunitari deve essere definitivo, in ogni caso, entro venti giorni dalla data del deposito del ricorso – ha natura perentoria.

Nel caso di specie, il ricorso è stato depositato il 6.2.2020 e l’ordinanza del Giudice di Pace di Messina è stata emessa in data 3.3.2020, e quindi oltre il predetto termine di 20 giorni.

2. Il motivo è infondato.

Quanto alla costituzione in giudizio della Questura, se è pur vero che in caso di opposizione al provvedimento di espulsione prefettizio, legittimata passiva è l’Autorità che ha emesso il decreto impugnato (vedi Cass. n. 16178/2015), ove si sia costituita in giudizio una diversa Autorità amministrativa, l’irregolarità della costituzione può incidere sulla validità dell’ordinanza del giudice di Pace solo ove tale provvedimento avvia eventualmente accolto eccezioni in senso stretto che la parte non era legittimata a sollevare.

Nel caso di specie, non emergono in alcun modo né dal decreto impugnato e neppure dal ricorso quali difese la Questura avesse svolto, con la conseguenza che è del tutto irrilevante ai fini della validità dell’ordinanza impugnata che si fosse costituita in giudizio una Autorità amministrativa diversa da quella legittimata passiva.

In ordine alla natura del termine ex art. 18 comma 7 0 d.lgs n. 150/2011, va osservato che, a norma dell’art. 152 comma 2° cod. proc. civ., i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.

Nel caso di specie, la predetta norma del d.lgs n. 150/2011 non ha affatto dichiarato il termine di cui all’art. 18 comma 7° come perentorio, con la conseguenza che lo stesso ha natura meramente ordinatoria.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 2° lett c) e dell’art. 13 comma 2° bis d.lgs n. 286/1998 nonché dell’art. 8 CEDU e dell’art. 3 comma 10 L. n. 241/1990.

Lamenta il ricorrente che l’ordinanza impugnata ha omesso ogni valutazione circa la sua situazione familiare, non essendo stato considerata l’esigenza di unità familiare di cui all’art. 8 CEDU, pur essendo legato da matrimonio concordatario con la sig.ra Antonia (OMISSIS) (dal 8.1.2015).

Né rileva la mancanza della convivenza effettiva del cittadino straniero con un coniuge italiano, non costituendo un requisito essenziale ai fini della revoca del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 3 cod. proc. civ. per illogica ed illegittima motivazione in relazione alla sussistenza dell’asserita pericolosità sociale quale presupposto del decreto espulsivo.

Espone il ricorrente che il giudice di Pace, non considerando che dal certificato del casellario giudiziale non risultano a suo carico precedenti penali, ha ritenuto la sua pericolosità sulla base dei reati segnalati dal Prefetto (atti persecutori, lesioni personali) per i quali non esiste una sentenza definitiva e non rientrano nella disciplina di cui all’art. art 4 comma 3° d.lgs n. 286/1998.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, sono infondati.

Va, in primo luogo, osservato che la dedotta violazione del principio di non refoulement, di cui all’art. 19 comma 2° lett c) d.lgs n. 286/1998, è infondata in quanto la norma espressamente prevede il requisito della convivenza con il coniuge (esclusa, nel caso di specie, dal Giudice di Pace) affinché scatti il divieto di espulsione.

D’altra parte, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Cass. n. 5378/2020) è inconferente, riguardando la diversa fattispecie del permesso di soggiorno per ragioni di coesione familiare e non già il divieto di espulsione di cui si discute.

Quanto alla censura avente ad oggetto l’asserita mancata valutazione da parte sia del Prefetto che del Giudice di Pace dei criteri dei legami di natura familiare del ricorrente e della (insussistenza della) pericolosità, deve premettersi che il Giudice di Pace ha evidenziato che il ricorrente aveva continuato a trattenersi nel territorio italiano nonostante fosse già stato emesso in precedenza nei suoi confronti un altro provvedimento di espulsione in data 28.8.2017, notificato in pari data (circostanza non contestata dal ricorrente), unitamente all’ordine del questore di lasciare l’Italia entro sette giorni dalla notifica del predetto provvedimento espulsivo.

E’ quindi evidente che il decreto di espulsione del Prefetto di Messina del 24.1.2020 è stato emesso a norma dell’art. 14 comma 5 ter d.lgs n. 286/1998, il quale prevede che, “valutato il singolo caso e tenuto conto dell’art. 13 comma 4 e 5, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi dell’art. comma 5 bis del presente articolo …”.

Orbene, proprio il preciso riferimento del legislatore nell’art. 14 comma 5 ter legge cit. alle sole previsioni di cui ai commi 4 ° (espulsione eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera) e 5° (concessione di un termine per la partenza volontaria) dell’art. 13 nell’adozione del provvedimento di espulsione conseguente alla violazione di un precedente ordine di allontanamento del questore a norma dell’art. 13 comma 5° bis, presuppone che il Prefetto non debba in alcun modo valutare i criteri di cui all’art. 13 comma 2°.

Ne consegue che nell’adozione del provvedimento espulsivo, successivo alla violazione di un precedente ordine di allontanamento del questore, non si deve tenere conto dei parametri né della pericolosità (che può derivare dall’appartenenza ad una delle categorie di cui all’art. 1 d.lgs n. 150/2011 a norma dell’art. 13 comma 2° lett c), né di eventuali legami familiari a norma dell’art. 13 comma 2 bis legge cit..

Deve quindi enunciarsi il seguente principio di diritto:

” In tema di espulsione del cittadino straniero, ove il provvedimento di espulsione del prefetto sia adottato a norma dell’art. 13 comma 5 ter d.lgs n. 286/1998, successivamente alla violazione da parte del cittadino straniero di un precedente ordine di allontanamento del questore a norma dell’art. 13 comma 5° bis, in virtù del richiamo da parte dell’art. 13 comma 5 ter alle sole previsioni dei commi 4 e 5 dell’art. 13 legge cit., l’adozione del provvedimento espulsivo non impone alcuna valutazione né della pericolosità dello straniero, né dei legami familiari (criteri previsti rispettivamente dall’art. 13 comma 2° lett c) e comma 2° bis)”.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 comma 2° d.lgs n. 286/1998, per essere il decreto di espulsione stato sottoscritto dal vice Prefetto aggiunto, soggetto non abilitato.

7. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che in una diversa fattispecie di provvedimento prefettizio (ordinanza ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria) comunque assimilabile, sotto il profilo della delega dei poteri di firma, a quella in esame, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui chi impugni il provvedimento del prefetto deducendone l’illegittimità per insussistenza della delega di firma in capo al funzionario che, in sostituzione del prefetto o del vice-prefetto vicario, ha emesso il provvedimento, ha l’onere di provare detto fatto negativo, con la conseguenza che, nel caso in cui non riesca a procurarsi la pertinente relativa attestazione da parte dell’Amministrazione, è tenuto comunque a sollecitare il giudice ad acquisire informazioni ex art. 213 cod. proc. civ. ovvero ad avvalersi dei poteri istruttori di cui all’art. 23, comma sesto, della legge 24 novembre 1989, n. 689, presso l’Amministrazione medesima, la quale non può esimersi dalla relativa risposta.

Ne consegue ulteriormente che, se l’opponente rimanga del tutto inerte processualmente, la presunzione di legittimità che assiste il provvedimento sanzionatorio non può reputarsi superata (Cass. 11283/2010, 23073/2016, 20972/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato ad allegare l’insussistenza in capo al vice prefetto aggiunto dei poteri di firma del decreto espulsivo senza minimamente attivarsi per provare tale circostanza nei termini sopra illustrati.

8. Non si liquidano le spese di lite, non avendo l’amministrazione intimata, svolto attività difensive.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Roma, così deciso il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.